martedì 18 dicembre 2007


. VANGELO SECONDO GIOVANNI

1) In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. 2) Hoc erat in principio apud Deum. 3) Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil; quod factum est 4) in ipso vita erat, et vita erat lux hominum, 5) et lux in tenebris lucet, et tenebrae eam non comprehenderunt. 6) Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Johannes; 7) hic venit in testimonium, ut testimonium perhiberet de lumine, ut omnes crederent per illum. 8) Non erat ille lux, sed ut testimonium perhiberet de lumine. 9) Erat lux vera, quae illuminat omnem hominem, veniens in mundum. 10) In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognovit. 11) In propria venit, et sui eum non receperunt. 12) Quotquot autem receperunt eum, dedit eis potestatem filios Dei fieri, his, qui credunt in nomine eius, 13) qui non ex sanguinibus neque ex voluntate carnis neque ex voluntate viri, sed ex Deo nati sunt. 14) Et Verbum caro factum est et habitavit in nobis, et vidimus gloriam eius, gloria quasi Unigeniti a Patre, plenum gratiae et veritatis. 15) Iohannes testimonium perhibet de ipso et clamat dicens: "Hic erat, quem dixi: Qui post me venturus est, ante me factus est, quia prior me erat". 16) Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Et de plenitudine eius nos omnes accepimus, et gratia pro gratia; 17) quia lex per Moysen data est, gratia et veritas per Iesum Christum facta est. 18) Deum nemo vidit umquam, Unigenitus Deus, qui est in sinu Patris, ipse enarravit.

1)In principio era il Verbo, e il Verbo era con Dio e il Verbo era Dio. 2) Egli era, in principio, con Dio: 3)tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla di ciò che esiste è stato fatto. 4)In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;5) la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta.6) Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7)Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui 8) Egli non era la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. 9) Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. 10) Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo ha riconosciuto. 11) Venne fra la sua gente ma i suoi non l'hanno accolto. 12) A quanti però l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13) i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
14) E il Verbo si fece uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come dell'unico Figlio che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. 15) Giovanni gli dà testimonianza e proclama: "Ecco l'uomo del quale ho detto: Quello che verrà dopo di me è avanti a me, perché era prima di me". 17) Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18) Dio nessuno lo ha mai visto: l'unico Figlio che è Dio, ed è in seno al Padre, è lui che lo ha rivelato.

Gesù nacque davvero quel 25 dicembre


Gesù nacque davvero quel 25 dicembre
Autore: Messori, Vittorio
Fonte: Corriere della Sera - 9 luglio 2003 ©
Il Ferragosto non è così lontano ed io devo fare ammenda. Succede, infatti, che in un momento di malumore - e proprio su questo giornale - abbia auspicato che la Chiesa si decida a una modifica del calendario: spostare al 15 di agosto quel che celebra il 25 di dicembre. Un Natale nel deserto estivo, argomentavo, ci libererebbe dalle insopportabili luminarie, dalle stucchevoli slitte con renne e babbinatali, persino dall'obbligo degli auguri e dei regali. Quando tutti sono via, quando le città sono vuote, a chi - e dove - mandare cartoline e consegnare pacchi con nastri e fiocchetti? Non sono i vescovi stessi a tuonare contro quella sorta di orgia consumistica cui sono ridotti i nostri Natali? E allora, spiazziamo i commercianti, spostiamo tutto a Ferragosto. La cosa, osservavo, non sembra impossibile: in effetti, non fu la necessità storica, fu la Chiesa a scegliere il 25 dicembre per contrastare e sostituire le feste pagane nei giorni del solstizio d'inverno. La nascita del Cristo al posto della rinascita del Sol invictus. All'inizio, dunque, ci fu una decisione pastorale che può essere mutata, variando le necessità.
Una provocazione, ovviamente, che si basava però su ciò che è (o, meglio, era) pacificamente ammesso da tutti gli studiosi: la collocazione liturgica del Natale è una scelta arbitraria, senza collegamento con la data della nascita di Gesù, che nessuno sarebbe in grado di determinare. Ebbene, pare proprio che gli esperti si siano sbagliati; e io, ovviamente, con loro. In realtà oggi, anche grazie ai documenti di Qumran, potremmo essere in grado di stabilirlo con precisione: Gesù è nato proprio un 25 dicembre. Una scoperta straordinaria sul serio e che non può essere sospettata di fini apologetici cristiani, visto che la dobbiamo a un docente, ebreo, della Università di Gerusalemme.
Vediamo di capire il meccanismo, che è complesso ma affascinante. Se Gesù è nato un 25 dicembre, il concepimento verginale è avvenuto, ovviamente, 9 mesi prima. E, in effetti, i calendari cristiani pongono al 25 marzo l'annunciazione a Maria dell'angelo Gabriele. Ma sappiamo dallo stesso Vangelo di Luca che giusto sei mesi prima era stato concepito da Elisabetta il precursore, Giovanni, che sarà detto il Battista. La Chiesa cattolica non ha una festa liturgica per quel concepimento, mentre le antiche Chiese d'Oriente lo celebrano solennemente tra il 23 e il 25 settembre. E, cioè, sei mesi prima dell'Annunciazione a Maria. Una successione di date logica ma basata su tradizioni inverificabili, non su eventi localizzabili nel tempo. Così credevano tutti, fino a tempi recentissimi. In realtà, sembra proprio che non sia così.
In effetti, è giusto dal concepimento di Giovanni che dobbiamo partire. Il Vangelo di Luca si apre con la storia dell'anziana coppia, Zaccaria ed Elisabetta, ormai rassegnata alla sterilità, una delle peggiori disgrazie in Israele. Zaccaria apparteneva alla casta sacerdotale e, un giorno che era di servizio nel tempio di Gerusalemme, ebbe la visione di Gabriele (lo stesso angelo che sei mesi dopo si presenterà a Maria, a Nazareth) che gli annunciava che, malgrado l'età avanzata, lui e la moglie avrebbero avuto un figlio. Dovevano chiamarlo Giovanni e sarebbe stato "grande davanti al Signore".
Luca ha cura di precisare che Zaccaria apparteneva alla classe sacerdotale di Abia e che quando ebbe l'apparizione "officiava nel turno della sua classe". In effetti, coloro che nell'antico Israele appartenevano alla casta sacerdotale erano divisi in 24 classi che, avvicendandosi in ordine immutabile, dovevano prestare servizio liturgico al tempio per una settimana, due volte l'anno. Sapevamo che la classe di Zaccaria, quella di Abia, era l'ottava, nell'elenco ufficiale. Ma quando cadevano i suoi turni di servizio? Nessuno lo sapeva. Ebbene, utilizzando anche ricerche svolte da altri specialisti e lavorando, soprattutto, su testi rinvenuti nella biblioteca essena di Qumran, ecco che l'enigma è stato violato dal professor Shemarjahu Talmon che, come si diceva, insegna alla Università ebraica di Gerusalemme. Lo studioso, cioè, è riuscito a precisare in che ordine cronologico si susseguivano le 24 classi sacerdotali. Quella di Abia prestava servizio liturgico al tempio due volte l'anno, come le altre, e una di quelle volte era nell'ultima settimana di settembre. Dunque, era verosimile la tradizione dei cristiani orientali che pone tra il 23 e il 25 settembre l'annuncio a Zaccaria. Ma questa verosimiglianza si è avvicinata alla certezza perché, stimolati dalla scoperta del professor Talmon, gli studiosi hanno ricostruito la "filiera" di quella tradizione, giungendo alla conclusione che essa proveniva direttamente dalla Chiesa primitiva, giudeo-cristiana, di Gerusalemme. Una memoria antichissima quanto tenacissima, quella delle Chiese d'Oriente, come confermato in molti altri casi.
Ecco, dunque, che ciò che sembrava mitico assume, improvvisamente, nuova verosimiglianza. Una catena di eventi che si estende su 15 mesi: in settembre l'annuncio a Zaccaria e il giorno dopo il concepimento di Giovanni; in marzo, sei mesi dopo, l'annuncio a Maria; in giugno, tre mesi dopo, la nascita di Giovanni; sei mesi dopo, la nascita di Gesù. Con quest'ultimo evento arriviamo giusto al 25 dicembre. Giorno che, dunque, non fu fissato a caso.
Ma sì, pare proprio che il Natale a Ferragosto sia improponibile. Ne farò, dunque, ammenda ma, più che umiliato, piuttosto emozionato: dopo tanti secoli di ricerca accanita i Vangeli non cessano di riservare sorprese. Dettagli apparentemente inutili (che c'importava che Zaccaria appartenesse alla classe sacerdotale di Abia? Nessun esegeta vi prestava attenzione) mostrano all'improvviso la loro ragion d'essere, il loro carattere di segni di una verità nascosta ma precisa. Malgrado tutto, l'avventura cristiana continua.
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2142

