domenica 30 novembre 2008

sabato 29 novembre 2008

mercoledì 19 novembre 2008

sabato 15 novembre 2008

lunedì 10 novembre 2008

Notte dei cristalli


KRISTALLNACHT


Era un mattino freddo e nebbioso il 10 novembre 1938; il nostro maestro entrò di corsa in classe, senza fiato, lui, che era sempre calmo e tanto gentile, aveva il viso tutto rosso per l'agitazione e con le mani tremanti fece segno verso la porta gridando: «Bambini, per l’amor del cielo, presto, correte a casa vostra!».
Non ricordo come uscii dalla scuola; tutti spingevano e tiravano affollandosi sul portone d'uscita, poi via di corsa.
Rimasi ferma lì, in mezzo alla strada, ipnotizzata da quello che vidi: ragazzi della Hitlerjugend nelle loro divise assalivano con bastoni e sassi la nostra scuola, prima rompevano i vetri delle finestre e poi tutto quello che c'era da rompere nelle aule e negli uffici.
Piangevo per il terrore: la mia casa era lontana, non ero mai andata a casa da sola, non sapevo nemmeno come tornare. Poi, non riuscivo a capire cosa volessero quei ragazzi da noi e dalla nostra scuola. Anche loro non erano altro che ragazzi … sì, più grandi di me, ma ragazzi come ero io: che cosa gli avevamo fatto?
Improvvisamente mi sentii afferrare per la mano. A passi veloci, a me sembrava di correre, entrammo in un negozio. Non conoscevo l'uomo che mi aveva trascinata con sé, ma il mio istinto mi disse che voleva aiutarmi, allontanandomi da quei ragazzi impazziti e dalla folla di curiosi. Il negozio era una calzoleria e lo sconosciuto che mi aveva portato lì, un calzolaio tedesco; con l'aiuto della moglie cercò di tranquillizzarmi, ma io, scossa dal gran piangere, non riuscii a tirar fuori una sola parola. Fra i miei quaderni trovarono il mio indirizzo e dopo un'infinità di tempo l'uomo tornò insieme a mio padre: mi calmai solamente fra le sue braccia.
Ringraziando quelle brave persone, papà mi prese per mano e mi disse con voce solenne: «Ricordati bene di questo giorno, bambina mia: sembra incredibile fino a che punto un popolo civile come quello tedesco sia potuto arrivare! La mia gioventù l'ho passata a Lipsia; nella guerra mondiale 1914-1918 ho combattuto in prima linea per l'Austria e la Germania sul fronte italiano, sono stato ferito e ho quattro medaglie e adesso, dopo ventisette anni di vita qui a Lipsia, devo vedere questo spettacolo crudele... Dov'è la giustizia?».
Mio padre chiuse la mia manina fredda nella sua grande mano calda e rassicurante e così camminammo per lungo tempo per strade che sembravano bruciare per le fiamme che uscivano da case, negozi e grandi magazzini ebrei, mentre i pompieri cercavano di salvare con le loro pompe d'acqua le case e i negozi non ebrei!Vandalismo dappertutto: spaccavano con i sassi le vetrine dei negozi; vidi perfino che dalle finestre o dalle vetrine buttavano di tutto, mobili, quadri e altro. Distruzione, furti e disperazione; donne e bambini piangenti... perfino tanti uomini avevano lacrime d'umiliazione negli occhi, non capivano il perché.Passammo sopra un ponte e vedemmo che sulle due sponde del canale alcune SS costringevano degli ebrei anziani con lunghe barbe a saltare da una riva all'altra. Il canale non era molto largo, ma per gli anziani era uno sforzo eccessivo: tanti cadevano nell'acqua gelata, svenivano; allora venivano rianimati dalle SS e costretti a continuare, ancora e ancora...
Passammo vicino alla grande sinagoga, dove mio padre aveva l'abitudine di andare a pregare, ma che terribile spettacolo ci aspettava lì! Dalla sinagoga uscivano fumo e fiamme; uomini con i vestiti stracciati o bruciati e il volto nero per il fumo uscivano di corsa da quell'inferno, stringendo tra le braccia i libri della Torà: cercavano di salvare quello che avevano di più caro e di più santo, i rotoli scritti a mano, detti libri del Pentateuco. Vedemmo che anche il nostro rabbino correva fra le fiamme. Sembrava che le SS si divertissero, ridevano rumorosamente.
Non riuscivo a capire come degli esseri umani potessero trasformarsi in belve feroci.
Era proprio vero quello che era scritto nelle fiabe: c'erano una volta maghi e streghe cattive che trasformavano le persone a loro volontà.
Ma dov'erano le buone fate, che venivano a salvare i poveri innocenti?
(Regina Zimet-Levy, Al di là del ponte, Garzanti, pp. 35-37)
La notte dei cristalli non è più tornata, ma le sinagoghe incendiate sì, i cimiteri ebraici profanati e devastati sì, gli ebrei aggrediti, picchiati, assassinati per strada, o rapiti e torturati a morte, sì.
È accaduto, dunque può accadere, ha detto qualcuno, e infatti continua ad accadere.
Cerchiamo almeno di non raccontare a noi stessi che si tratta di storie vecchie.
E cerchiamo di non inventarci “buoni motivi” per giustificare gli aggressori: nel 1938 non c’era Israele, e non c’era una causa palestinese, e ciononostante è accaduto.
(guardate se non sembrano quelle di Gaza ...)

sabato 8 novembre 2008

Notizie inquietanti su Obama

simona scrive: 7 Novembre 2008 alle 01:10
Rapporti di Obama con antiamericanisti e sovversivi.Ne citerò solo alcuni perché l’elenco è lungo.Ingenuità o empatia? Non sono i singoli fatti che mi preoccupano, ma se si guardano nell’insieme è difficile non pensare che Obama è il presidente americano con frequentazioni passate le più estremiste mai ragistrate.Obama non si è mai imbarcato nelle attività radicali o criminali che svolgevano le persone con cui ha mantenuto rapporti per lungo tempo, ma il fatto che fosse a conoscenza delle loro opinioni politiche e dei loro comportamenti e tuttavia abbia continuato a frequentarle, a me da l’impressione che Obama abbia una personalità che potrebbe rivelarsi inadatta a guidare gli Stati Uniti.
KENNY GAMBLE: (nome americano di Luqman Abdul-Haqq): ha FORNITO ed INAUGURATO il quartier generale della campagna Obama a Filadelfia, che si trova in un edificio di sua proprietà. Gamble è un ilsamista che a Filadelfia sta acquistando imponenti lotti edificabili per costruire un’area residenziale esclusivamente musulmana. Gamble collabora con il Consiglio per le Relazioni America-Islam (CAIR: una associazione indicata dal governo degli Stati Uniti come cospiratrice per la raccolta di fondi a favore di Hamas).http://philadelphiatribune.v1.myvirtualpaper.com/ThePhiladelphiaTribune/2008082601?page=3http://www.investigativeproject.org/documents/case_docs/658.pdfhttp://www.militantislammonitor.org/article/id/3680MAZEN ASBAHI: coordinatore per la comunità musulmana della campagna Obama. Ha dovuto dimettersi dopo che si è saputo che aveva lavorato per il North American Islamic Trust, con Jamal Said, un altro cospiratore del processo del 2007 per la raccolta di fondi a favore di Hamas. Asbahi ha legami con gli uffici di Cigago e Detroit del CAIR e con la Società Islamica del Nord America (anche questa in elenco dei cospiratori nel processo per il finanziamento di Hamas).MINHA HUSAINI: Va via Asbahi e lo sostituisce Husaini. Subito dopo aver ricevuto l’incarico di coordinatrice da Obama, la signora Husaini, si è riunita con un gruppo di almeno trenta islamisti tra i quali il famigerato membro del CAIR, Nihan Award; Mahdi Bray, della Muslim American Society (che ha pubblicamente espresso il suo sostegno a Hamas ed Hezbollah); e Johari Abdul Malik della Moschea al-Hijrah in Virginia, un tizio che dice ai musulmani-americani: “potete far saltare in aria i ponti, ma non uccidete le persone innocenti che vanno a lavoro.”http://online.wsj.com/article/SB122360316634321799.htmlJAREMIA WRIGHT: pastore della chiesa che Obama ha frequentato per anni (ha battezzato i suoi figli e lo ha sposato). E’ un predicatore fondamentalista sostenitore di Hamas e apertamente nemico dell’America.BILL AYERS: non è soltanto stato un noto estremista, lo è ancora e insegna teorie di governo di tipo socialista radicale – qualcuno direbbe comuniste -, sposa ancora oggi l’idea dell’uso della violenza “se necessario” per ottenere dal governo quello che si ritiene importante. I rapporti di Obama con Ayers sono stati durevoli e non marginali, questo esclude che Obama non conoscesse la sua agenda politica. Il rapporto di Obama con Ayers porta ad un altro nome:RASHID KHALIDI: Obama e Ayers sostengono Rashid Khalidi. Khalidi è professore di storia araba alla Columbia University, noto per le sue affermazioni controverse contro israele e a favore della Palestina. Per le sue posizioni estremiste, nel 2005 a New York a Khalidi fu impedito di partecipare a un programma di formazione per l’insegnamento nel sistema pubblico. Khalidi ha perlato in nome dell’OLP, quando ancora svolgeva attività terroristiche ed era classificato come movimento terroristico. Obama ha lavorato per anni come direttore assieme a Ayers presso la Woods Founds (fondata da Ayers), una società che ha mandato centomila dollari alla AAAN (fondata da Khalidi, si tratta di un gruppo controverso che disapprova l’esistenza di Israele e che promuove sostanziali riforme sull’immigrazione). Lo stesso Obama ha partecipato nel 2003 a una serata in onore di Khalidi dove si è recitata una poesia che ha definito Israele uno stato terrorista e dove Obama ha dichiarato di apprezzare Rashid (alla cena erano presenti anche Ayers e sua moglie).http://www.wnd.com/index.php?pageId=57231http://www.latimes.com/news/politics/la-na-obamamideast10apr10,0,5826085.story(La Times si è rifiutato di mostrare il video della cena descritta nell’articolo, anche McCain ne ha ufficialmente chiesta una copia, ma senza successo).KHALID AL-MANSOUR: avvocato ben noto nei circoli della comunità di colore americana, musulmano ortodosso, nazionalista, scrittore, affarista internazionale, educatore, nemico dichiarato di Israele, dice che l’Amerca sta progettando il genocidio dei neri (in stile reverendo Wright). In una intervista mai smentita, l’icona politica della comunità afroamericana di New York, Percy Sutton ha dichiarato che Khalid al-Mansour gli ha chiesto, e lui ha accettato, di scrivere una lettera di raccomandazioni per consentire a Obama di essere ammesso a Harvard.http://www.youtube.com/watch?v=MIVO8MZYXo8RAILA ODINGA: Obama ha fatto attiva campagna elettorale in suo favore - quando era già governatore dell’Illinois - durante la sua visita in Kenia nel 2007. Odinga è un socialista convinto, educato in Germania Est (!!), si era candiato alla guida del Kenia nel 2007. Perse le elezioni (adesso è co-presidente) ha innescato una breve guerra civile che ha molto preoccupato la comunità internazionale e Obama gli ha telefonato direttamente per cercare di contenere la rivolta. Odinga sosteneva che una volta eletto avrebbe vietato la rendition dei terroristi islamici all’America, è emerso anche che Odinga aveva firmato un patto pre-elettorale con la comunità islamica al fine di dare priorità a quella cultura sulle altre presenti in Kenia, soprattutto quella cristiana. (Odinga ha confermato e ha reso pubblico il documento, tagliandolo di alcune parti che invece erano presenti nella prima versione circolata su internet, quella che lo ha costretto ad ammettere di aver firmato l’accordo - la prima versione addirittura prevedeva la legalizzazione della Sharia in Kenia).http://www.canadafreepress.com/index.php/article/4353
Altre controverse questioni:http://it.youtube.com/watch?v=_MGT_cSi7Rshttp://www.opensecrets.org/news/2008/09/update-fannie-mae-and-freddie.htmlhttp://newsmax.com/timmerman/Obama_fundraising_illegal/2008/09/29/135718.htmlhttp://www.worldnetdaily.com/index.php?fa=PAGE.printable&pageId=71431http://gatewaypundit.blogspot.com/2008/10/acorn-official-admits.html

