giovedì 04 giugno 2009, 07:00
E ora l’America si interroga sul presidente pro-islam
di Marcello Foa
Qual è il vero Obama? Quello che in campagna elettorale si presentava come un ex ateo convertito al cristianesimo e convinto sostenitore dello Stato ebraico o quello di oggi, fiero delle proprie origini islamiche e sempre più esigente nei confronti di Gerusalemme? Tra i due c’è un abisso. E l’America inizia a interrogarsi sul significato autentico della spettacolare apertura del presidente verso il mondo musulmano, enfatizzata dalla visita di ieri e oggi a Riad e al Cairo. È solo realismo politico dettato dalla necessità di ricostruire in Medio Oriente il prestigio di un Paese scalfito dall’era Bush o è il sintomo di una convinzione personale, profonda, duratura, ma fino ad oggi sapientemente celata?Di certo nel 2008 Obama faceva di tutto per nascondere le proprie radici religiose. Quando declamavano il suo nome per intero - Barack Hussein Obama - reagiva furiosamente, accusando i suoi nemici di voler spaventare gli elettori. Già, Hussein come Saddam Hussein. Nella sua biografia aveva descritto il padre come un idealista che, sebbene formalmente musulmano, non praticava la religione; anzi, non era nemmeno credente. Sapeva che questo era il suo punto debole (e potenzialmente fatale), in un’America ancora traumatizzata dall’11 settembre e dall’incubo del fondamentalismo islamico.Ma a salvarlo fu, paradossalmente, John McCain, che, da gentiluomo qual è, decise che la religione non doveva diventare un tema di campagna. Niente fango sulla fede. E costrinse i suoi spin doctor a disarmare.Trascorsi cinque mesi dall’insediamento alla Casa Bianca, Obama può essere finalmente se stesso e i suoi portavoce parlare liberamente dei suoi trascorsi. Oggi ricordano che il presidente «ha avuto esperienze di islam in tre continenti», ha dichiarato il viceconsigliere per la Comunicazione strategica Denis McDonough. Quali? «Ha vissuto parte dell’infanzia in Indonesia», con il secondo marito della madre, frequentando le scuole locali. «Suo padre, africano, era musulmano», come «i numerosi islamici dell’Illinois e del Chicago». Una realtà che Barack evidentemente conosceva bene.Obama non nasconde più le proprie origini, ma le esalta. «Così può conquistare la fiducia e il rispetto dei governi arabi», assicurano i suoi collaboratori. Come dire: niente paura, si tratta solo di un’operazione simpatia. Marketing diplomatico, insomma.Ma i dubbi aumentano, soprattutto considerando la sua politica nei confronti di Israele, che al Congresso molti giudicano squilibrata. Ben 329 parlamentari hanno firmato un appello, promosso da una lobby filoebraica, che chiede al presidente di collaborare intensamente e, soprattutto, privatamente con il governo di Gerusalemme, rinunciando a esercitare pressioni in pubblico, come avvenuto recentemente.E tra i 329, molti erano democratici. «Penso che il presidente difenderebbe meglio gli interessi dell’America se obbligasse gli iraniani a eliminare la minaccia nucleare iraniana, anziché imbarazzare i nostri alleati e soprattutto l’unica democrazia in Medio Oriente», lo ha sferzato la compagna di partito Shelley Barkley.In realtà il presidente si è limitato a chiedere il congelamento delle colonie israeliane in Cisgiordania e a difendere il diritto dei palestinesi ad avere uno Stato. Nulla di rivoluzionario, ma colpisce la differenza di toni. Agli arabi riserva lusinghe e attenzioni, anche a regimi che calpestano i diritti umani, come l’Arabia Saudita, o formalmente nemici, come l’Iran. Agli israeliani avvertimenti e critiche indispettite. Due pesi e due misure. A che cosa mira davvero Obama?
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=356196
E ora l’America si interroga sul presidente pro-islam
di Marcello Foa
Qual è il vero Obama? Quello che in campagna elettorale si presentava come un ex ateo convertito al cristianesimo e convinto sostenitore dello Stato ebraico o quello di oggi, fiero delle proprie origini islamiche e sempre più esigente nei confronti di Gerusalemme? Tra i due c’è un abisso. E l’America inizia a interrogarsi sul significato autentico della spettacolare apertura del presidente verso il mondo musulmano, enfatizzata dalla visita di ieri e oggi a Riad e al Cairo. È solo realismo politico dettato dalla necessità di ricostruire in Medio Oriente il prestigio di un Paese scalfito dall’era Bush o è il sintomo di una convinzione personale, profonda, duratura, ma fino ad oggi sapientemente celata?Di certo nel 2008 Obama faceva di tutto per nascondere le proprie radici religiose. Quando declamavano il suo nome per intero - Barack Hussein Obama - reagiva furiosamente, accusando i suoi nemici di voler spaventare gli elettori. Già, Hussein come Saddam Hussein. Nella sua biografia aveva descritto il padre come un idealista che, sebbene formalmente musulmano, non praticava la religione; anzi, non era nemmeno credente. Sapeva che questo era il suo punto debole (e potenzialmente fatale), in un’America ancora traumatizzata dall’11 settembre e dall’incubo del fondamentalismo islamico.Ma a salvarlo fu, paradossalmente, John McCain, che, da gentiluomo qual è, decise che la religione non doveva diventare un tema di campagna. Niente fango sulla fede. E costrinse i suoi spin doctor a disarmare.Trascorsi cinque mesi dall’insediamento alla Casa Bianca, Obama può essere finalmente se stesso e i suoi portavoce parlare liberamente dei suoi trascorsi. Oggi ricordano che il presidente «ha avuto esperienze di islam in tre continenti», ha dichiarato il viceconsigliere per la Comunicazione strategica Denis McDonough. Quali? «Ha vissuto parte dell’infanzia in Indonesia», con il secondo marito della madre, frequentando le scuole locali. «Suo padre, africano, era musulmano», come «i numerosi islamici dell’Illinois e del Chicago». Una realtà che Barack evidentemente conosceva bene.Obama non nasconde più le proprie origini, ma le esalta. «Così può conquistare la fiducia e il rispetto dei governi arabi», assicurano i suoi collaboratori. Come dire: niente paura, si tratta solo di un’operazione simpatia. Marketing diplomatico, insomma.Ma i dubbi aumentano, soprattutto considerando la sua politica nei confronti di Israele, che al Congresso molti giudicano squilibrata. Ben 329 parlamentari hanno firmato un appello, promosso da una lobby filoebraica, che chiede al presidente di collaborare intensamente e, soprattutto, privatamente con il governo di Gerusalemme, rinunciando a esercitare pressioni in pubblico, come avvenuto recentemente.E tra i 329, molti erano democratici. «Penso che il presidente difenderebbe meglio gli interessi dell’America se obbligasse gli iraniani a eliminare la minaccia nucleare iraniana, anziché imbarazzare i nostri alleati e soprattutto l’unica democrazia in Medio Oriente», lo ha sferzato la compagna di partito Shelley Barkley.In realtà il presidente si è limitato a chiedere il congelamento delle colonie israeliane in Cisgiordania e a difendere il diritto dei palestinesi ad avere uno Stato. Nulla di rivoluzionario, ma colpisce la differenza di toni. Agli arabi riserva lusinghe e attenzioni, anche a regimi che calpestano i diritti umani, come l’Arabia Saudita, o formalmente nemici, come l’Iran. Agli israeliani avvertimenti e critiche indispettite. Due pesi e due misure. A che cosa mira davvero Obama?
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