Erode e l'uccisione degli Innocenti



Erode e l'uccisione degli Innocenti
Autore: Mattioli, Vitaliano
Fonte: CulturaCattolica.it ©
Erode: chi era costui ?
L'episodio dei Magi coinvolge la figura del re Erode.
Un sovrano con questo nome lo troviamo nel contesto della nascita di Gesù ed alla fine, durante la passione. Pilato, "saputo che Gesù era galileo e che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò a Erode, che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme" (Lc., 23, 7). Fu questo secondo a far decapitare Giovanni il Battista.
Si tratta però di due 'Erodi' diversi, in quanto quello della nascita e dei Magi era morto quando Gesù era ancora bambino (cfr. Mt., 2, 19-20).
Questo Erode, denominato 'Il Grande', era il padre di quello della passione, Erode Antipa (4 a.C-9 d.C.), che aveva avuto dalla samaritana Maltace.
Le notizie ci vengono riferite specialmente dallo storico Giuseppe Flavio nelle due opere: La Guerra Giudaica e Le Antichità Giudaiche.
Suo padre si chiamava Antipatro, giudeo dell'Idumea (regione a sud della Galilea) e la madre Kypros, di origine araba.
Antipatro raggiunse una posizione molto influente in Giudea dopo la conquista romana (63 a.C.) e nel 47 a.C. fu nominato procuratore da Giulio Cesare.
Antipatro ebbe due figli: Fasael ed Erode, nato verso il 73 a.C.
Il nome Erode significa 'discendente da eroi'.
Erode fu certamente un eroe di operosità e tenacia, di sontuosità e magnificenza, ma fu soprattutto un genio di crudeltà e brutalità. Da sfondo faceva una smisurata ambizione ed una frenesia di dominio.
Antipatro, in seguito alla sua nomina a procuratore nominò il figlio Erode a prefetto militare della Galilea.
A questo Erode nel 40 a.C. il senato conferì il titolo di 'Re dei Giudei'. Tuttavia solo dopo tre anni di lotte ininterrotte e di terribili stragi (26) poté ascendere al trono di Giudea e regnare per 33 anni (dal 37 a.C. al 4 a.C.).
In positivo il suo nome è legato alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, iniziata nel 20/19 a.C. La sua dedicazione avvenne dieci anni dopo. Seppure le rifiniture durarono ancora molto tempo (sostanzialmente fino al governo del procuratore Albino, 62-64 d.C.), doveva essere ugualmente bellissimo se gli apostoli un giorno al tramonto del sole dissero affascinati al Signore: "Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!" (Mc., 13,1).
Questo tempio era il terzo: il primo quello costruito da Salomone e distrutto nella campagna di Nabucodonosor nel 586 a.C.; il secondo fu edificato dopo il ritorno dall'esilio babilonese ed inaugurato nel 515 a.C.; questo tempio al tempo di Erode era così decadente che si ritenne meglio abbatterlo e costruirne uno completamente nuovo. Questo terzo tempio fu distrutto nella famosa guerra giudaica nel 67-70 d.C.
Ma, insieme al Tempio, Erode fece costruire anche altri edifici pagani in onore della dea Roma e del divino Augusto a Samaria, a Cesarea al Panion ed altrove.
Questa prodigalità non deve far supporre che si trattava di sentimenti religiosi sinceri. La corte di Erode a Gerusalemme era pagana. Per la corruzione ed oscenità triviale superava di gran lunga le altre corti orientali.
Inoltre si impegnò molto ad abbellire le città con grandi costruzioni e nuovi monumenti civili.
A Gerusalemme costruì un teatro ed un anfiteatro; abbellì la fortezza Baris dei Maccabei, dandole il nome di Antonia in onore del suo protettore Marco Antonio; edificò lo splendido palazzo reale a nord-ovest della città; restaurò la città di Samaria, che chiamò Sebaste in onore di Augusto (Augustus è la latinizzazione del nome greco Sebastos); edificò il palazzo-fortezza Haerodium a sud di Betlemme, ed altro; fondò la nuova capitale Cesarea Marittima, sulla sponda del Mediterraneo.
Siffatta attività gli valse il titolo di Grande.
Ma, nonostante questo, Erode sapeva benissimo che i suoi sudditi lo odiavano e che godevano di qualunque disgrazia familiare che si rovesciava sulla corte, perché Erode non amava il popolo. Al mancato affetto dei sudditi, il monarca suppliva con la coscienza della propria forza; ad ogni manifestazione di rancore popolare rispondeva con ulteriori rivalse e vendette.
Purtroppo Erode è uno degli uomini il cui bene realizzato è offuscato da tantissimo male. Espongo alcune sue 'malefatte' non per gusto di cronaca nera, ma per evidenziare come l'ordine da lui impartito dell'uccisione dei bambini di Betlemme non è un fatto isolato e tantomeno inventato ma del tutto collimante con il suo agire precedente.
Un certo Malico uccise suo padre Antipatro facendolo avvelenare (43 a.C.). Erode per vendicare la morte del padre fece uccidere l'assassino presso Tiro (27).
Inoltre fece imprigionare il fratello Fasael, il quale per disperazione si suicidò fracassandosi la testa contro un muro (28)
Dopo aver ordinato l'uccisione di sua moglie Mariamne I (29 a.C.) (29) nel 7 a.C. dispose la stessa sorte per i due figli avuti da lei: Alessandro ed Aristobulo (30).
Cinque giorni prima di morire fece giustiziare un altro suo figlio Antipatro, avuto da Doris, una delle sue mogli (31).
Infine, sentendo ormai prossima la morte, progettò un ultimo atto di crudeltà. Sapeva che i suoi sudditi avrebbero gioito per la sua scomparsa. Questo lui non lo poteva accettare: tutti dovevano piangere la sua morte. Per questo ordinò alla sorella Salome di convocare a Gerico (dove si trovava ammalato al momento della morte) tutti i grandi del regno, conferendole il mandato di farli uccidere tutti appena lui fosse spirato.
Così ci riferisce Giuseppe Flavio: Erode, sentendosi prossimo alla morte, "giunse al punto di deliberare un'azione ch'era fuor di ogni legge. Radunati infatti da ogni borgata di tutta la Giudea gli uomini più insigni, comandò che fossero chiusi dentro al luogo chiamato Ippodromo; chiamata poi la sorella Salome con suo marito Alexa disse: So che i Giudei faranno festa per la mia morte; eppure io posso essere pianto per altre ragioni ed ottenere uno splendido funerale, qualora voi vogliate seguire le mie commissioni. Questi uomini che stanno rinchiusi, voialtri, quando io sarò spirato, ammazzateli tutti, dopo averli fatti circondare dai soldati, cosicché tutta la Giudea e tutte le famiglie anche non volendo verseranno lacrime per me" (32).
Per fortuna in questo caso la sorella si dimostrò meno crudele del fratello: morto il re rimise tutti i dignitari in libertà.
Erode morì a Gerico nell'aprile del 750 di Roma (= 4 a.C.), all'età di circa 70 anni, dopo sei mesi di atroce malattia.
Il suo cadavere, già in vita roso dai vermi, fu trasportato con grandi onori all'Erodion, palazzo-fortezza che aveva fatto costruire, divenne suo mausoleo.
Sempre secondo Giuseppe Flavio, il funerale si svolse nel modo più splendido possibile: "Erode fu posto su di una lettiga d'oro tempestata di perle preziose e molteplici gemme di diversi colori e una coperta di porpora; anche il morto era vestito con un abito di porpora, portava un diadema sul quale era sistemata una corona d'oro, sul lato destro giaceva il suo scettro" (33).
Erode fu sempre tenacemente attaccato alla sua corona acquistata a gran prezzo e non esitò a sopprimere chiunque potesse considerare un suo ipotetico rivale, fossero anche amici, parenti o gli stessi familiari.

L'eccidio

E' in questo contesto che si può inquadrare il suo turbamento (Mt., 2, 3) circa la notizia ricevuta dai Magi riguardante la nascita del 're dei Giudei' e la seguente reazione nelle strage degli innocenti, i bambini di Betlemme dai due anni in giù.
Circa il numero di questi bambini sono state fatte diverse ipotesi. Forse la più probabile è quella riportata dal Fernández, che lo stabilisce tra i 30 e 40 (34).
Tuttavia il Ricciotti (35) tende ad abbassarlo a 20-25, in quanto probabilmente furono uccisi soltanto i bambini di sesso maschile.
Perché soltanto Luca ne parla?
Queste notizie non facevano molta impressione. Sembra che la stessa Roma di Augusto appresa la notizia (almeno così riferisce lo storico Strabone nel V sec. d.C. nei Saturnalia (II, 4, 11), non ne rimase molto sconvolta: anche a Roma giravano voci di fatti simili. Un episodio interessante ci viene riferito da Svetonio. Costui ci narra che pochi giorni prima della nascita di Augusto, avvenne a Roma un portento interpretato come preannuncio che stava per nascere un re per il popolo romano. Allora il Senato, repubblicano, allarmato da questa notizia, diede ordine che nessun bambino nato in quell'anno fosse allevato e cresciuto, il che significava che dovevano essere abbandonati alla morte.
Quella dei bambini era praticamente una vita senza valore. Commenta il Ricciotti: "Se nell'Urbe arrivò la notizia della strage di Bethlehem sarà stata accolta con sghignazzamenti, quasicché il vecchio monarca avesse ammazzato niente più che una ventina di pulci. La realtà storica è questa: e non si poteva certo pretendere che i Quiriti, per una ventina di piccoli barbari scannati, si commovessero più che per centinaia dei loro propri figli che avevano corso un somigliante pericolo" (36).
Poteva far cronaca eventualmente l'uccisione di un personaggio illustre, non certo quella di alcuni bambini, per lo più non cittadini romani.