venerdì 7 novembre 2008

Sinistra ipocrita di Antonio Socci

07/11/08
«Ho detto a Medvedev che Obama ha tutto per andare d'accordo con lui: è giovane, bello e anche abbronzato».
Bisogna essere molto faziosi e molto prevenuti per trasformare queste parole di Berlusconi in una gaffe.
Da due giorni si celebra l'elezione del primo presidente nero della storia americana e si esalta il suo fascino e la sua avvenenza. Ma se è Berlusconi a dirlo, allora ci si stracciano le vesti. È evidente che il premier italiano - alla sua maniera affabile e scanzonata - elogia l'aspetto del neoeletto che egli palesemente trova invidiabile. Mi pare il contrario del razzismo.
Il razzismo è l'ideologia che inventa le razze e squalifica alcuni gruppi umani come "inferiori" o discriminabili. È comico che la stessa cultura "politically correct" che pretende di giudicare gli elogi di Berlusconi come razzismo, poi veneri come fari di progresso degli intellettuali che, proprio su questo aspetto, hanno scritto cose sconcertanti. Allora è xenofoba anche l'enciclopedia
Una rassegna di questi "illuminati" ci è fornita da Léon Poliakov, grande storico dell'antisemitismo. Nel volume "Il mito ariano" (pubblicato da Editori Riuniti) partiva dalla voce "Negri" che si trova nella celebre Enciclopedia di Diderot e D'Alembert. «Quanto esplicitamente a Diderot, gli accadeva di proclamare la superiorità bianca per bocca del suo "buon selvaggio" tahitiano e di filosofare sulla razza inferiore dei lapponi».
Le nostre anime belle della sinistra resterebbero di sasso nel leggere queste parole di Poliakov: «Così alcuni degli esponenti più accreditati dei Lumi ponevano le basi del razzismo scientifico del secolo successivo». Con ciò intendevano combattere la Chiesa e la sua dottrina dell'«unità del genere umano» fondata sulla Bibbia, sulla Genesi. Si credette di attaccarla in nome di «presupposti apparentemente scientifici».
Voltaire – sì, proprio quello che è venerato come il maestro della tolleranza – manifesta, dice Poliakov, «un esclusivismo a cui non si saprebbe dare altra qualifica che quella di razzista e di cui i suoi scritti sono una testimonianza altrettanto valida della sua vita». Egli, spiega Poliakov, situava «i Negri nel gradino più basso della scala: i Bianchi erano "superiori a questi negri, come i Negri alle scimmie e le scimmie alle ostriche"».E nel suo "Essai sur les moeurs et l'esprit des nations" dopo «aver stabilito che "è permesso soltanto a un cieco di dubitare che i Bianchi, i Negri, gli Albini… sono razze completamente diverse", bollava con l'epiteto di animali soprattutto i Negri». Per non dire degli «attacchi antiebraici» vergati dallo stesso Voltaire nel Dictionnaire.
E che dire del veneratissimo maestro laico David Hume? Poliakov ci ricorda certi suoi passi: «Sono portato a sospettare che i Negri e in generale tutte le altre specie umane sono per natura inferiori ai bianchi».
Stupefacenti poi le pagine del maestro della modernità, Hegel: «Il negro rappresenta l'uomo naturale in tutta la sua barbarie; bisogna compiere un'astrazione di tutto rispetto e moralmente elevata se si vuol comprenderlo; non si può trovare niente nel suo carattere che ricordi l'uomo».
Engels e Marx:rossi sì, neri maiMa sentiamo ancora Poliakov sui due autori del "Manifesto del partito comunista". «Per Engels come per Marx, era inteso che la razza bianca, portatrice del progresso, era più dotata delle altre razze. Nella "Dialettica della natura" per esempio, Engels scriveva che "selvaggi inferiori" potevano ripiombare in "uno stato abbastanza vicino a quello dell'animale" ; più avanti un ragionamento più preciso gli faceva concludere che i Negri erano congenitamente incapaci di capire la matematica».
Per quanto riguarda "il pensiero di Marx" osserva Poliakov «restava influenzato dalle gerarchie germanomani», si rifaceva all' «idea dell'influenza del suolo» di Trémaux, un «determinismo geo-razziale, che fondava agli occhi di Marx l'inferiorità dei Negri e dei Russi». Per non dire poi della sua prevenzione verso gli ebrei (pur essendo lui stesso ebreo).
«Nel suo scritto "La questione ebraica", questa intolleranza era ancora velata dalla dialettica hegeliana; ma nel ritratto che egli faceva del suo amico e rivale Ferdinand Lassale», scrive Poliakov, «tutti i pregiudizi e tutti i furori del razzismo volgare sembravano essersi dati appuntamento» . Ecco cosa scriveva Marx: «Vedo ora chiaramente che egli discende, come mostrano la forma della sua testa e la sua capigliatura, dai Negri che si sono congiunti agli Ebrei al tempo della fuga dall'Egitto (a meno che non siano sua madre o sua nonna paterna che si sono incrociate con un negro... ) L'importunità dell'uomo è altresì negroide».
Non sarebbe il caso, per il "pensiero progressista", di fare una "piccola" revisione culturale?www.antoniosocci.it