Note26) Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XIV, 16, 2-4; XV, 1,2.
27) G. Flavio, A.G., XIV, 11, 3-6.
G. Flavio, Guerra Giudaica, 1, 13, 9-10.
G. Flavio, A.G. XV, 7, 4-5.
G. Flavio, A. G., XVI, 11, 7.
31) G. Flavio, A. G., XVII, 7. Sembra che Erode in tutto ne avesse avute dodici. Per la famiglia di Erode cfr. il prospetto in A. Fernández, o.c., p. 19. 32) G. Flavio, G.G., 1, 33, 6.
33) G. Flavio, A.G., XVII, 8, 3.
34) cfr. A. Fernández, o.c., p. 103.
35) G. Ricciotti, o. c., p. 292.
36) G. Ricciotti, o.c., p. 293.
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2143

Il racconto dei Magi


Il racconto dei Magi
Autore: Mattioli, Viteliano Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it ©
La festa che si occupa di questo episodio viene chiamata "Epifania", vocabolo che significa "manifestazione del Signore". In oriente viene chiamata con il vocabolo più appropriato "Teofania", manifestazione della divinità del Signore.
E' in rapporto a questo significato che in quel giorno si ricordano le tre grandi manifestazioni di Cristo-Dio: l'adorazione dei Magi, il battesimo di Gesù (anche se questa festa oggi è spostata alla domenica seguente) ed il miracolo di Cana.
Di queste tre manifestazioni l'episodio dell'adorazione dei magi ha finito col prevalere diventando in occidente l'unico tema della festa, come si deduce dalle omelie del papa S. Leone Magno.
Per divina ispirazione i magi hanno visto in quel bambino, presentato a loro dalla madre Maria, l'atteso delle Genti ed il figlio di Dio.
Con il tempo tale festa ha assunto anche una connotazione missionaria: manifestazione di Cristo-Dio al mondo pagano. I Magi sono visti dalla tradizione cristiana come la 'primitia gentium', i primi fra i pagani ad aver riconosciuto e adorato il Signore. Per questo il loro culto fu tanto fortunato, diffuso e radicato tra i convertiti dal paganesimo.
Il tema dell' "Adorazione" è diventato uno dei classici nell'arte. Solo due riferimenti tra i tanti. Il primo è il già ricordato sarcofago di Adelfia, dove la scena dei magi si riscontra due volte: sul coperchio e sotto il clipeo. Qui la Madonna appare seduta in cattedra e tiene in braccio il Bambino, che si protende nell'atto di ricevere la corona d'oro gemmata offerta dal primo dei tre Magi. L'altro è il meraviglioso mosaico di S. Apollinare Nuovo in Ravenna.
Anche in questo caso la data è probabilmente presa da una festività egiziana. Ci narra infatti Epifanio di Salamina (+ 403) che in Egitto nella notte tra il 5/6 gennaio si celebrava la nascita del dio Sole Aion dalla vergine Kore e contemporaneamente si celebrava la il culto del Nilo.

Mito o realtà

Diverse volte in quel giorno la gente mi domanda: "Padre, i re magi sono veramente esistiti o si tratta di una leggenda?".
Vediamo prima il racconto evangelico:
"Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s'informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: "A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
E tu, Betlemme, terra di Giuda,
non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda:
da te uscirà infatti un capo
che pascerà il mio popolo, Israele".
"Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: "Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo".
"Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese" (Mt., 2, 1-12).
Oltre ai Vangeli 'canonici' (riconosciuti dalla Chiesa come ispirati), ne parlano anche i vangeli apocrifi.
Il Protovangelo di Giacomo, probabilmente anteriore al IV secolo, (cap. 21-23); il Libro dell'infanzia del Salvatore, circa IX secolo, (cap. 89-91); il Vangelo dello Pseudo Matteo, verso il VI secolo, (cap. 16-17); il Vangelo Arabo dell'infanzia del Salvatore, circa la metà del VI secolo, (cap. 7-9); il Vangelo Armeno dell'Infanzia, fine VI secolo, (cap. V, 10) che ci riferisce anche i nomi, accettati poi normalmente nella tradizione. Riporto solo la citazione di quest'ultimo: " Un angelo del Signore si affrettò di andare al paese dei persiani per prevenire i re magi ed ordinare loro di andare ad adorare il bambino appena nato. Costoro, dopo aver camminato per nove mesi avendo per guida la stella, giunsero alla meta proprio nel momento in cui Maria era appena diventata madre. E' da sapere che in quel momento il regno persiano dominava sopra tutti i re dell'Oriente per il suo potere e le sue vittorie. I re magi erano tre fratelli: Melchiorre, che regnava sui persiani, poi Baldassare che regnava sugli indiani, ed il terzo Gaspare che dominava sul paese degli arabi".
E' anche interessante che il "Libro della Caverna dei Tesori", scritto nel V secolo d.C., ma riferentesi ad un testo siriaco più antico, descrive i Magi come Caldei, re e figli di re, in numero di tre.

Cominciamo dal termine

La parola 'mago' che si usa per indicare questi personaggi non va identificata con il significato che oggi noi diamo. Il vocabolo deriva dal greco 'magoi' e sta ad indicare in primo luogo i membri di una casta sacerdotale persiana (in seguito anche babilonese) che si interessava di astronomia e astrologia. Potremo meglio nominarli: studiosi dei fenomeni celesti.
Nell'antica tradizione persiana i Magi erano i più fedeli ed intimi discepoli di Zoroastro e custodi della sua dottrina. Rivestivano anche un ruolo di primo piano nella religione e vita politica.
L'idea del tempo che ciclicamente si rinnova conduceva il mazdeismo (religione della Persia preislamica) alla costante attesa messianica di un 'Soccorritore divino", il ruolo del quale sarebbe stato quello di aprire ciascuna era di rinnovamento e di rigenerazione dopo la fase di decadenza che l'aveva preceduta. In tal senso il mazdeismo si collega all'attesa messianica. In questa religione si attendevano tre successive, arcane figure di salvatori e rigeneratori del tempo futuro: l'ultimo di essi, il 'Soccorritore', sarebbe nato da una vergine discendente da Zarathustra e avrebbe condotto con sé la resurrezione universale e l'immortalità degli esseri umani. Molte leggende accompagnavano il mito del 'Soccorritore', tra le quali: una stella lo avrebbe annunciato.
Tenendo conto di questo contesto culturale, non fa meraviglia il comportamento dei magi nella descrizione di Matteo.
Il nome generico di provenienza, Oriente, può indicare diverse regioni.
La Babilonia, Mesopotamia, dove si studiava specialmente l'astronomia. Si deve tener conto infatti che in seguito alla terribile distruzione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor nel 586, gli ebrei sopravissuti furono deportati in Babilonia, dove rimasero fino alla liberazione da parte di Ciro nel 539. L'influsso ebraico si fece sentire in quella regione, dove tra l'altro anche dopo la liberazione rimasero a vivere diverse famiglie ebraiche, e dove fu compilato il Talmud Babilonese. Sicuramente a Babilonia le attese messianico giudaiche erano conosciute.
Sotto questo aspetto potrebbe trattarsi anche della Siria. Seleuco I tra il 305-280 vi aveva fondato la città di Antiochia e vi aveva concentrato numerosi giudei deportati dalla Palestina
Una terza possibilità è che i magi provenivano dalla Media. Questa si basa sullo storico greco Erodoto secondo il quale i magi appartenevano ad una delle sei tribù della Media ed esercitavano molta importanza a corte. Erano sacerdoti e venivano chiamati astrologi, indovini, filosofi.
Niente di strano quindi che un gruppo di questi studiosi fosse guidato verso la Giudea da una singolare posizione delle stelle, da far presagire qualcosa di 'strano'.
L'episodio dettagliato di Matteo, la domanda di Erode sul 'tempo' del sorgere della stella permettono di interpretare in forma storica e non allegorica l'esistenza dei magi e l'episodio della stella (19)
Ancora lo Stramare ci permette una meditazione, oltre la curiosità: "Perché Matteo avrebbe usato il termine 'ab oriente', evidentemente molto generico? Senza scartare come risposta la possibilità che Matteo ignorasse effettivamente la località precisa di provenienza, rimane sempre da considerare la sua chiara intenzione di privilegiare in questo racconto l'universalità, contro il particolarismo nel quale era rinchiusa l'attesa ebraica. L'esattezza geografica, infatti, non avrebbe servito in questo caso allo scopo: la chiamata alla fede sarebbe stata estesa semplicemente ad un altro popolo ben determinato, ma non a tutti" (20).

La stella

Molto si è scritto su questa stella. Diverse sono state le ipotesi che possono riassumersi a tre: una cometa, una 'stella nova', una sovrapposizione di satelliti.
E' difficile accettare l'identificazione della stella con la cometa di Halley in quanto comparsa 12 anni prima della nostra era. Precedentemente era stata avvistata nel 240, 164, 88 a.C.; riapparsa anche nel nostro secolo, nel 1910 e nel 1985/86. Del resto nei cieli della Palestina non è apparsa nessuna cometa tra il 17 a.C. ed il 66 d.C.
Non si può neppure pensare ad una 'stella nova', bagliore prolungato emesso da corpi celesti invisibili al momento della loro esplosione. Infatti nell'area di Gerusalemme non ne comparve nessuna tra il 134 a.C. ed il 73 d.C.
La Grande Enciclopedia Illustrata della Bibbia (21) sembra propendere per la terza ipotesi, già condivisa a suo tempo da Keplero: "Di tutte le spiegazioni possibili la più probabile rimane quella, in qualche modo accettabile sulle fonti, secondo cui si è trattato di un'insolita posizione di Giove, l'antica costellazione regale. L'astronomia antica si è occupata dettagliatamente della sua comparsa in un preciso punto dello zodiaco e l'ha identificata, sul grande sfondo di una religiosità mitologico-astrale molto diffusa, con la divinità più alta. Essa era importante soprattutto per gli avvenimenti della storia e del mondo, in quanto i movimenti di Saturno erano facilmente calcolabili. Saturno, il pianeta più lontano secondo gli antichi, era il simbolo del dio del tempo Crono e permetteva immediate deduzioni sul corso della storia. Una congiunzione di Giove e di Saturno in una precisa posizione dello zodiaco aveva certamente un significato tutto particolare. La ricerca più recente si lascia condurre dalla fondata convinzione che la triplice congiunzione Giove-Saturno dell'anno 6/7 a.C. ai confini dello zodiaco, al passaggio tra il segno dei Pesci e quello dell'Ariete, deve aver avuto un enorme valore. Essa risulta importante come una 'grande' congiunzione e, in vista della imminente era del messia (o anche età dell'oro), mise in allarme l'intero mondo antico".
Il Prof. Baima Bollone propende per questa possibilità. Si appoggia su conclusioni dell'astronomia che sostiene che la sovrapposizione di Giove con Saturno si verifica ogni 179 anni; nel periodo in esame avvenne proprio nel 7 a.C. e per ben tre volte: 29 marzo, 3 ottobre, 4 dicembre nella costellazione dei Pesci, secondo i calcoli di Keplero. "Betlemme si trova a pochi chilometri da Gerusalemme, proprio nella direzione in cui la luce nella costellazione dei Pesci poteva essere percepita da viaggiatori che giungessero da Oriente. Tradizione, documenti archeologici e calcoli astrofisici confermano che fu soltanto, ed esattamente nel 7 a.C. che nei cieli della sponda meridionale del Mediterraneo e in Mesopotamia si verificò un fenomeno luminoso nettamente percepibile con gli stessi caratteri di quello dell'episodio dei Magi" (22).
Questa ipotesi sembra affascinante; tuttavia diversi biblisti preferiscono seguire una diversa impostazione.
Il Ricciotti commenta: "In questi tentativi, fuor della buona intenzione, non c'è altro da apprezzare, giacché scelgono una strada totalmente falsa: basta fermarsi un istante sulle particolarità del racconto evangelico per comprendere che quel racconto vuole presentare un fenomeno assolutamente miracoloso, il quale non si può in nessun modo far rientrare nelle leggi stabili di una meteora naturale sebbene rara" (23).
Anche lo studioso Andrés Fernández propende per questa linea: "Altri, infine, sostengono che si trattò di una meteora speciale che non si muoveva secondo le leggi naturali... Dobbiamo preferire la terza ipotesi (questa, dopo quella della congiunzione e di Halley - N.d.A.), l'unica soddisfacente. La stella vista in Oriente si presentava con caratteristiche eccezionali; la sua apparizione non si può spiegare in nessun modo come fenomeno comune ed ordinario; resta pertanto esclusa ogni interpretazione puramente naturalistica... I Magi compresero bene che si trattava di qualcosa al di sopra dell'ordine naturale" (24).
Anche "La Sacra Bibbia", a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma (25) nella Nota al brano di Matteo 2, 2, sostiene la stessa opinione: "La stella, veduta dai Magi, secondo l'opinione più probabile, dedotta dalle sue caratteristiche, era una meteora straordinaria, formata da Dio espressamente per dare ai popoli il lieto annunzio della nascita del Salvatore".

Le reliquie dei Magi

Una legittima curiosità provoca una domanda: ma poi, che fine hanno fatto i Magi?
Il Vangelo ci informa soltanto che "i magi per un'altra strada sono ritornati al loro paese" (Mt., 2, 12). Altro ufficialmente non sappiamo. Per completare il racconto e rispondere alla domanda non abbiamo fonti certe, ma si devono seguire le tradizioni formatesi nel tempo. Del resto non si deve ritenere inutile la questione dato che nei giorni 19 e 20 dicembre 1998 si è svolto all'Abbazia di Chiaravalle (presso Milano) il convegno: "I tre Saggi e la Stella. Mito e Realtà dei Re Magi", organizzato da Identità Europea.
Una tradizione ci dice che i Tre, dopo la loro conversione, sono stati consacrati vescovi dall'apostolo Tommaso e morirono martiri all'età tra i 106 e 118 anni. Sarebbero stati sepolti in India (dove l'apostolo Tommaso avrebbe predicato) ma in luoghi separati.
Un'altra tradizione invece ci dice che sono morti in Persia e sepolti insieme in una grande tomba. Secondo questa tradizione l'imperatrice Elena (madre di Costantino), venutane a conoscenza, avrebbe fatto trasportare le reliquie a Costantinopoli in una grande chiesa fatta costruire apposta per ospitarle. Tuttavia in questa città a quel tempo non si riscontra un culto in onore dei Magi.
Alcuni storici sostengono che queste reliquie nello stesso IV secolo furono trasportate da Costantinopoli a Milano da Eustorgio, vescovo di questa città.
Altri infine ritengono che le reliquie sono giunte in Italia con le crociate, dato che prima di questo periodo a Milano non c'è traccia di questo culto.
Una tradizione lega il vescovo Eustorgio ai Magi. A Milano fu dedicata in suo onore una basilica; già nell'XI secolo vi si trovava una urna preziosa chiamata 'Arca dei Magi' con una stella sopra un pilastro.
Una cosa sembra certa: nel 1162 si sa che le spoglie dei Magi si trovavano in Lombardia. Infatti in questa data il Barbarossa, che aveva raso al suolo Milano, teneva molto alla conservazione di quelle reliquie per appropriarsene, come garanzia di una particolare compiacenza e protezione da parte di Dio.
Si dice anche che nel XIII secolo i Tartari volessero invadere l'Europa proprio per riprendersi i 'loro' Magi.
La presenza delle reliquie nel capoluogo lombardo è testimoniata anche dal culto che si diffuse nella regione. Solo alcuni esempi: nel 1420 nella Certosa di Pavia su un trittico d'avorio sono inserite ben 26 scena della storia dei Magi; nel 1570 in S. Michele a Pavia si affresca una cappella dei Magi; pochi anni prima a Voghera i cistercensi avevano aperto una abbazia intitolata ai Re Magi.
Queste reliquie nel 1164 da Milano sono state trasportare a Colonia in Germania. Attualmente si trovano in una arca-cattedrale nel Duomo di questa città.
Di questo viaggio ci è giunta una particolareggia descrizione del carmelitano Giovanni di Hildesheim nel 1364. Riporta le 42 tappe segnate dall'arcivescovo Reinaldo di Dassel effettuate per il trasporto dell'urna. Il percorso sarebbe: Pavia (dove si trovava il Barbarossa che aveva ordinato il trasferimento), Vercelli, Torino, Alpi.
E Milano? Solo nel 1903 l'arcivescovo di Colonia inviò al suo collega di Milano alcune reliquie consistenti in qualche ossicino.
Queste almeno sono le notizie tramandateci e confermate dal padre Goffredo Viti, professore a Firenze di storia della Chiesa nella relazione, tenuta al Convegno citato, dal titolo: "La reliquie dei Re Magi. Storia di un cammino in terra lombarda".

Note

19) Tarcisio Stramare, Vangelo dei Misteri della vita nascosta di Gesù, Ed. Sardini, Brescia 1998, p. 229.
20) T. Stramare, o.c., p. 234.
21) Grande Enciclopedia Illustrata della Bibbia, o.c., vol. II, p. 294.
22) P. Baima Bollone, o.c., p. 140 con note 20 e 21 a p. 277.
23) G. Ricciotti, o.c., p. 185.
24) A. Fernández, Vita di Gesù Cristo, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1961, p. 100. Per un approfondimento sulla natura della stella: cfr. T. Stramare, o.c., p. 240-248.
25) "La Sacra Bibbia", a cura del Pontificio Istituto Biblico di Roma, Salani, Firenze 1962, nota 2, p. 1778.
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2144

I Pastori e gli Angeli


I Pastori e gli Angeli
Autore: Mattioli, Vitaliano
Fonte: CulturaCattolica.it ©
Dal Vangelo secondo Luca (II, 8-14):
"C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama".

Questo è il racconto evangelico che ha sempre suscitato un certo senso di meraviglia ed emozione.

Gli Angeli

La Bibbia parla parecchie volte delle creature angeliche, rimaste fedeli a Dio, che mettono la loro esistenza a disposizione di Dio e degli uomini. Di alcune conosciamo anche il nome.
Senza un lungo, noioso elenco, riporto soltanto alcuni loro interventi principali.
Michele. Il suo nome significa 'Chi è come Dio?'. Abbiamo una citazione nella lettera di Giuda (1, 8) e nell'Apocalisse (12, 7) dove interviene nella lotta contro il Dragone.
Raffaele (Medicina di Dio). Nel libro di Tobia si legge che diventa compagno di viaggio di Tobiolo e lo invita a prendere il fiele del pesce come medicina per guarire la cecità di suo padre Tobia.
Gabriele (Fortezza di Dio): è l'angelo dell'annunciazione.
Oltre questi interventi più rinomati, ne vengono elencati molti altri: l'angelo che parla a Zaccaria annunciandogli il concepimento di Giovanni (Lc., 1, 11); l'angelo che appare a Giuseppe chiarendogli il mistero divino realizzatosi in Maria (Mt., 1, 18-25), la fuga in Egitto ed il ritorno in patria (Mt., 2, 13-20). Poi l'angelo dell'agonia che consola Gesù (Lc., 22, 43); l'angelo che annuncia la resurrezione alle pie donne (Mt., 28, 2-7); gli angeli dell'ascensione (At., 1, 10s.). Infine l'angelo che libera Pietro dalla prigione (At., 12, 7-11). Anche nell'Apocalisse più di una volta intervengono gli angeli.
Non dovrebbe allora destare meraviglia se sono ancora gli angeli ad annunciare al mondo il lieto evento della nascita del Salvatore.
Ma lo fanno conoscere solo ai pastori.