Obama non paga i supporters

LAVORO NERO
Andrea Morigi
Pubblicato il giorno: 07/11/08
Non è nemmeno spuntata la nuova alba della ridistribuzione della ricchezza ed ecco già le sue prime vittime.
Non sono i bianchi benestanti, conservatori e razzisti, ma i poveri negri che hanno lavorato per Barack Obama. E ora se ne pentono.
Ordinatamente in coda per ore davanti alla sede dei Democratici a Indianapolis, il mattino dopo la vittoria, diverse centinaia di persone quasi tutte di colore, reclamavano infuriate il pagamento per le attività svolte negli ultimi giorni di campagna elettorale: telefonate a tappeto e propaganda capillare.
Bravi, è stata dura, ma ce l'abbiamo fatta. È una svolta storica per il mondo.
In cambio, tanti complimenti e ringraziamenti per l'impegno profuso.
Soldi? No.
Passa la voce che li stanno fregando.
Tanto che, per evitare la rivolta degli schiavi, arriva anche la polizia della contea a transennare l'area. Se qualcuno osa comportarsi male, si manganella. È il nuovo corso.
Fino al giorno prima, gli slogan del senatore dell'Illinois affermavano che «il dissenso è patriottico». Raggiunto il potere, si cambia la parola d'ordine ed è troppo tardi per ripensarci. I militanti diventano volontari, come a Cuba, dove peraltro gli afro-americani sono stati esclusi dai privilegi della casta.i poveri illusi.
Senonché, arriva la stampa locale, non tutta asservita al nuovo regime a stelle e strisce. La tv Whtr.com riprende e manda sul web le testimonianze dei precari delusi. Si vedono facce e si sentono parlate da ghetto segregazionista, ma non mancano nemmeno i bianchi, soprattutto donne obese e uomini con la barba sfatta.
Non dei radical-chic, ma dei poveracci.
Dicono di credere ancora al sogno di Obama.
Ma avevano concordato una retribuzione minima per una prestazione temporanea: turni di tre ore di lavoro per un totale di 30 dollari, da corrispondersi mediante una carta di credito prepagata. Non volevano mica posto fisso, contributi, assistenza sanitaria o ferie. Solo quanto pattuito.
Poi il il sito Drudge Report rilancia la notizia e un po' lo scandalo che si amplia, un po' a forza di proteste, lo staff di Obama scuce un po' di grana. Mica tutta, però.
«Dovevo prendere 480 dollari. Me ne hanno dati 230», lamenta Imani Sankofa.
Neanche a Charles Martin tornano i conti: «Ci dovevano dare 10 dollari l'ora. Abbiamo calcolato tutto. Ho segnato tutte le ore e mi risultavano 120 dollari. Invece ne ho presi solo 90».
Randall Waldon gira e rigira la ricevuta fra le mani: «Ma come? Ho lavorato nove ore al giorno per quattro giorni e sono stato pagato la metà di quanto avrei dovuto guadagnare».
Mistero fitto su chi abbia intascato la differenza. C'è chi sospetta che magari si tratti di ritenute fiscali alla fonte. Obama come sostituto d'imposta.
Eppure lo aveva detto e ripetuto per mesi il candidato repubblicano John McCain: se non andrò io alla Casa Bianca, sicuramente le tasse aumenteranno. Facile previsione, benché non gli abbiano creduto in molti. Ma una svolta così repentina, nemmeno lui era stato in grado di prevederla.promesse mancate.
Chi non è soddisfatto è invitato a riempire un modulo. Avanza spedita la burocrazia. Pare che risponderanno ai reclami per posta elettronica o per telefono, tanto per non trovarsi più quella folla di straccioni fisicamente tra i piedi. Oppure, se vogliono, i precari delusi possono continuare a dare la colpa a Bush, alla crisi economica e agli sfruttatori del popolo che stanno a Wall Street. Non li consolerà, ma lo hanno già fatto gratis per due anni. Ora raccolgono quanto hanno seminato. Fra l'altro, è consigliabile abituarsi alle promesse mancate, durante i quattro anni di mandato presidenziale del loro beniamino.
Se invece avessero letto bene il programma del neo-presidente, si sarebbero accorti che la ricetta per rilanciare l'occupazione consiste nella creazione di 5 milioni di posti di lavoro "verdi". Tutti legati allo sviluppo di biocarburanti, di impianti non inquinanti, dell'energia rinnovabile. Ma siccome il debito pubblico è alto come non mai, l'unico "cambiamento" di colore in vista riguarderà le tasche dei lavoratori, che passeranno dal verde speranza al verde cupo.

giovedì 6 novembre 2008

Gli amici di Hussein

Dal CORRIERE della SERA del 30 ottobre 2008:
WASHINGTON — Sceso in Florida, lo Stato americano dove il voto della comunità ebraica è rilevante, John McCain ha calato contro l'avversario la carta del «terrorismo».
Per farlo ha criticato il Los Angeles Times che non ha reso pubblico un video che mostra i contatti tra Obama e Rashid Khalidi, oggi professore alla Columbia University ma in passato legato all'Olp di Arafat.
Il quotidiano, che si è dichiarato a favore del democratico, ha replicato: non lo abbiamo diffuso perché questo era l'impegno preso con la «fonte» che ce lo ha fornito.
In realtà il quotidiano aveva tirato fuori la storia in aprile con un articolo che raccontava i contatti di Obama con Khalidi. Secondo il quotidiano erano compagni di cene, si frequentavano con le mogli.
E nel 2003 quando il professore ha lasciato l'università di Chicago, Obama lo ha festeggiato con un brindisi documentato dal video. In quell'occasione sarebbe stato presente anche l'altro amico scomodo: l'ex terrorista Bill Ayers. «Spero che negli anni a seguire continueremo a discutere... Una discussione che è necessaria non solo attorno al tavolo da pranzo di Mouna e Rashid ma attorno a questo mondo», sarebbero state le parole del candidato democratico.
Un non-perdiamoci- di-vista che per gli avversari contrasta con le dichiarazioni di Obama quando, nei mesi scorsi, ha cercato di prendere le distanze dal palestinese: «Non è uno dei miei consiglieri, è uno stimato professore anche se è fortemente in disaccordo con la politica di Israele».
Ed è questo il punto per gli accusatori.
Khalidi, nato a New York nel 1950 da padre palestinese e madre libanese, è stato accusato di aver svolto il ruolo di portavoce dell'Olp una ventina di anni fa e di aver diretto l'agenzia Wafa nei tardi anni '70 quando l'organizzazione era un nemico degli Stati Uniti.
Addebiti che Rashid ha sempre respinto, riconoscendo però il suo lavoro di consigliere della delegazione palestinese alla conferenza di Madrid (1991), appuntamento dove si parlava di pace e non di guerra.
Certamente il professore, durante il suo lavoro accademico, non ha rinunciato a denunciare «il sistema di apartheid» creato da Israele.
Per gli uomini di McCain è sufficiente per dimostrare le pericolose relazioni del democratico e denunciare il comportamento partigiano della grande stampa.
Un affondo che tiene conto di quanto «gira » su Internet, dove ambienti conservatori e alcuni gruppuscoli ebraici presentano una vittoria di Obama come «l'Apocalisse» .
E dunque i contatti con Khalidi e Ayers, secondo i detrattori, costituiscono la prova del pericolo incombente. Un messaggio che ha fatto proprio anche il mitico «Joe the plumber» (Joe l'idraulico) , l'uomo che per i repubblicani rappresenta l'americano medio.
Durante un comizio, una persona ha chiesto a Samuel Wurzelbacher — questo il vero nome di Joe — se il successo di Obama vuol dire la «fine di Israele », lui ha risposto sicuro: «Ne convengo».
7-11-2008

Gli adoratori nostrani si commuovono

Per capire c'è tempo
Davide Giacalone
Pubblicato il giorno: 06/11/08
Intervento
Obamiti di tutto il mondo unitevi, che trionfi il luogo comune. Vi accorgerete che non esiste l'eroe americano degli antiamericani.
Commuovetevi pure, ma quando vi saranno passati i lucciconi provate a ragionare: quel che ha portato Obama alla Casa Bianca è finito il giorno dell'elezione.
La sua pelle è valsa più di quella che McCain si giocò in Viet Nam, perché l'averla scura segna un passo avanti per l'intero Paese, mentre di quella guerra passata (avviata da un democratico che i cretini immaginano pacifista: Kennedy) si fatica a coltivare il ricordo.
Fra Luther King ed Obama ci sono stati Powell e Rice, ma nessuno dei due era eletto, e questo fa la differenza propagandistica.
La sua oratoria magnetica ha funzionato meglio delle braccine tozze dell'avversario.
Ma non governerà a chiacchiere, e nemmeno con l'epidermide.
La continuità sarà superiore alla rottura. Continuerà il tentativo, già in parte riuscito, di scaricare all'estero il costo dei debiti americani.
Quando la campagna iniziò i due candidati proponevano tagli fiscali o aumento della spesa sociale. La crisi li ha praticamente unificati, cancellando le premesse e riducendole a slogan.
Ed in politica estera il minore unilateralismo di Obama significherà due cose:
a. maggiori spese per noi europei;
b. minore forza a difesa della democrazia.
Dal che derivano maggiori impegni militari e messa a frutto dei buoni rapporti con i potenziali nemici (Berlusconi valorizzerà il rapporto con Putin, mentre a Veltroni dovranno spiegare "the change").
Dire a ceceni e osseti che se la smazzino da soli, ovvero soccombano, sarà sufficiente a garantire la pace?
Con il rinato imperialismo russo sì, se si limiterà alle proprie zone d'influenza, ma neanche quello se riprenderà a giocare su scacchieri diversi, come il medio oriente.
Del resto, Biden non è la Palin, non è oggetto di folklore, è un esperto di politica estera che condivide l'uso delle armi.
E sarà alla Casa Bianca.
E come si regolerà il fondamentalismo islamico?
Se penserà di avere a che fare con Usa indeboliti si ritroverà bombardato, come Bush non avrebbe osato.
L'elezione di Obama è gran bella cosa, segno di una grande democrazia che ha la grazia di una politica non ideologizzata.
Da filoamericano, festeggio.
Gli obamiti nostrani son caciaroni senza testa.
www.davidegiacalone.it

Discorso di John McCain


Grazie. Grazie, amici miei.
Grazie per essere venuti qui in questa bellissima serata in Arizona.
Amici, siamo giunti alla fine di un lungo viaggio. Il popolo americano ha parlato, e ha parlato chiaramente.
Un attimo fa, ho avuto l'onore di chiamare il senatore Barack Obama per congratularmi con lui. Congratularmi con lui per essere stato eletto prossimo Presidente del Paese che entrambi amiamo.[...] Il suo successo solitario impone il mio rispetto per la sua abilità e perseveranza.
Ma che sia riuscito a far questo suscitando le speranze di così tanti milioni di americani che un tempo hanno erroneamente creduto di avere una minima parte nell'elezione di un presidente americano è qualcosa che ammiro profondamente, e lo lodo per l'impresa.
Questa è un'elezione storica, e riconosco il significato speciale che ha per gli afro-americani e per l'orgoglio speciale che stasera devono avere.
Ho sempre creduto che l'America offra opportunità a chiunque abbia la laboriosità e la volontà di impadronirsene. Anche il senatore Obama lo crede. Ma entrambi riconosciamo che, sebbene ci siamo allontanati molto dalle vecchie ingiustizie che un tempo macchiavano la reputazione della nostra nazione e negavano a qualche americano la piena benedizione della cittadinanza americana, il loro ricordo ha ancora avuto il potere di ferire.
Le minoranzeUn secolo fa, l'invito a cena alla Casa Bianca che il Presidente Theodore Roosevelt rivolse a Booker T. Washington fu visto come un oltraggio in molti ambienti. L'America oggi è un mondo lontano dal crudele e pauroso bigottismo di quel tempo. Non c'è evidenza migliore di questo che l'elezione di un afro-americano alla presidenza degli Stati Uniti.[...]Il senatore Obama ha fatto una grande cosa per se stesso e per il suo Paese. Lo applaudo, e gli offro le mie sincere condoglianze per il fatto che la sua amata nonna non abbia vissuto per vedere questo giorno. [...] Obama ed io abbiamo avuto le nostre divergenze, le abbiamo discusse e lui ha prevalso.
Non c'è dubbio che molte di queste divergenze restano.
Questi sono tempi difficili per il nostro Paese. [...] Esorto tutti gli americani che mi hanno sostenuto a unirsi a me [...] ad offrire al nostro prossimo presidente il nostro sincero sforzo a trovare strade da percorrere insieme per trovare i compromessi necessari per appianare le nostre divergenze e aiutare a ristabilire la prosperità, difendere la sicurezza in un mondo pericoloso, e lasciare ai nostri figli un mondo più solido e migliore di quello che abbiamo ereditato. Qualsiasi siano le nostre divergenze, siamo compagni Americani. [...]
È naturale, stanotte, sentire un po' di delusione.
Ma domani, dovremo superarla e lavorare insieme per far muovere ancora il nostro Paese. Abbiamo combattuto il più duramente possibile.
E [...] l'insuccesso è mio, non vostro. Sono così profondamente grato per il grande onore del vostro supporto e per tutto quello che avete fatto per me. Speravo che l'esito fosse diverso, amici.La strada è stata difficile sin dall'inizio, ma il vostro supporto e amicizia non hanno mai vacillato.[. ..]
Sono specialmente grato a mia moglie, Cindy, ai miei figli, alla mia cara madre e a tutta la mia famiglia, e ai molti vecchi e cari amici che mi sono stati a fianco [...].
Sono sempre stato un uomo fortunato, e più che mai lo sono per l'amore e l'incoraggiamento che mi avete dato.Sapete, le campagne sono spesso più dure per la famiglia di un candidato che per il candidato, e questo è stato vero in questa campagna.
Tutto ciò che posso offrire in cambio è il mio amore e la mia gratitudine.
I ringraziamentiSono inoltre davvero grato al governatore Sarah Palin, una delle migliori conduttrici di campagne che abbia mai visto e un'imponente voce nuova nel nostro partito [...], a suo marito Todd e ai loro cinque splendidi figli. [...] Possiamo tutti guardare con grande interesse al suo futuro servizio all'Alaska, al Partito repubblicano e al nostro Paese.
A tutti i miei camerati in campagna, da Rick Davis e Steve Schmidt e Mark Salter, a ogni ultimo volontario che ha lottato così duramente e valorosamente, mese dopo mese, in ciò che a volte è sembrata essere la campagna più impegnativa dei tempi moderni, grazie di cuore.
Un'elezione persa non significa altro per me che il privilegio della vostra fiducia e amicizia.
Non so cosa avremmo potuto fare di più per provare a vincere. Lascerò che altri lo stabiliscano. Ogni candidato commette degli errori, e sono sicuro che io sono tra loro. Ma non voglio spendere un solo momento in futuro a rimpiangere quel che avrei potuto fare.
Questa campagna è stata e rimarrà il grande onore della mia vita, e il mio cuore non è pieno di altro se non gratitudine per l'esperienza e per il popolo americano che mi ha lealmente ascoltato prima di decidere che il Senatore Obama e il mio vecchio amico Senatore Joe Biden avrebbero dovuto avere l'onore di guidarci per i prossimi quattro anni.
Non sarei un americano degno di questo nome se mi rammaricassi per un destino che mi ha concesso lo straordinario privilegio di servire questo paese per mezzo secolo.
Oggi, sono stato un candidato per il più alto incarico nel Paese che amo così tanto. E stasera, resto suo servitore. [...]
Stanotte più di ogni altra notte, tengo stretto nel cuore nient'altro che l'amore per questo Paese e per tutti i suoi cittadini, che sostengano me o il Senatore Obama.Auguro la miglior fortuna all'uomo che è stato il mio avversario e che sarà il mio presidente. E chiedo a tutti gli americani, come ho spesso fatto in questa campagna, di non disperare delle nostre attuali difficoltà, ma di credere, sempre, nella promessa e nella grandezza dell'America, perché niente è inevitabile qui.
Gli Americani non abbandonano mai. Noi non ci arrenderemo mai. Non ci nasconderemo mai dalla storia. Noi facciamo la storia.

Grazie, e Dio vi benedica, e Dio benedica l'America.
Grazie mille a tutti.

(traduzione di Claudio Franceschini)

Discorso di Barack Hussein Obama


Se c'è ancora qualcuno là fuori che continua a dubitare che l'America sia il Paese dove tutto è possibile; che si domanda ancora se il sogno dei nostri fondatori sia vivo nel nostro tempo; che si interroga ancora sul potere della nostra democrazia, stasera ha la sua risposta.È la risposta data dalle file che si sono snodate attorno a scuole e chiese in un numero mai visto nella nostra nazione; dalla gente che ha aspettato per tre o quattro ore, molte delle quali andavano al seggio per la prima volta nella loro vita, perché credevano che stavolta sarebbe stato diverso, che la loro voce avrebbe fatto la differenza.È la risposta pronunciata da giovani e anziani, ricchi e poveri, democratici e repubblicani, neri, bianchi, latini, asiatici, indiani d'America, gay, eterosessuali, disabili e non disabili: americani, che hanno mandato al mondo il messaggio che non siamo mai stati una collezione di Stati rossi e Stati blu. Siamo, e saremo sempre, gli Stati Uniti d'America. È la risposta che ha portato coloro che per tanto tempo sono stati definiti cinici, timorosi, pieni di dubbi su ciò che potevano fare, a mettere mano all'arco della storia e piegarlo ancora una volta verso la speranza di un giorno migliore. C'è voluto tanto tempo, ma stasera, grazie a ciò che abbiamo fatto il cambiamento è arrivato in America.Ho appena ricevuto una telefonata molto cordiale dal senatore McCain.Ha combattuto a lungo e duramente in questa campagna, e ha combattuto ancora più a lungo e ancor più duramente per il Paese che ama. Ha sopportato per l'America sacrifici che tanti di noi non possono neanche immaginare, e gli siamo grati. Mi congratulo con lui e con la governatrice Palin per tutto ciò che hanno raggiunto, e mi auguro di lavorare con loro per rinnovare la promessa della nazione nei prossimi mesi.Voglio ringraziare il mio alleato in questo viaggio: un uomo che ha affrontato la campagna elettorale col cuore e ha parlato in nome e per conto degli uomini e delle donne con i quali è cresciuto nelle strade di Stranton e con i quali ha viaggiato su quel treno verso la casa del Delaware, il vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden.Non sarei qui, stasera, senza l'instancabile sostegno del mio più grande amico degli ultimi sedici anni, la roccia della nostra famiglia e l'amore della mia vita, la prossima First Lady, Michelle Obama.Sasha e Malia, via amo tanto, e vi siete guadagnate il nuovo cucciolo che entrerà con noi alla Casa bianca. E dal momento che non è più con noi, so che mia nonna ci sta guardando, assieme con la famiglia che mi ha reso ciò che sono. Mi mancano, e so che il mio debito nei loro confronti è smisurato. Al manager della mia campagna David Plouffe, al capo della strategia David Axelrdo, e al miglior team mai allestito nella storia della politica: ce l'avete fatta, e sarò per sempre grato per quello che avete sacrificato per riuscire nell'impresa. Ma soprattutto, non dimenticherò mai coloro ai quali questa vittoria appartiene veramente: a voi. La campagna della genteNon sono mai stato il candidato più indicato per questo compito. Non siamo partiti con tanti soldi o tanti sostegni. La nostra campagna non è stata decisa nei corridoi di Washington, ma nei cortili di Des Moines e nelle sale di Concord e nelle verande di Charleston. È stata costruita da uomini e donne che lavorano, che hanno scavato nei loro piccoli risparmi per dare cinque, dieci, venti dollari per questa causa. Ha preso forza dai giovani che hanno rifiutato il mito ell'apatia della loro generazione; che hanno lasciato la casa e la famiglia per lavori che offrivano una paga bassa e poco riposo; dai meno giovani che hanno sfidato il freddo pungente e il caldo soffocante per andare a bussare alla porta di perfetti sconosciuti; dai milioni di americani che hanno fatto attività di volontariato, dimostrando che dopo due secoli un governo del popolo, fatto dal popolo e per il popolo non è scomparso dalla terra. Questa è la vostra vittoria. So che non avete fatto tutto questo solo per vincere delle elezioni e so che non l'avete fatto per me. L'avete fatto perché capite l'enormità del compito che abbiamo davanti. Perché anche se stasera facciamo festa, sappiamo che le sfide che il domani ci porta sono le più grandi della nostra vita: due guerre, un pianeta in pericolo, la peggior crisi finanziaria del secolo. Anche se stiamo qui stasera, sappiamo che ci sono Americani coraggiosi che si stanno svegliando nei deserti dell'Iraq e nelle montagne dell'Afghanistan, dove rischiano la vita per noi. Ci sono madri e padri che veglieranno sul sonno dei loro figli e si chiederanno come pagare il mutuo, o il conto del medico, o se riusciranno a mettere da parte i soldi per il college. C'è energia nuova da sfruttare, ci sono nuovi lavori da creare. Nuove scuole da costruire, minacce da fronteggiare, alleanze da ricostituire. La strada sarà lunga. La scalata sarà scoscesa. Potremmo non arrivare in fondo in un anno, e nemmeno in una legislatura, ma l'America ci arriverà. Ve lo prometto: noi come popolo ci arriveremo. Ci saranno arretramenti e false partenze. Molti non saranno d'accordo con alcune decisioni o politiche che adotterò da Presidente, e sappiamo che il governo non può risolvere ogni problema.Ma sarò sempre onesto con voi sulle sfide che ci troveremo di fronte. Vi ascolterò, soprattutto quando non saremo d'accordo. E soprattutto, vi chiederò di unirci nel lavoro di ricostruire la nazione nell'unico modo in cui è stata costruita per 221 anni: quartiere per quartiere, mattone per mattone, mano callosa per mano callosa. Questa vittoria da sola non è il cambiamento che cerchiamo, è solo la possibilità per noi di realizzare il cambiamento. E che non può accadere ne torniamo a com'erano le cose prima. Non può accedere senza di voi. Patriottismo da ricostruireRicostruiamo un nuovo spirito di patriottismo; di servizio e responsabilità , in cui ciascuno di noi è detereminato a lavorare duro e preoccuparsi non solo per sé ma per gli altri. Ricordiamoci che se la crisi finanziaria ci ha insegnato qualcosa è che non possiamo avere una Wall Street che sale mentre Main Street soffre: in questo Paese risorgiamo o cadiamo come nazione, come un popolo. Dobbiamo ricordare che è stato un uomo di questo Stato a portare per primo la bandiera dei Repubblicani alla Casa Bianca. Sono valori che tutti condividiamo, e mentre il Partito democratico ha conseguito una grande vittoria stasera, noi lo facciamo con una dose di umiltà e determinazione di sanare le divisioni che hanno frenato il nostro progresso. Come disse Lincoln ad una nazione ben più divisa della nostra, «non siamo nemici, ma amici: la passione può averli forzati, ma non romperà mai i nostri legami di affetto». E a quegli americani il cui supporto devo ancora guadagnarmi, dico che potrò non aver vinto il vostro voto, ma sento le vostre voci, ho bisogno del vostro aiuto e sarò anche il vostro presidente.E a tutti quelli che stasera stanno guardando da oltre le nostre coste, da chi sta nei parlamenti e nei palazzi a chi è radunato intorno alle radio negli angoli dimenticati del mondo, dico che le nostre storie sono uniche, ma il nostro destino è condiviso e una nuova alba di leadership americana è a portata di mano. A quelli che vorrebbero distruggere questo mondo, dico che vi sconfiggeremo. A quelli che cercano pace e sicurezza, dico che siamo con voi. E a tutti quelli che si sono chiesti se la fiaccola americana brucia ancora luminosa come prima, dico che stasera abbiamo dimostrato un'altra volta che la vera forza della nostra nazione non proviene dalla forza delle armi, ma dal duraturo potere dei nostri ideali: democrazia, libertà ,opportunità e instancabile speranza. Perché è questo il vero genio dell'America, che l'America può cambiare. La nostra unione può essere perfezionata. E quello che abbiamo già raggiunto ci dà speranza per quello che possiamo e dobbiamo raggiungere domani.Questa elezione ha avuto molte novità e storie che saranno raccontate per generazioni. Ma una che stasera mi torna in mente è quella di una donna che ha votato ad Atlanta: Ann Nixon Cooper ha 106 anni. È nata appena una generazione dopo la schiavitù; un periodo in cui non c'erano auto per strada o aerei nel cielo; quando gente come lei non poteva votare per due motivi: perché era una donna e per il colore della pelle.Sì, noi possiamoE stasera io penso a tutto ciò che ha visto attraverso il suo secolo in America, i dolori e le speranze; gli sforzi e i progressi; le volte che ci hanno detto che non potevamo e le persone che hanno combattuto per questo credo americano: sì, noi possiamo. In un tempo in cui le voci delle donne erano zittite e le loro speranze accantonate, ha vissuto abbastanza per vederle alzarsi e parlare e andare a votare. Sì, noi possiamo. Quando c'era disperazione nel Dust bowl e depressione nel Paese, ha visto una nazione sbaragliare la stessa paura col New Deal, con nuovi posti di lavoro e un nuovo senso dello scopo pubblico. Sì, noi possiamo. Quando le bombe sono cadute sul nostro porto e la tirannia ha minacciato il mondo, era lì a testimoniare l'ascesa di una generazione verso la grandezza, e una democrazia fu salvata. Sì, noi possiamo. Era lì per gli autobus di Montgomery, gli idranti di Birmingham, per un ponte a Selma, e per un predicatore di Atlanta che ha detto: «Noi vinceremo». Sì, noi possiamo. America, siamo arrivati fino a qui. Ma c'è ancora molto da fare. E allora stasera, chiediamo a noi stessi se i nostri figli devono vivere fino a vedere il prossimo secolo; se le mie figlie saranno così fortunate da vivere quanto Ann Dixon Cooper, quali cambiamenti vedranno? Questa è la nostra occasione per rispondere a questa chiamata. Questo è il nostro tempo, per rimettere al lavoro la nostra gente e aprire porte di opportunità per i nostri ragazzi, per ricostruire la prosperità e promuovere la causa della pace, per redimere il sogno americano, per riaffermare quella verità fondamentale, che di tanti, siamo uno. Che mentre respiriamo, speriamo. Che dove siamo accolti con cinismo, e dubbio, e chi ci dice che non possiamo, noi risponderemo con quel credo senza tempo che riassume lo spirito di un popolo: sì, noi possiamo.