I pastori
Un po' era ovvio. Bethlemme, villaggio di contadini, era abitato da pastori. Ma in quei giorni non c'erano soltanto loro. Era il periodo del censimento e dovunque gli alberghi erano pieni tanto che Giuseppe non trovò nessun posto libero (Lc., 2, 7). Eppure soltano a loro l'angelo recò il lieto annuncio.
Viene spontanea la domanda: perché?
Qui non si deve vedere tanto la professione di 'pastori', quanto invece il simbolismo nascosto. I pastori sono considerati gente semplice, umile, senza complicazioni. Hanno conservato un po' l'animo del bambino. Anche i poeti li hanno presentati sotto questo profilo.
Gli angeli recano l'annuncio a questa tipologia di uomini, perché hanno le caratteristiche interiori per comprenderlo ed accettarlo.
Due frasi evangeliche mi vengono in mente: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te" (Mt., 11, 25); "Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli" (Mt., 18, 2-4).
E' proprio vero che le misure divine sono molto diverse da quelle umane.
Ecco allora che il pastore è un simbolo: in ognuno di noi dovrebbe conservarsi, crescendo, l'animo del pastore e del fanciullino.
Altrimenti rischiamo di limitare il nostro ambito conoscitivo solo al sensibile, all'apparente, all'effimero, senza essere capaci di aprirci a tutta la verità, di scendere in profondità, di cogliere l'essenza degli esseri, fino al nucleo del cuore umano.
Anche i Magi, per aprirsi al mistero, per capire chi era quel Bambino, sono dovuti scendere dal loro piedistallo, si sono dovuti inginocchiare come fanciulli indifesi, inermi, per adorare quello che all'apparenza non era altro che uno dei tanti bambini nati in quel tempo.
Il bambino è ancora capace di provare stupore, tenerezza, meraviglia perché non è ancora diventato grande, cioè 'complicato', perché conserva ancora la semplicità di Dio.
Invece l'uomo di oggi rischia di perdere tante occasioni perché ha perso la semplicità originale, frutto dell'innocenza; è divenuto complicato, paranoico, limitato, incapace di capire sé e di aprirsi agli altri.
Non è più capace di 'tenerezze'. Si è atrofizzato perfino nell'amore; infatti quello che chiama con questo bel termine non è amore, ma passione, egoismo, sopraffazione e sfruttamento. L'amore è ricerca dell'altro, donazione, desiderio di capire l'altro.
Quanti matrimoni si interrompono proprio perché si è atrofizzata la capacità di vivere 'questo' amore. Gli sposi non sono rimasti bambini. Pretendono di amare 'da grandi'; ma il 'grande' non sa amare perché non ha conservato in sé l'animo del bambino: solo con l'animo del bambino infatti si è capaci di amare.
Karol Wojtyla nella sua giovanile opera teatrale, La Bottega dell'Orefice (1960), alla fine sottolinea proprio questo. E' la scena in cui Stefano si riappacifica con Anna: Stefano: "In quel momento - per la prima volta dopo tanti anni - ho sentito il bisogno di dire qualcosa in cui si aprisse tutta la mia anima. Volevo dirlo proprio a Anna... Mi sono avvicinato a lei, le ho posato una mano sul braccio (da tempo, da molto tempo, non lo facevo più) e le ho detto queste parole:
che peccato, che peccato che da tanti anni non ci siamo
sentiti più come due ragazzi,
Anna, Anna quante cose abbiamo perduto per questo!" (14).
Il Pascoli, nel suo linguaggio letterario (G. Pascoli, Il Fanciullino - 1897), così ha espresso queste profonde verità: "E' dentro di noi un fanciullino... Noi cresciamo, ed egli resta piccolo... Egli è quello che ha paura del buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle... Egli è quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella gioia pazza pronuncia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d'amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa umano l'amore, perché accarezza esso come sorella, accarezza e consola la bambina che è nella donna... Senza di lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle".

Il messaggio

Qual è il messaggio che gli angeli inviano ai pastori?: "Vi annuncio una grande gioia: oggi a voi è nato il Salvatore... Gloria a Dio, pace agli uomini" (Lc., 2, 10-14).
Gioia, gloria, pace. Dalla pace scaturisce la gioia; ma ci sarà pace solo quando prima c'è stata l'attribuzione della gloria.
Con due parole l'angelo stilizza il rapporto biunivoco tra l'uomo e Dio.
Qual è l'anelito più forte nell'uomo? La pace. Ma la vera pace è conseguenza della virtù della giustizia, prima di tutto verso Dio. Non si può avere la pace quando non si rispettano i diritti altrui. La 'pace' evangelica non è frutto di guerra o di intrighi politici, ma è un riflesso e partecipazione di quella felicità che Dio possiede in maniera totale e perfetta.
Dovere dell'uomo è quello di mettere Dio al primo posto, di glorificare Dio. Di riflesso, diritto di Dio è quello di essere glorificato dalla sua creatura. Non che Dio abbia bisogno di questa lode: è completo ed appagato in sé, nel contesto della famiglia divina (Trinità). Questa si chiama: gloria oggettiva. Ma è giusto e doveroso che la creatura lodi il suo creatore, lo ringrazi e glorifichi (gloria soggettiva).
Solo quando l'uomo si deciderà a rispettare Dio mettendolo al primo posto, quando metterà Dio a fondamento di ogni pensiero ed azione, quando cioè praticherà la virtù della giustizia (che in questo caso si chiama virtù di religione), allora e solo allora potrà essere capace di rispettare anche l'uomo: la vera pace è conseguenza dell' ossequio a Dio.
La parola 'pace', in greco 'eirene', nel contesto biblico contiene un significato molto più ampio e profondo che nelle nostre culture. Non è soltanto assenza di guerre e di conflitti umani. Esprime la pace messianica, indica il ristabilito, pacifico e filiale rapporto con Dio; in una parola, la salvezza. Con queste parole dell'angelo "A Natale viene già annunciato quello che sarà il frutto riassuntivo della Pasqua, perché si tratta dell'inizio e della conclusione dello stesso mistero. Il Natale rappresenta la salvezza allo 'stato nascente'" (15).
L'annuncio degli angeli dato ai pastori prosegue con una espressione non felicemente tradotta: "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Letteralmente la parola greca 'eudokia' dovrebbe tradursi: "Agli uomini che sono benvoluti da Dio, che sono oggetto della benevolenza divina". Praticamente l'annuncio vuol dire: la salvezza portata da questo bambino è per tutti gli uomini, perché tutti gli uomini sono oggetto della benevolenza divina.
Questa interpretazione è confermata da altri passi evangelici. L'angelo dice che la gioia di questa lieta notizia non è riservata solo ai pastori, ma "è per tutto il popolo" (Lc., 2, 10). Simeone proclama che il bambino è "luce delle Genti" e la salvezza da lui portata "è per tutti i popoli" (Lc., 2, 31 s.). Inoltre lo stesso Gesù dirà che il Padre ama tutti gli uomini; "fa sorgere il sole sopra i buoni e cattivi e fa piovere sui giusti e gli ingiusti" (Mt., 5, 45).
Il Natale si presenta come festa della bontà di Dio, della universalità di questo amore e della salvezza. Ad ognuno approfittarne.

L'angelo custode

Ognuno di noi è affidato ad un angelo, che per questo si chiama 'custode', perché ci custodisce nella vita ed al quale noi dobbiamo dare ascolto.
San Bernardo, nel commentare la frase del salmo "Dio darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi" (Ps., 90, 11), così si esprime: "Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti. Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a lui per il nostro bene. Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo" (16).

Ciò di cui i Vangeli non parlano: il bue e l'asinello

I testi sacri non riferiscono questi particolari.
E' stata la religiosità popolare ad inserirli nel presepio.
I Vangeli non dicono neppure che Gesù è nato in una grotta. Parlano solo di mangiatoia: "Mentre si trovavano a Betlemme, si compì il tempo per sua madre, e Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia" (Lc., 2, 6 s.). Si è pensato che la mangiatoia si trovasse in una grotta e che lì vi fossero ricoverati anche animali.
Circa il ricovero nella grotta ne parla l'apologista Giustino (II sec.) applicando a Cristo le parole di Isaia "Abiterà in una grotta alta di pietra dura" (Is., 33, 16). Vi accenna anche il Protovangelo di Giacomo (anch'esso del II sec.) dove si legge: "Giuseppe trovò una grotta e vi condusse dentro Maria" (18, 1). Dell'esistenza di una grotta riferisce anche il Vangelo dello Pseudo-Matteo (13, 2). Origene afferma che ai suoi tempi era possibile visitare questa grotta. Costantino su quel luogo vi fece costruire una basilica chiamata da S. Girolamo Ecclesia Speculae Salvatoris.
La presenza di questi due animali cominciando dal IV secolo è stata una componente della iconografia. Li vediamo rappresentati sulle sculture dedicate alla nascita divina, sul sarcofago di Adelfia (capolavoro dell'arte paleocristiana in Sicilia, datato al IV secolo e scoperto nel luglio 1872), su quello di Arles (chiamato sarcofago della natività), ambedue del IV secolo, e su altri conservati nei musei vaticani (come sulla lapide del loculo di Severa, datata 330 circa), su parecchi quadri ed affreschi.
Con l'inserimento degli animali il sentimento della gente ha voluto probabilmente evidenziare il contrasto tra la freddezza ed il rifiuto umano (Maria e Giuseppe non hanno trovato nessun posto nelle dimore degli uomini) ed il conforto che invece Gesù ha trovato negli animali.
Lo scritto apocrifo 'Vangelo dello Pseudo-Matteo', ha inserito queste presenze nella nascita: "La beatissima Maria uscì dalla grotta e, entrata in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, e il bue e l'asino l'adorarono" (XIV, 1).
Eppure ci sono due brani del V.T. che possono per analogia essere applicati a queste presenze.
Il primo è del profeta Isaia: "Un bue riconosce il suo proprietario e un asino la greppia del suo padrone" (1, 3).
L'altro è del profeta Abacuc: "Il Signore sarà riconosciuto in mezzo a due animali" (3, 2, secondo la Versione greca dei LXX).
Non si deve inoltre dimenticare il significato simbolico che nell'immaginario collettivo avevano assunto questi due animali. L'antico Oriente ebbe per l'asino una grandissima stima. Inoltre nei Libri sacri induisti, il Rig-Véda, se ne parla come una cavalcatura riservata ad entità celesti, a principi, santi ed eroi. Così anche nella Bibbia è considerato la cavalcatura dei principi, e non un'animale di seconda categoria come si pensa oggi. Nel libro dei Giudici (5, 10) a riguardo dei Capi d'Israele si dice: "Voi che cavalcate asine bianche".
A sua volta il bue, simbolo di carattere pacifico e forza bonaria, è l'animale da lavoro per eccellenza, è il servo dell'uomo. Anche il nostro Carducci nella poesia Il Bove (1872) lo chiama 'pio' e prosegue: "E mite un sentimento di vigore e di pace al cor m'infondi".
Nel contesto religioso degli animali sacrificali, esso fu considerato la vittima pura (17).
Queste caratteristiche si riferiscono bene a Cristo: la presenza dell'asino potrebbe essere vista come la concretizzazione della regalità del Bambino mentre quella del bue lo stesso Bambino nella sua qualità di Servo (secondo Isaia) e di vittima per eccellenza che sarà immolata per la redenzione di tutta l'umanità.
Il Card. Ratzinger commenta: "il bue e l'asino "avevano il valore di sigla profetica dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, di noi che di fronte all'eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella notte santa sono stati aperti gli occhi, sì che ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore. Ma lo riconosciamo realmente?" (18).