Grazie, Dio vi benedica. E Dio benedica gli Usa.

(Traduzione di Marco Gorra e Martino Cervo)

Analisi precedente al voto del 4 novembre

Siamo ormai agli sgoccioli, in America si vota oggi, anche se gia' milioni di cittadini americani aspettando pazientemente in fila hanno gia' votato grazie all' "early voting".
C'e gia' stato un grande afflusso di elettori nella passata settimana, perche' queste elezioni sono considerate come cruciali.
Anche per un osservatore neutrale, la battaglia fra i due contendenti Barack Obama e John McCain per la Casa Bianca e' stata impari sin dall'inizio.
Barack Obama e' il candidato del partito democratico, amato dai media e da tutte le celebrita', che si presenta come un messia infatuato di se stesso, che ripete all'infinito alla folla che gli fa eco, gli slogan: " We are the ones we have been waiting for" e "Yes, we can", preferito dalla quasi totalita' dei media, malgrado sia un candidato il cui passato non sia affatto chiaro e la cui personalita' e' un mistero anche per i giornalisti che lo hanno seguito adesso quasi da due anni. Con tutte le sue illiberali amicizie - non ultima quella di cui molto si discute in questi giorni con un professore palestinese, Rashid Khalidi della Columbia University, che sostiene che Israele e' una "Apartheid system in creation", con cui Obama era molto amico e compagno di merende sin dagli anni '90 a Chicago - ci si chiede chi veramente sia questo Barack Obama, anche se incredibilmente potrebbe divenire Presidente.
Ci si chiede anche come mai quello che e' stato definito il senatore piu' a sinistra (liberal) del Senato - quello che nel 2001 ha rilasciato un intervista dove deprecava che la Warren Court non fosse stata "progressista" abbastanza perche' non interpreto' nella Costituzione Americana la "giustizia economica e distribuitiva ("never ventured into the issues of redistribution of wealth and sort of more basic issues of political and economic justice in this society" Il Chicago Sun Times http://www.suntimes.com/news/huntley/1252150,CST-EDT-hunt31.article, parole in gergo della lotta di classe - possa poi nelle interviste al pubblico sembrare cosi' pacato cosi' centrista cosi' rassicurante.
Salvo poi fare una gaffe enorme nel rispondere a "Joe the Plumber" (l'idraulico) che il suo scopo e' appunto di ridistribuire le ricchezze.
John McCain e' il candidato del partito repubblicano, un vecchio leone e un eroe di guerra che si batte strenuamente per il suo paese, avversato fino alla derisione da tutte le televisioni cosiddette liberali.
In continuazione mettono in risalto, sbeffeggiandola, la goffaggine fisica di McCain, che e' dovuta ad una minorazione delle braccia, per le torture subite ad Hanoi, perche' rivelasse i segreti militari che gli aguzzini non riuscirono ad estorcergli.
I democratici dimenticano che il grande presidente democratico americano Franklin Delano Rooselvelt, si muoveva su una sedia a rotelle e che certo per questo non fu meno grande.
Non fatevi ingannare dall' aspetto di John McCain "I-saw-Putin-in-the-eye-and-I-saw-three-letters-KGB!"
Sara' minato nel corpo ma non nello spirito. In tutte le battaglie che ha mai fatto, lo davano per perdente, ma non per questo si e' arreso, anzi, famosamente e gloriosamente disse "preferisco perdere un'elezione che una guerra" riferendosi alla Guerra in Iraq, e se i nostri soldati stanno vincendo oggi lo dobbiamo anche a lui, perche' ha rifiutato di tirarsi indietro e ha mosso mari e monti perche' ai nostri soldati fosse permesso di impugnare la strategia vincente.
Amiamo la satira perche' e' sinonimo di democrazia, ma non ci piace quando bersaglia unidirezionalmente e ripetitivamente solo il candidato repubblicano e la sua vice Sarah Palin di cui senza pieta' gli avversari hanno detto peste e corna persino nei salotti televisivi, e questo si ripete disgustosamente ogni giorno.
C'e' del marcio sotto, come c'e' del marcio quando Barack Obama e' apparso come se gia' fosse stato investito della presidenza, seduto dietro uno scrittoio, il 31 ottobre in "prime time", nell'ora di maggior ascolto, su sette maggiori stazioni televisive a reti unificate, per chiedere il voto agli elettori al suono del canto patriottico "America The Beautiful".
E costoro sarebbero i cosi' detti liberali, dov'e' andato a finire il pluralismo dell'informazione e dove e' andato a finire il buon giornalismo, ce lo chiediamo!
Questa e' la piu' abietta propaganda indegna di una democrazia, che ci ha nauseati e ci ha fatto rivoltare lo stomaco, infuriati e memori della "par condicio" dei tempi d'oro di Marco Pannella ed Emma Bonino quando apparivano alla televisione italiana con il bavaglio sulla bocca, come dovrebbe apparire ora McCain che e' oscurato da tutti i media che la fanno da padroni, questo e' il piu' becero tentativo di lavaggio del cervello a cui speriamo che gli Americani si sottraggano e ci auguriamo lo respingano con il voto.
Abbiamo fiducia nel popolo americano che pratica la democrazia senza interruzione sin dalla fondazione degli Stati Uniti, il 4 luglio 1776, una democrazia basata sul principio del "Common Sense" di Thomas Paine, quel senso comune che e' ormai radicato nel pragmatismo americano, grazie a quel filosofo e giornalista che scrisse, stampo' e diffuse tra i coloni, il suo pamphlet di 47 pagine, venduto a centinaia di migliaia di copie e scritto con un eloquio semplice e accessibile a tutti, per informarli e prepararli alla rivoluzione contro la tirannide inglese e guidarli alla conquista dell'indipendenza e della democrazia, che avvenne senza gli eccessi e senza tanto spargimento di sangue, come avvenne invece in altre rivoluzioni.
Ci si deve piuttosto chiedere invece da dove Obama tiri fuori tutti quei milioni di dollari e chi lo finanzi per potersi permettere anche di spendere quella cifra iperbolica di denaro solo per quel suo messaggio a reti unificate della durata di mezz'ora.
Neanche il presidente Gorge Bush nel suo tradizionale " state of the Union Address" parla da sette reti unificate.
Di Obama sappiamo poco, non sappiamo con sicurezza dove sia nato, dove abbia frequentato le scuole inferiori e superiori, con quale passaporto abbia viaggiato all'epoca e chi abbia pagato per le sue ingentissime tasse all'Universita'.
Non sappiamo con chiarezza e nonostante la legge McCain-Feingold, chi siano coloro che lo sostengono con donazioni di denaro, ci si chiede se parte del denaro e' di provenienza straniera. Non e' ben chiaro il suo legame con ACORN, un organizzazione ormai investigata in parecchi stati per frode elettorale, tranne che si sa che Obama fu un loro rappresentante in quanto avvocato, e contribui' al loro "operato" anche in qualifica di "leadership trainer" e dono' $ 800,000 alle loro operazioni, inizialmente mascherando il pagamento come un pagamento per "stage, lighting or sound".
Il tutto e' tuttora un mistero!
Ma siamo tranquille che l' alba del 5 Novembre rinforzera' la nostra fiducia nei nostri concittadini, questo non e' un paese da lotta di classe, l' invidia delle ricchezze altrui non alberga qui.
Gli Hugo Chavez del mondo non ci affascinano.
Questo e' il paese dei guadagni col sudore della fronte, questo e' il paese dove tutti a prescindere dai propri natali e anche a prescindere dall' erudizione, possono divenire ricchi domani, se solo ci credono e lavorano duro per perseguire quel fine.
Questo e' il paese dove poliziotti e pompieri si sono lanciati in palazzi in fiamme e pericolanti per salvare coloro che lavoravano li'.
Ve l' immaginate un atto cosi' eroico in un paese di lotta di classe?
I poliziotti in tale paese chiederebbero cosa gli verrebbe in tasca a loro. Direbbero "tengo famiglia"!
No. John McCain vincera' il 4 Novembre.
Non ci saranno sondaggi che tengano.
E quelli che preferiscono una presidenza debole, e un'America pervasa dal malessere europeo della lotta di classe, del finto buonismo, delle tasse alle stelle e dell'antisemitismo di governo, rimarranno delusi.
Piera ed Emanuela Prister
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999930&sez=120&id=26451

Analisi sulla Vittoria di Barack Hussein Obama


Anselma Dall’Olio, al tg1, ha affermato di aver votato per Obama perché ha imparato dalla madre a votare l’alternanza.
Poco credibile. La realtà è molto più concreta.
Nel 2004, ancor prima del voto, sapevo che avrebbe vinto di nuovo ed in larga maggioranza Bush, malgrado i sondaggi favorevoli a Kerry. Un conoscente del Texas (con cui ero in contatto allora), addentro al sistema elettorale, conosceva il preciso numero delle schede elettorali a favore di Bush – le schede, negli Stati Uniti, vengono richieste dall’elettore a seconda della sua preferenza – per cui esortava a non dare retta ai sondaggi e ai media, soprattutto, italiani.
Sono andata a dormire alle 4 del mattino, sull’onda della vittoria di Obama sul 14% di schede spogliate negli Stati che contavano. Di fatto, sia Anselma Dall’Olio che i presenti nello studio ed in diretta sapevano già che il vincitore era Obama.
McCain si è prodigato fino all’ultimo, per assicurarsi una continuità e legittimità futura anche a favore dei suoi eredi politici.
La vittoria plebiscitaria di Obama dimostra l’insussistenza della surreale ipotesi/sorpresa fondata su elettori Democratici che non sarebbero più andati a votare per Obama a causa dei dubbi provocati dagli ultimi interventi di McCain.
La crisi economica è sì il fattore scatenante della vittoria di Obama, ma per le cause taciute, non per quelle note. Attribuita in toto, erroneamente, all’amministrazione Bush – mentre è dovuta a speculazioni al ribasso, all’inside trading e agli speculativi Hegde Funds (ad altissimo rischio, peraltro) che hanno fatto la fortuna di George Soros con cui ha abbattuto le economie di sei Stati negli anni ’90, assicurando tra l’altro la doppia presidenza Clinton – è stata una cinica strategia elettorale sulla quale è stato fondato il successo del voto Democratico.
Troppo tardi se ne sono accorti in casa Repubblicana, questo è il più grave peccato dell’amministrazione Bush. Forse, i Repubblicani, rigorosamente fedeli ai principi dei Padri Fondatori, non hanno voluto credere che si arrivasse all’uso di una politica finanziaria suicida negli Stati Uniti sull’onda dei disastri speculativi alle Borse estere degli anni ‘90.
L’affondo è arrivato proprio mentre la stella di McCain era in netta ascesa. Troppo tardi, e a danno fatto, è arrivata la determinazione a voler cambiare il sistema liberista delle piazze finanziarie.
E’ evidente che alcuni grandi capitali e la MidClass di casa Repubblicana hanno sacrificato McCain a causa di questo grave errore dell’amministrazione Bush che andava regolato al primo mandato. Malgrado McCain abbia avuto un ruolo rilevante nel fallimento dell’ormai illecita Lehman Brothers, dimostrando così la sua ferma intenzione di stabilire regole etiche e di trasparenza nel mercato borsistico, non gli è stata data fiducia, perché con la crisi economica aumentava l’elaborazione mediatica mitizzante e salvifica di Obama.
Di Obama conosciamo l’inesperienza in tutti i campi, perché da Governatore ha lavorato solo un anno.
L’unico dato concreto del suo impegno ci viene dal suo voto contrario al Senato sulla risoluzione che intendeva annoverare la Guardia Repubblicana Iraniana tra le organizzazioni terroristiche.
Sommato alle sue dichiarazioni in campagna elettorale sulla sua disponibilità a voler incontrare Ahmadinejad – poi ritrattato a favore di moderati (sic) iraniani – senza pre-condizioni, abbiamo la direzione nella quale intende muoversi il neo presidente.
Sull’impreparazione di Obama, viene replicato che Obama ha dei consiglieri eccezionali.
Chi sono?
Sono i guru che scatenano da decenni i campus universitari e l’intelligentia dell’élite Democratica nell’odio viscerale ad Israele.
Sono Carter e Brezinsky.
Di fatto, è il loro ritorno. Sono loro che tirano le fila dei grandi quotidiani Liberal che dominano il pensiero radical chic europeo filo arabo.
La Borsa stamani risponde male alla vittoria di Obama, dopo due giorni in ottima tendenza.
E’ un brutto segnale che va nel senso del detto: “chi di spada ferisce, di spada perisce”?
Tutto farebbe pensare che i Repubblicani impediranno alla “sporca” vittoria elettorale Democratica il decollo del trinomio Obama-Carter-Brezinsky in aggiunta ad un Congresso a maggioranza Democratica, costringendoli a scendere a pragmatiche alleanze. Attendo faville anche dai Clinton.
Barack, il Benedetto, viene salutato festosamente dalle folle musulmane e terzomondiste.
Così abbiamo, che coincidenza!, due Benedetti ai più alti vertici nello stesso periodo temporale. Obama si insedierà alla Casa Bianca il prossimo gennaio 2009. Nel frattempo, sarà presente al primo grande appuntamento internazionale: il G-8 insieme a Bush.
Vi parteciperà poi Bush, considerata la posizione di appeasement di Obama verso la Russia?
Che faranno i generali USA che ancora guidano sul terreno l’esercito in Afghanistan ed in Iraq? Intanto. Israele ieri ha condotto un raid a Gaza, uccidendo sei palestinesi di Hamas, per distruggere un tunnel – non per il contrabbando d’armi, basti vedere il luogo – scavato per la continuativa strategia di rapimento di soldati israeliani al confine.
Tra stanotte e stamani, una pioggia di razzi (20) da Gaza contro Sderot e Ashkelon ha salutato la vittoria di Obama. Nessun ferito per fortuna, ma choc tra i residenti.
Dopo due anni di silenzio, ieri si è fatto risentire Mohammed Deif il leader del braccio armato di Hamas, il pluriricercato terrorista responsabile della strage di decine di israeliani, incitando a continuare la guerra di distruzione di Israele.
L’Iran, oggi, ha denunciato la presenza di elicotteri americani troppo vicini al suo confine.
Da due giorni Hitzballah si dichiara contraria ai confini della Linea Blu tracciata dalle Nazioni Unite dopo il ritiro unilaterale di Israele dal Libano ed accettato, va sottolineato, all’unamità dai paesi confinanti.
Improvvisamente, ieri, il Bahrein ha detto di voler ripristinare l’ufficio del boicottaggio contro Israle.
Eccome, se costoro sapevano della vittoria di Obama!
Quanti capitali arabi ed islamici hanno concorso alla crisi economica americana per far eleggere Obama?!
Il prossimo aprile vedrà l’onta di Durban 2, da cui fin’ora si sono astenuti gli Stati Uniti insieme ad Israele ed al Canada.
Se la vittoria di McCain era proiettata ad un periodo difficile da risolvere, i tempi di Obama si pronosticano terribili.
Il peggio è già in atto, il prevedibile lo pagheremo tutto noi europei e pare anche l’Asia: sia economicamente che per un aumento conflittuale nel Mediterraneo, se non addirittura una guerra con effetto domino.
Sempre che non accada il miracolo di un risveglio tempista americano e di uno storico ribaltamento anche da parte di un elettorato tradito.
Intanto, le nostre piazze mediatiche e politiche esultano da stanotte per il populista Benedetto messia dell’islam, dei suoi amici e dei parassiti.
E sempre più ci accorgiamo di quale danno esercitino i media grazie all’ignoranza, ormai inconsapevole, delle masse.