Note

14) Karol Wojtyla, La bottega dell'orefice, Libreria Editrice Vaticana, 1978, p. 84.
15) Raniero Cantalamessa, I misteri di Cristo nella vita della Chiesa, Ancora, Milano 1992, p. 43.
16) San Bernardo, Discorso 12 in commento al Salmo 90.
17) Cfr. Louis Charbonneau-Lassay, Il Bestiario di Cristo, Ed. Arkeios, Roma 1994, vol. 1, p. 333-337 e 205-207.
18) Joseph Ratzinger, Immagini di speranza, Cinisello Balsamo, Milano 1999, p. 12.
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2145

La datazione del Natale


La datazione del Natale
Autore: Mattioli, Vitaliano Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it ©
Il 25 dicembre è ormai il giorno consacrato alla nascita di Cristo.
Secondo Ippolito Romano Gesù nacque proprio il 25 dicembre (4).
Al di là di questa certezza, oggi non si vuol dire che in tale giorno esatto si festeggia il "compleanno" di Gesù. Il Redentore è certamente nato in un giorno, di cui non abbiamo certezza. La Chiesa per celebrarne la nascita ha trovato un giorno "simbolico e significativo".
Nei primi due secoli, quando ancora la Chiesa non aveva libertà completa di culto e non poteva organizzarsi liberamente, la data non era ancora la stessa per tutti i luoghi: in oriente alcuni celebravano il Natale il 20 maggio, altri il 20 aprile; altri ancora il 17 novembre. In occidente in alcune zone si celebrava il 28 marzo; mentre in altre regioni già si era scelto il giorno del 25 dicembre.
Nel IV secolo in occidente si pervenne ad una concordanza su questa data, fissando in tal modo l'attenzione sulla realtà umana di Cristo: oltre ad essere vero Dio è anche vero uomo, come tutti gli altri; per questo se ne celebra anche il compleanno.
Nel 336 è stata scritta la 'Depositio Martyrum', un primo tentativo di calendario liturgico, nel quale si dice espressamente che a Roma la festa del Natale veniva celebrata il 25 dicembre. La stessa notizia si riscontra nel Cronografo dell'anno 354 (Chronographus anni CCCLIIII. Ferialae Ecclesiae Romanae) nel quale si legge "VIII Kal. Ian. (Die Octavo ante Kalendas Ianuarias) natus Christus in Betleem Iudeae", cioè il 25 dicembre. Altra conferma sulla datazione a Roma ci viene data da un discorso di papa Liberio (352-366), tenuto in S. Pietro nel 353.
Questa data di Roma venne fatta propria anche da altre diocesi, come Milano per opera di S. Ambrogio.
L'affermazione di questa festa si deve molto all'opera del papa S. Leone Magno (440-461).
In oriente invece per ricordare la nascita del Redentore prevalse il 6 gennaio, giorno dell' Epifania, nel quale si celebra la manifestazione al mondo, rappresentato dai magi, di Cristo in quanto Dio. La Chiesa d'oriente ha voluto porre l'accento sul fatto che quel bambino è Dio.
Questa doppia data si è mantenuta fino ad oggi.
L'esigenza di celebrare la festa della nascita del Redentore si è maturata nel tempo, come è avvenuto per altre festività, per rafforzare l'autentica fede nel mistero della incarnazione. Nel IV e V secolo sono sorte le grandi eresie che negavano o la divinità di Cristo o la sua umanità. Ben quattro concili ecumenici sono stati celebrati per difendere e chiarire la vera dottrina sul Verbo: Nicea (325), Costantinopoli I (381), Efeso (431) e Calcedonia (451).
Ma perché proprio il 25 dicembre? Per quanto riguarda la scelta di questo giorno, ci sono diverse ipotesi. Le principali sono due.
Un prima la fa risalire all'uso di cristianizzare una festa pagana. Infatti in quel giorno, coincidente con il solstizio d'inverno, si celebrava nell'Impero la festa del Sol Invictus, il Sole nascente di nuovo, in onore della divinità Mitra, vincitrice delle tenebre. Per celebrare questa divinità l'imperatore Aureliano nel 274 aveva fatto edificare un grandioso tempio la cui inaugurazione avvenne proprio il 25 dicembre.
Si deve notare che i romani, secondo le conoscenze astronomiche del tempo, credevano che il solstizio d'inverno cadesse il 25 dicembre, e non il 21 come oggi si sa in seguito a studi più esatti. La vita allora era regolata sulla luce naturale. Il solstizio d'inverno pone fine al giorno più corto, di minor luce ed indica l'inizio del periodo di maggior luminosità con l'allungarsi delle giornate, e quindi di maggior vitalità e gioiosità (5).
Tutti conoscono la 'paganità' di queste feste. La Chiesa piuttosto che anatematizzarle, ha preferito coglierne il significato simbolico e trasferirlo in Cristo. Nel nostro caso è Lui il vero Sole che viene in questo mondo per sconfiggere le tenebre.
La Sacra Scrittura è molto chiara: "Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in una terra caliginosa di ombre di morte risplendette una luce" (Isaia, 9, 1); "Sorgerà per voi il Sole di giustizia" (Malachia, 14, 2).
Le parole di Isaia sarà lo stesso Gesù ad applicarle a se stesso (Matteo, 4, 16).
Lo stesso concetto è espresso da Zaccaria nel suo famoso cantico: "Grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge, per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell'ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace" (Luca, 1, 79 s.). Lo stesso Gesù si è identificato con la luce quando ha detto: "Io sono la luce del mondo... Chi crede in me non cammina nelle tenebre" (Giov., 8, 12).
Il vero Sole di cui l'uomo ha bisogno non è Mitra o altre divinità, ma Cristo, l'unico uomo-Dio, redentore.
Nei primi cristiani questa convinzione era molto radicata. Avvertivano la necessità di manifestare questa loro fede anche con le arti figurative. Ci sono arrivati diversi affreschi e mosaici che paragonano Cristo al sole. Un esempio per tutti si trova nella necropoli vaticana dove nel mosaico del soffitto del mausoleo M, composto tra il 150-180 già scoperto nel corso di un fortuito contatto con la Necropoli nel 1574, ma liberato dalle macerie e visibile soltanto durante gli scavi del 1941, abbiamo la raffigurazione di Cristo-Sole che ascende al cielo su una quadriga di cavalli bianchi in mezzo ad un lussureggiante intreccio di rami di vite (6).
Una seconda ipotesi invece ritiene, in rapporto a studi sui calendari, che il 25 dicembre fu proprio il giorno della nascita di Gesù.
La ricerca parte dalla descrizione del sacrificio del sacerdote Zaccaria, padre il Giovanni il Battista, con l'aiuto del calendario della comunità essena di Qumrân. L'evangelista ci dice che Zaccaria era sacerdote della classe di Abijah. Costui esercitava le sue funzioni nel tempio quando l'angelo Gabriele gli annunciò la nascita del figlio (Luca, 1, 5-13).
Secondo il calendario qumranico solare, i turni per il servizio nel tempio della famiglia di Abijah capitavano due volte all'anno: dall' 8 al 14 del 3° mese e dal 24 al 30 dell'8° mese. La tradizione orientale che fa risalire la nascita di Giovanni il 24 giugno, pone la data del servizio al tempio di Zaccaria nel secondo turno: 24-30 dell'8° mese. A sua volta Luca data l'annunciazione dell'angelo a Maria nel 6° mese successivo al concepimento di Giovanni (Luca, 1, 26). Le liturgie orientali ed occidentali concordano nel determinare questa data con il 31 del mese di Adar, corrispondente al nostro 25 marzo. Infatti in questa data la Chiesa celebra ancora l'annuncio dell'angelo ed il concepimento di Gesù. Di riflesso la data della nascita doveva essere posta 9 mesi dopo, appunto il 25 dicembre (7).
Per quanto riguarda l'anno il problema è più complesso.
Come si fa a determinarlo con esattezza?
Abbiamo due avvenimenti come punti di riferimento: la morte di Erode il Grande ed il censimento di Quirinio.
All'inizio la datazione storica si faceva partire dalla presunta data della fondazione di Roma. Si chiamava 'anno zero'. Per questo si usava sempre aggiungere: Ab Urbe Condida (a. U. c., dalla fondazione di Roma).
Il monaco scita Dionigi il Piccolo (chiamato così per la sua umiltà, morto nel 526 d.C.) pensò invece di rapportare il computo della datazione sulla nascita di Cristo, distinguendo così la cronologia in due grandi periodi: Ante Christum Natum (a. C. n., prima della nascita di Cristo - a.C.) e Post Christum Natum (p. C. n., dopo la nascita di Cristo - d.C.).
Con questa nuova numerazione la fondazione di Roma sarebbe avvenuta nel 754 a C., mentre Cristo sarebbe nato nell'anno zero, cioè 754 anni dopo la fondazione di Roma. Però questo dotto monaco sbagliò i suoi calcoli di alcuni anni.
Punto di partenza è la certezza della data della morte di Erode l'anno 750 dalla fondazione di Roma, corrispondente al 4 a.C., ed esattamente tra il 13 marzo e l'11 aprile (8).
La nascita di Gesù avvenne certamente prima di questa morte, dato che Erode voleva uccidere il Bambino. Per cui è impossibile che Gesù sia nato nell'anno zero ma qualche anno prima. Quando precisamente? Nel 6, 5, 4 a. C. n.?
L'altro elemento che ci viene in aiuto è il censimento di Quirinio.
Prima leggiamo il testo evangelico che ne parla: "Avvenne poi in quei giorni che uscì un editto da parte di Cesare Augusto che ordinava il censimento di tutto l'impero. Questo primo censimento fu fatto mentre Quirinio era governatore della Siria. Tutti andavano a farsi registrare, ciascuno nella propria città. Anche Giuseppe, dunque, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì verso la Giudea, alla città di Davide che si chiamava Bethlemme, perché egli apparteneva alla casa e famiglia di Davide, per farsi registrare con Maria, sua sposa, la quale era incinta. Ora accade che. Mentr'essi erano là, si compì il tempo in cui Maria doveva partorire; e diede alla luce il suo figlio primogenito" (Luca, 2, 1-7).
Nel 63 a.C. con la presa di Gerusalemme da parte di Pompeo, la Palestina divenne provincia romana. Per questo vi si riscontra la presenza di autorità romane. Il senatore Publio Sulpicio Quirinio (morto nel 21 d.C.) fu governatore della Siria una prima volta dal 12-8 a.C. ed una seconda nel 6-7 d.C. In questo secondo mandato fece un nuovo censimento che certamente non è quello a cui Luca accenna in quanto Gesù a quel tempo aveva circa 11 anni. Del resto a questo censimento lo stesso Luca si riferisce in una diversa situazione storica nell'altra sua opera: Atti degli Apostoli (5, 37).
Scartato questo secondo, si deve vedere la datazione del primo, quello che ha motivato il viaggio di Maria e Giuseppe a Bethlemme dove è nato Gesù.
Il primo mandato di Quirinio terminò nell' 8 a.C. Gli successe Senzio Saturnino.
L'evangelista Luca era un medico, scrupoloso e preciso nelle notizie che riferisce. Lo si riscontra dalle sue stesse parole all'inizio del Vangelo che invia a Teofilo: "Poiché molti han posto mano a comporre un racconto degli avvenimenti che si sono compiuti tra noi, come ce li hanno trasmessi coloro che furono fin dall'inizio testimoni oculari e ministri della Parola; è parso anche a me, che fin dall'inizio ho accuratamente investigato ogni cosa, di scriverne con ordine, illustre Teofilo" (Luca, 1, 1-3).
Luca attribuisce il primo censimento a Quirinio. La sua scrupolosità invoglia alla attendibilità.
Tuttavia uno scrittore cristiano romano, Tertulliano, giurista e molto preciso, questo stesso censimento in Giudea lo attribuisce a Saturnino (9). Tertulliano non dipende da Luca ma attinge la notizia da documenti dell'Impero.
Due menti storiche degne di fede, che ci portano sullo stesso argomento notizie diverse.
Se a prima vista emergono contrasti, probabilmente la differenza è solo apparente. Così il Ricciotti tenta di armonizzare tra loro le due opinioni: Quirinio sul finire del suo mandato, 8 a.C., "indisse il censimento, il quale appunto perché primo incontrò difficoltà in Giudea, e si protrasse così a lungo da essere condotto a termine dal successore Senzio Saturnino. Presso i Giudei, ch'erano rimasti fortemente impressionati da questo primo censimento, esso passò alla storia sotto il nome di Quirinio che l'aveva iniziato, e Luca segue questa denominazione giudaica; presso i Romani lo stesso censimento passò sotto il nome di Saturnino che l'aveva terminato, e Tertulliano segue questa denominazione romana. Può darsi anche che Saturnino da principio fosse il subordinato cooperatore di Quirinio nell'esecuzione del censimento" (10).
In tal modo verrebbe a coincidere la nascita di Gesù nel periodo del primo censimento di cui Luca parla nel suo Vangelo, quindi anticipata sull' anno Zero, nel 747 di Roma (= 7 a. C. n.) o nel 748 di Roma (= 6 a. C. n.) (11).
Per cui abbiamo due date per stabilire la nascita di Gesù: il censimento di Quirinio e la morte di Erode. La nascita non poté avvenire dopo il 750 di Roma, ma almeno un anno e mezzo prima, quindi verso il 748, intervallo tra la nascita di Gesù e la morte di Erode; l'altra data è la missione di Quirinio in Siria: la nascita non dové avvenire prima del 746 di Roma (= 8 a.C.). Quindi le due date sono: tra il 746 ed il 750 a.C. (cioè tra l'8 ed il 4 a.C.; presumibilmente come abbiamo detto tra il 7 od il 6 a.C.).
Questo però non significa che tra gli studiosi ci sia accordo completo (12).
Per concludere sulla datazione dell'anno: "Oggi tuttavia, considerando tutte le fonti a disposizione, si è propensi a fissare la nascita di Gesù fra il 7 e il 4 a.C." (13).
Mi sono un po' dilungato sulla datazione perché è importante considerare Cristo anche nella sua dimensione umana, e collocare nel tempo la sua esistenza terrena.
Tuttavia non è fondamentale sapere se Gesù è nato un anno prima o dopo, o in quel determinato giorno piuttosto che un altro. L'importante è che Lui sia nato.
E' anche affascinante il tentativo di Dionigi il Piccolo, seppur non del tutto esatto, di porre il Cristo al centro della storia cosmica, da classificare lo stesso tempo in due grandi epoche: prima della nascita di Cristo e dopo. Lui è veramente lo spartiacque della storia umana, il punto di riferimento, l'Alfa e l'Omega.Note