Danielle Sussmann
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=26463

mercoledì 5 novembre 2008

Il Presidente degli Stati Uniti d'America


Barak Hussein Obama è stato eletto Presidente degli Stati Uniti d’America

Prima di analizzare la cosa è bene dare una chiara ed inequivocabile affermazione di principio: a qualsiasi giudizio potremo arrivare, ciò prescinderà dalla razza e dal colore della pelle del neo-Presidente della prima Potenza militare ed economica mondiale. Non valgono le origini ma l’intelligenza e le capacità, le caratteristiche personali e le leasons politiche della Persona che guiderà gli U.S.A., incidendo anche profondamente sulle vicende politiche ed economiche che riguardano il mondo intero, Europa e la debole Italia in primo piano.

Noi crediamo che il Presidente Obama non sia mai riuscito a chiarire perfettamente gli obiettivi che vuole perseguire con la Sua amministrazione quadriennale, e tantomeno a spiegare le proprie origini religiose politico-economiche e le proprie “amicizie “.
In America, come da noi, all’ inizio dell’ avventura tutti si chiedevano, ad esempio, da dove provenissero le valanghe di milioni di dollari di cui disponeva il Partito Democratico americano per sostenere la faraonica campagna elettorale iniziata. Poi …. tutto si è dimenticato e da qualsiasi parte, tutti affascinati dalla grinta, dal carisma e dalla simpatia personale del giovane candidato democratico. Un istrione che portato certamente ed indiscutibilmente una ventata di cambiamento alla Casa Bianca: un meticcio che mette d’accordo bianchi e neri, e ciò è importante per la grande massa della piccola gente.

E’ risultato importante anche per la elite politica e finanziaria ?
Non lo crediamo.
Crediamo piuttosto che Barak Hussein Obama <<>> non sia altro che una scelta mirata da parte del mondo delle multinazionali mondiali, ed in particolarmente delle componenti islamiche che ormai ne hanno un rilevante livello di controllo.
Petrolio. Nucleare. Energia.

Tutto ora è da scoprire, perché non può che cambiare tutto.
Noi temiamo che tutto ciò significhi una sola cosa: il mondo islamico si allarga sempre più, occupa sempre più spazi e tende a governare, con ancora migliorate possibilità di riuscita dopo la svolta Americana, il mondo, cominciando con l’impadronirsi del settore finanziario per arrivare ad un sogno grande dell’ Islam: il Grande Califfato Mondiale.
Se tali eventualità dovessero realizzarsi, quale forza si potrà contrapporre ad essa ?

Siamo curiosi di sapere i risultati dei previsti incontri tra il pazzo presidente dell’ Iran e Barak Hussein Obama: basilare, per l’ avvenire del mondo, sarà la questione del Nucleare in Iran.
Siamo curiosi di vedere come sarà in generale la politica estera degli Stati Uniti, perché crediamo che subirà delle variazioni importanti. Noi europei ne saremo i più esposti.
E’ in atto una forte corsa gli armamenti, da parte di paesi emergenti <> ma anche da Russia e America ed altri ancora. E’ nelle possibilità che la crisi economica mondiale, se non avesse fine o non fosse contenuta in termini accettabili, possa sfociare in un conflitto mondiale = spinte all’economia militare = distruzioni = ricostruzioni con la definitiva ripresa della economia mondiale.
Obama non ha parte in questa scacchiera ? Ci credo poco.

Mariano Scavo per tolleranza0
http://www.tolleranza0.ilcannocchiale.it/
mercoledì, 5 novembre 2008

martedì 4 novembre 2008

Ma se vince Barack saranno guai

martedì 04 novembre 2008, 07:00
Ma se vince Barack saranno guai
di Maria Giovanna Maglie
Quel che gli europei, e segnatamente gli italiani, pensano di Barack Hussein Obama importa meno di nulla agli americani che oggi votano il loro presidente.
Non che gli elettori non sappiano che la scelta che faranno influenzerà anche le sorti del resto del mondo, ma per fortuna mantengono un equilibrio e un senso di quel che è bene per l’America che noi non conosciamo, purtroppo.
Ma anche per questa ragione il nostro dibattere furiosamente su chi sia il miglior presidente, chi l’innovativo, il carismatico, l’affascinante, l’erede di Kennedy, chi invece il vecchio, lo stanco, il noioso, l’erede di Bush, è un po’ ridicolo.
Nessun cretino e nessun comunista diventa presidente di quel Paese, e anche quando viene eletto uno poco capace, come è successo con Jimmy Carter, il ruolo straordinario attribuito al capo di Stato e comandante delle forze armate è tale che il secondo mandato l’incapace non lo vince.
Negli ultimi 40 anni, oltre a Carter, gli americani hanno avuto un solo altro presidente democratico, per otto anni, rieletto nonostante lo scandalo e il tentato impeachement.
Si chiama Bill Clinton, è stato un grande statista, baciato anche dalla fortuna di un’età dell’oro dell’economia americana. Ma Bill Clinton è stato anche un centrista, come usiamo dire noi con brutto termine, un liberale moderato.
Detesta Obama, anche se gli è toccato un comizio, uno solo, di abbraccio con il candidato.
Sa che è un protezionista selvaggio, che è contrario infantilmente alla costruzione di nuove centrali nucleari, che ritirerà incoscientemente le truppe dall’Irak, che nessun economista di alto livello, come ha giustissimamente scritto ieri Nicola Porro, citando il no a Obama del premio Nobel 2004, Edward Prescott, indignato per un programma che renderebbe gli Stati Uniti simili alla depressa Europa, accetterebbe di lavorare con lui.
Bill Clinton, e chiunque conosca bene il candidato repubblicano, sa anche che John McCain si è sempre battuto contro le due agenzie governative che hanno favorito la bolla speculativa sui mutui.
Sa anche che aumenterebbe le truppe in Irak fino a pacificare definitivamente quel Paese e con quello aiutare l’intera area contro le dittature e contro il terrorismo.
Sa che McCain sarebbe pronto a costruire 45 centrali nucleari, e queste sono gli unici veicoli che i Paesi occidentali hanno per staccarsi dalla dipendenza energetica dal petrolio.
Certo, McCain ha meno carisma di Obama. Ma di qui a paragonare Barack a Silvio Berlusconi ce ne passa molto. Non solo perché un presidente degli Stati Uniti è molto di più e qualcosa di molto diverso da un presidente del Consiglio dei ministri italiano; non solo perché attribuire a qualche statista il successo solo per una capacità di rompere le regole e di avere carisma è ben poco e anche un po’ pericoloso rispetto alle sorti di una democrazia. Ma anche perché veramente non è così, veramente qualunque politico americano non assomiglia a nessun politico italiano ed europeo.
Infine, nell’augurarmi, da cronista ventennale di politica internazionale, che non vinca Barack Obama, oppure, nonostante non sia né un cretino né comunista, ma solo un populista poco esperto e poco capace, saranno guai per molti, mi domando che cosa la visione di Barack Obama c’entri con la riforma della scuola dell’attuale ministro della Pubblica istruzione.
Se è così, devo andare a rileggermi quella riforma, preoccupandomi.

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=303393

Io sto con McCain


Io sto con McCain perché credo nei valori americani

Antonio Martino

Pubblicato il giorno: 04/11/08I

ntervento

Oggi oltre cento milioni di cittadini americani decideranno non solo il destino del loro Paese ma in un certo senso anche quello del mondo.

Queste non sono elezioni normali: i due candidati sono molto diversi fra loro ed offrono programmi drasticamente differenti. Questo spiega l'enorme affluenza alle urne che si è già manifestata nel caso delle elezioni anticipate e che si prevede verrà confermata domani: si prevede addirittura un 60% di votanti.

In passato, l'affluenza era quasi sempre molto bassa, il che forniva ai critici dell'America il pretesto per criticarne la democrazia.

Si trattava invece, come ripetutamente sottolineato, di un segno della solidità delle istituzioni democratiche americane.In un sistema maggioritario uninominale e bipartitico è normale che entrambi i candidati cerchino di catturare il voto dell'elettore mediano, che è quello che decide l'esito delle elezioni.

Così facendo, i loro programmi finiscono per convergere, le differenze si riducono e gli elettori pervengono alla conclusione che il risultato elettorale non cambierà molto le cose, sia che vinca l'uno o l'altro candidato. Decidono quindi che non valga la pena andare a votare.

Stavolta è diverso, stavolta i due programmi sono radicalmente contrastanti ed i due candidati non potrebbero essere più dissimili.

Quasi nessuno ha sottolineato che la svolta storica di un candidato di colore alla Casa Bianca è stata in un certo senso agevolata dalle scelte di un Presidente per molti versi rivoluzionario: George W. Bush.

Bush ha nominato per la prima volta nella storia degli Stati Uniti d'America un nero Segretario di Stato.

In passato sarebbe stato considerato impensabile.

Non contento di questo, Bush ha anche nominato per la prima volta nella storia americana una donna, per di più di colore, Segretario di Stato.

La scelta di Colin Powell prima e Condoleeza Rice dopo dimostra quanto rivoluzionaria sia stata la presidenza Bush nella storia americana.

Le sinistre, sempre propense a predicare un femminismo di maniera ed a proclamarsi appassionatamente anti-razziste, non hanno colto la rivoluzionaria novità di queste scelte ed invece di elogiarle e tessere le lodi di un uomo ed una donna di grande valore li hanno aggrediti. Colin Powell e Condoleeza Rice hanno preceduto Obama nella storia dell'emancipazione degli afro-americani grazie alla lungimiranza di un Presidente repubblicano.

Come i lettori di questo giornale sanno, io tifo per John McCain, un uomo che ha dato prova di grandissimo coraggio in Vietnam, in guerra, e nel Senato degli Stati Uniti in tempo di pace.

La stampa che in passato aveva sempre lodato McCain per indipendenza e coraggio, ora ha cambiato musica.

Ricordo ancora quando Roberta McCain mi disse: «I giornali parlano bene di John e la cosa mi preoccupa: non sarà diventato di sinistra?».

Ora la grande stampa della sinistra americana tifa per Obama, ha dimenticato la sua simpatia per McCain e non trova di meglio da fare che criticarlo.

Il premio Nobel per le scienze economiche del 2004 Edward Prescott si è rifiutato di entrare nel panel di economisti di Obama affermando: «Sapete perché l'Europa è così depressa rispetto agli Stati Uniti? Perché segue le politiche che Obama propone».

Come europeo conosco bene il significato di quel giudizio; per questo mi auguro che vinca McCain, di tutto abbiamo bisogno tranne che di un'America in perenne ristagno.

sabato 1 novembre 2008

Elezioni USA


Elezioni Usa 2008/ Istruzioni per l'uso
Il sistema elettorale americano, i grandi elettori, il voto elettronico. Come si esprimono i suffragi nella più grande democrazia occidentale
Pubblicato il 30/10/08
Si dice che in Usa vota meno della metà della popolazione. In realtà le stime dell'affluenza sono sempre oggetto di grandi dibattiti perché spesso non è chiaro quando se ne parla se le cifre presentante siano calcolate sulla base della popolazione, della popolazione in età di votare o degli elettori registrati.
Si vota il 4 novembre oltre che per eleggere il Presidente, anche per rinnovare l’intera Camera dei Rappresentanti (435 deputati) e un terzo del Senato (la Camera alta conta 100 seggi in tutto).
Non solo la Casa Bianca: oltre alla sfida fra il democratico Barack Obama e il repubblicano John McCain che sta catalizzando l’attenzione del mondo, il 4 novembre è in palio negli Stati Uniti anche il potere legislativo.
Chi può votare
Per votare un cittadino americano deve essere iscritto alla lista degli “elettori registrati”, come repubblicano, democratico o indipendente (potrà poi ovviamente votare come vuole).
I termini di scadenza della registrazione variano da Stato a Stato.
L'elettore può recarsi ai seggi il giorno del voto.
Anche il sistema di voto (manuale, elettronico, tramite scheda perforata) varia da Stato a Stato.
In una trentina di stati quest’anno inoltre è possibile il voto anticipato (precedentemente richiesto): l'elettore si reca alle urne e vota come se fosse il 4 novembre; oppure può votare per corrispondenza o per email, anche qui le norme sono variabili.
L’orario di apertura dei seggi può variare a seconda degli Stati; in ogni caso i risultati affluiscono man mano che i seggi chiudono, da est verso ovest seguendo il fuso orario.
Gli ultimi risultati dunque dovrebbero giungere dalla California, dove i seggi chiudono alle 20, quando a New York saranno già le 23 e in Italia già le 5 del mattino.
Come si decide il presidente
L’elezione dei deputati e dei senatori avviene in scontri diretti (ci sono due senatori per ogni Stato, e un numero di rappresentanti (deputati) variabili a seconda della popolazione), vince ovviamente chi ottiene la maggioranza dei voti popolari in ogni scontro diretto.
L’elezione del Presidente degli Stati Uniti ufficialmente è indiretta: votano per lui nel mese di novembre i 538 Grandi Elettori scelti in ogni Stato. Questa antica pratica è pura formalità: ma significa che in ogni Stato si vota per eleggere un certo numero di Grandi Elettori, o voti elettorali.
Il numero dipende dalla popolazione dello Stato.
Per esempio la California ne ha ben 55. Tranne che in Maine e in Nebraska, dove i voti elettorali vengono attribuiti proporzionalmente, negli altri Stati chi vince il voto popolare fosse pure per una preferenza si accaparra tutti i Grandi elettori dello Stato.
Servono 270 voti elettorali per vincere la Casa Bianca quindi i candidati fanno i conti di quali Stati devono ottenere per avere il totale necessario, e di dove conviene loro fare campagna elettorale (inutile per un democratico fare campagna in uno Stato come il Texas “profondo rosso”, il colore repubblicano, o per un repubblicano spendere soldi in uno Stato “profondo blu” come il New York).
http://notizie.alice.it/esteri/elezioni_usa_2008_voto.html?pmk=nothpstr2

Barack Hussein Obama


Ho paura di Obama


Ho paura di Obama e il colore della pelle non c’entra proprio niente.
Le presidenziali degli Stati Uniti ci riguardano e come.
Quando cade un vaso a Washington, il rumore ed i cocci giungono sino a noi. Se, poi, è Wall Street a perdere la brocca, allora sono cavoli nostri, perché al di là dell’Atlantico possiedono la mirabile abilità di redistribuire sugli alleati perdite e quant’altre sciagure scaturite dalle loro creatività finanziarie.
La progressiva svalutazione del biglietto verde, giunto poco fa quasi sulla soglia di due dollari per un euro, serviva a farci ampiamente e in eccesso concorrere - ed è stato giusto - alle spese militari che gli Usa sostengono nella difesa dell’ordine pubblico mondiale, in specie contro Al Qaeda e il terrorismo.
Personalmente pendo per John McCain, in nome della continuità della politica estera americana, ma soprattutto perché considero Obama pericoloso per se stesso, per gli altri di casa sua e per il resto del mondo, a cominciare dalla vecchia cara Europa e lo Stato di Israele.Israele, lo ribadisco per chi non l’abbia ancora messo a fuoco, è l’avamposto dell’Occidente in un territorio ostile e difficile, dove terroristi, fondamentalisti, forsennati e guerrafondai conservano una forte potenzialità suasiva sulle popolazioni islamiche.
Coloro che invocano la distruzione di tale Fort Alamo - e non mi riferisco soltanto al presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad, che, appena eletto il 24 giugno 2005, mi vanto d’aver, primo in Italia, paragonato a Hitler -, non hanno in mente di spazzar via, selettivamente, soltanto la res publica del popolo di Mosè, bensì - secondo l’imperativo categorico predicato da tutti gli interpreti ufficiali del Corano - di ripartire da lì, per sradicare l’humus valoriale della cultura giudaico-cristiana e convertire all’Islam, con i mezzi commisurati al fine, cioè con la forza, tutti noi europei.A Barak Obama è sfuggita in tv l’espressione: «… my Muslim faith, la mia religione musulmana»; una gaffe, certo, e, tuttavia, inquietante più di un lapsus freudiano.
D’altro canto, il leader democratico è stato educato da cattivi maestri ferocemente antisemiti ed anti-americani: dopo le torri gemelle, il suo massimo pedagogo, Jeremiah A. Wright Jr, esultò, affermando: «L’America ha ciò che si merita… Israele è una parola sporca, un Paese razzista, responsabile dell'11 settembre per condizionare il conflitto israelo-palestinese». Sull’Aids, inoltre, blaterò che era Bush a spargerlo per eliminare i neri.
Non a caso, dunque, Obama dimostra un’attenzione particolare per gli afroamericani di fede islamica, nonché l’implicita e, talora, esplicita disponibilità a «dialogare» con tutti i nemici acerrimi dei nostri modelli istituzionali ed esistenziali.
Da presidente, Obama non dovrà neppure esporsi in maniera conclamata a favore del mondo musulmano.
Gli basterebbe - e questo prevedo che farà - un atteggiamento, per così dire, equidistante, decidendo, in qualità di super partes, l’interruzione graduale del sostegno politico, morale e militare all’unica liberaldemocrazia del Medio Oriente.
Quanto tempo potrà resistere Israele abbandonata al suo destino dalla Casa Bianca?
Con Obama al timone, usque tandem reggerà il sogno realizzato del sionismo?
Tanto la UE continuerà a finanziare i nemici di Israele, pur sapendo perfettamente che questi denari non potranno incidere sulla qualità della vita delle popolazioni arabe, dato che da sempre finiscono o nei conti esteri della nomenklatura o in armi, esplosivi e indennizzi alle famiglie dei kamikaze.
Del pericolo mortale - questo è lo scandalo - non si avvedono certi ricchissimi israeliti di New York e di Hollywood, i quali, anzi, stravedono per Obama, appoggiandolo in maniera acritica e intollerante.
Nulla di nuovo, purtroppo, visto che negli anni 1937-1939, molti intellettuali imbecilli statunitensi, tra i quali Max Lerner , si batterono non a difesa degli israeliti sovietici massacrati dall’Nkvd, bensì contro i liberali americani, che già allora osavano denunciare gli orrori dello stalinismo.

Obama, votato dai Lerner comunisteggianti di oggi, è una mina vagante contro la civiltà giudaico-cristiana.

Giancarlo Lehner
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