4) Ippolito Romano, Commento a Daniele, scritto verso il 204.
5) Per analizzare il pensiero sulla festa del Natale da parte dei Testimoni di Geova: cfr. Lorenzo Minuti, I Testimoni di Geova non hanno la Bibbia, a c. di Grottola Fortunato, Coletti, Roma 1992, p. 86-88.
6) Cfr. Michele Basso, Guida alla Necropoli Vaticana, Rev. Fabbrica di S. Pietro in Vaticano 1986, p. 54 s.; Margherita Guarducci, Pietro fondamento della Chiesa - Itinerario nei sotterranei della Basilica Vaticana, Rev. Fabbrica di S. Pietro in Vaticano, 1977, p. 21 ss. con foto.
7) Cfr. Antonio Ammassari, Alle origini del calendario natalizio, Euntes Docete, 1 (1992), p. 11-16.
8) Cfr. Giorgio Fedalto, Quando festeggiare il 2000?, San Paolo, Torino 1998, p. 46.
9) Tertulliano, Contro Marcione, IV, 19
10) Giuseppe Ricciotti, La vita di Gesù Cristo, Poliglotta Vaticana, 1953, p. 200.
11) Cfr. Pierluigi Baima Bollone, Gli ultimi giorni di Gesù, Mondadori, Milano 1999, p. 134-139.
12) Su tali conclusioni, Giorgio Fedaldo, nell'op. cit.: Quando festeggiare il 2000?, p. 41-43 e 72, sembra essere di opinione diversa.
13) Questa è la conclusione alla quale giunge la Grande Enciclopedia illustrata della Bibbia, Piemme, Torino 1997, vol. 1, p. 380.
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2146

Istituzione del presepio


Istituzione del presepio
Autore: Vitaliano, Mattioli
Fonte: CulturaCattolica.it ©

Mi ha sempre colpito una pagina di Nietzsche dove ricorda gli anni della fanciullezza: "Guarda! Gesù bambino nella mangiatoia, circondato da Giuseppe e Maria e dai pastori adoranti! Che sguardi pieni di fede ardente gettano sul bambino! Voglia il cielo che anche noi ci abbandoniamo con tale dedizione al Signore!" (1).
Due nomi sono legati all'origine del presepe: Greccio e S. Francesco.
Greccio è un paese medievale, alle pendici del monte Lacerone, alto sul mare 705 metri; dista da Rieti una quindicina di chilometri ed ha più o meno 1.400 abitanti.
Al massimo sarebbe ricordato come luogo di villeggiatura estiva se S. Francesco non vi avesse... inventato il presepe. Lui amava questo luogo perché aveva le caratteristiche della semplicità; ma nutriva una predilezione specialmente per gli abitanti perché avevano corrisposto alla sua predicazione.
E' lì che fu ispirato a fare il presepe.
Francesco morì a Santa Maria degli Angeli (Assisi) nel 1226. Questo avvenimento si colloca tre anni prima (1223).
Due sono le fonti che ce ne parlano.
S. Bonaventura scrive che Francesco: "Tre anni prima della sua morte, volle celebrare presso Greccio il ricordo della natività di Gesù Bambino, e desiderò di farlo con ogni possibile solennità, al fine di eccitare maggiormente la devozione dei fedeli. Perché la cosa non fosse ascritta a desiderio di novità, prima chiese e ottenne il permesso dal Sommo Pontefice" (2).
L'altra fonte più dettagliata è il biografo del Santo, Tommaso da Celano.
Papa Gregorio IX, dopo aver dichiarato santo Francesco il 16 luglio 1228, incaricò frà Tommaso di stendere una biografia ufficiale del Santo che poi lui stesso approvò nel 1229. Questa biografia si chiama Vita Prima e fu scritta tra il 1228 e 1229. In un secondo momento, tra il 1246-1247, ancora lo stesso fra Tommaso scrisse un'altra biografia, chiamata Vita Seconda, per obbedienza al Capitolo Generale di Genova svoltosi nel 1244 ed al Superiore Generale dell'Ordine.
Nella Vita Prima Tommaso da Celano ci dice che Francesco, quindici giorni prima del Natale fece chiamare un signore molto buono di nome Giovanni per chiedergli di aiutarlo nell'attuare il pio desiderio: "Vorrei raffigurare il Bambino nato a Betlem... Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il desiderio esposto dal Santo.
"Giunse il giorno della letizia; sono convenuti molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte. Arriva alla fine Francesco; vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno, e si introducono il bue e l'asinello. Si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme.
"Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali. La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero.
"I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. Il Santo è lì estatico di fronte al Presepio, lo spirito vibrante di compunzione e di gaudio ineffabile.
"Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucarestia sul Presepio" (3).
Così è iniziata nel 1223 la tradizione di fare il presepe, ormai diffusa in tutto il mondo.
NOTE
1) Nietzsche Friedrich, La mia vita. Scritti autobiografici 1856-1869, Adelphi, Milano 1977, p. 33.
2) S. Bonaventura, Legenda Maior, cap. X, n. 7. Testo in Fonti Francescane, Ed. Messaggero, Padova 1980, p. 924.
3) Tommaso da Celano, 1, n. 84-85; Testo in Fonti Francescane, o.c., p. 477 s.
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2147

domenica 16 dicembre 2007

Non raffigurare Maometto: tabù immaginario


Nella storia dell'islam il volto del Profeta raffigurato in preziose miniature
Non raffigurare Maometto: tabù immaginario
Gli islamisti
Alla base dell'atteggiamento intransigente di molti musulmani, che viene trasformato in carburante ideologico dai terroristi che assaltano le ambasciate e le chiese, che aggrediscono gli occidentali e i cristiani, c'è il convincimento che Mohammad (Maometto) sia una figura sovrumana. Che sia assolutamente proibito raffigurarlo e che, pertanto, le vignette incriminate sarebbero doppiamente blasfeme, sia perché lo ritraggono sia perché lo diffamano. Ebbene tutto ciò è falso. E, peggio ancora, qualora l'attuale crisi internazionale finisse per accreditare questa interpretazione fanatica dell'islam a suon di minacce, condanne a morte e attentati, gli estremisti vincerebbero una battaglia importante nella guerra in atto volta a imporre il loro potere oscurantista e violento nei Paesi musulmani e in seno alle comunità musulmane d'Occidente. «Sono solo un essere umano, sono di buono o di cattivo umore come ogni altra persona», dice di sé Mohammad secondo un hadith, un detto, contenuto nella raccolta «Sahih» di Muslim. E il Corano recita: «Tanto strano è dunque per gli uomini che Noi abbiam rivelato a un uomo come loro di ammonire il suo popolo?» (Sura X, 2). D'altro canto è proprio il rigido monoteismo su cui si basa l'islam ciò che lo porta a disconoscere il mistero cristiano della Trinità e a riconoscere a Gesù la sola natura umana.
E lo stesso vale per Mohammad. Ecco perché il volerlo immaginare un essere sovrumano serve ai fanatici islamici a ridurre o eliminare il ruolo della ragione e della critica umana nell'interpretazione del testo sacro. Un caso emblematico è appunto quello che concerne il divieto di raffigurare gli esseri viventi. Essendo solo Dio il Creatore della vita, l'individuo che fa una rappresentazione di un essere vivente tenterebbe di sfidare e di competere con Dio. A sostegno di tale tesi viene citato un hadith del profeta, secondo cui a «un individuo che ritrae un essere vivente gli verrà chiesto di infondergli la vita» e costui «verrà torturato fino al Giorno del Giudizio». Secondo gli integralisti islamici i termini «forma», «dare forma», «il formatore» che compaiono nel Corano sono attribuibili soltanto a Dio. Uno dei 99 attributi divini è «Musawwer al-kainat», il Formatore delle creature.
Sono cinque i versetti del Corano che accrediterebbero il divieto di raffigurare gli esseri viventi. Il versetto 24 della sura LIX recita: «Egli è il Dio creatore, plasmatore, formatore di ogni essere. Gli appartengono per diritto i più bei nomi. Tutto il creato, in cielo e in terra, canta osanna: egli è il potente, il saggio». Ma sull'interpretazione dei versetti non vi è consenso tra i giureconsulti islamici. Alla base di questa disputa c'è il contrasto più generale sull'interpretazione del Corano. Per gli integralisti islamici le parole del Corano vanno accettate letteralmente e hanno un valore assoluto, universale, eterno. Viceversa gli islamici modernisti e illuminati, più inclini a considerare il Corano un testo sacro creato, dove quindi la parola di Dio è stata creata da Dio stesso ma viene dopo Dio, sostengono che le parole del Corano devono essere calate nel loro contesto storico, culturale, sociale e letterario. Di certo Mohammad è stato ritratto ampiamente dai pittori e dai miniaturisti musulmani arabi, persiani e turchi anche con il volto scoperto.
Secondo Al Hassan bin Ahmad, noto come Abu Ali Alfarisi, morto nel 987, l'atroce punizione per gli autori delle arti figurative verrebbe inflitta solo a coloro che ritraggono Dio con sembianze umane. Il teologo modernista Mohammad Abduh (1849-1905), che fu il mufti d'Egitto, ha sostenuto che il divieto delle arti figurative non è assoluto e che «le immagini e le statue sono lecite fintantoché non intaccano la sacralità del culto di Allah». È un dato di fatto che i califfi islamici omayyadi (661-750) e abbasidi (750-1258) non vietarono le arti figurative. Un recente esempio di come i musulmani siano divisi su questo tema l'ha fornito il film «Il messaggio», realizzato nel 1976 dal regista siriano Mostafa Aqqad, ucciso lo scorso novembre in un attentato terroristico ad Amman. Il film è stato proiettato in quasi tutti i Paesi musulmani, ma non in Egitto e in Arabia Saudita per l'opposizione delle autorità religiose locali al fatto che Hamza, lo zio del profeta, interpretato da Anthony Quinn, compaia a volto scoperto. Il dato di fatto è che l'islam si coniuga al plurale. Gli integralisti, gli estremisti e i terroristi che hanno alimentato una campagna d'odio contro l'Occidente e il cristianesimo non rappresentano l'insieme dei musulmani. I contenuti delle vignette su Mohammad possono essere discutibili e al limite impugnati in tribunale. Ma nulla giustifica questo delirio ideologico e questa violenza cieca. Noi in Occidente abbiamo tutto il diritto di sceglierci e di accreditare i fautori dell'islam moderato e illuminato, il cui messaggio è più consono e compatibile con i nostri valori e la nostra civiltà. Per quale mania masochista dobbiamo rassegnarci all'interpretazione estremista dell'islam e sottometterci all'arbitrio dei predicatori d'odio e dei burattinai del terrore?
Magdi Allam
06 febbraio 2006
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2006/02_Febbraio/06/maometto.shtml

UN MISTERO CHE ALLARMA IL PAPA


UN MISTERO CHE ALLARMA IL PAPA… 15.12.2007

Uno squarcio sul nostro futuro prossimo ?

E’ sorprendente ricevere una conferma tanto clamorosa e tempestiva da un’alta autorità come il cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli e stretto collaboratore del Papa. Sabato scorso, su queste colonne, avevo segnalato un “dettaglio” allarmante contenuto nella recentissima enciclica pontificia “Spe salvi”: la menzione dell’Anticristo, tramite una citazione di Immanuel Kant. E’ assai raro oggi, nel mondo cattolico, sentir parlare di questo terribile personaggio profetizzato nel Nuovo Testamento. Colpisce ancor più vederlo evocare, in relazione ai tempi presenti, in un documento solenne come un’enciclica e da un papa così rigoroso, pacato e colto come Benedetto XVI.

Nell’articolo di sabato avevo ricordato che già il 27 febbraio scorso, nel più stretto entourage papale, si era riflettuto con il Pontefice su quell’inquietante profezia, durante gli esercizi spirituali predicati dal cardinal Biffi che citò “Il racconto dell’Anticristo” di Vladimir Solovev. Infine avevo rammentato che lo stesso Ratzinger, da cardinale, in un memorabile discorso tenuto a New York e a Roma, aveva citato quelle pagine.
Ma le parole pronunciate dal cardinal Dias sempre sabato scorso, poi pubblicate dall’Osservatore romano (fatto significativo), sono le più clamorose. Il prelato stava facendo la sua omelia nel santuario di Lourdes “per inaugurare, come inviato del Papa, l’Anno celebrativo del 150° anniversario delle apparizioni”. Si tratta delle apparizioni della Madonna a Bernadette Soubirous che iniziarono l’11 febbraio 1858.
Nella solenne circostanza l’inviato del Papa ha portato “il saluto molto cordiale di Sua Santità” e poi ha detto: “La Madonna è scesa dal Cielo come una madre molto preoccupata per i suoi figli... È apparsa alla Grotta di Massabielle che all’epoca era una palude dove pascolavano i maiali ed è precisamente là che ha voluto far sorgere un santuario, per indicare che la grazia e la misericordia di Dio superano la miserabile palude dei peccati umani. Nel luogo vicino alle apparizioni, la Vergine ha fatto sgorgare una sorgente di acqua abbondante e pura, che i pellegrini bevono e portano nel mondo intero significando il desiderio della nostra tenera Madre di far arrivare il suo amore e la salvezza di suo Figlio fino all'estremità della terra. Infine, da questa Grotta benedetta la Vergine Maria ha lanciato una chiamata pressante a tutti per pregare e fare penitenza e così ottenere la conversione dei poveri peccatori”.

Il cardinale ha inquadrato queste apparizioni nel “contesto della lotta permanente, e senza esclusione di colpi, tra le forze del bene e le forze del male”. Una lotta che sembra arrivata, nella nostra generazione, all’epilogo finale, preparato dalla “lunga catena di apparizioni della Madonna” nella modernità, iniziate “nel 1830, a Rue du Bac, a Parigi, dove è stata annunciata l’entrata decisiva della Vergine Maria nel cuore delle ostilità tra lei ed il demonio, come è descritto nei libri della Genesi e dell’ Apocalisse”.

E’ un vero affresco di teologia della storia quello tracciato dal cardinale che richiama anche Fatima e – ritengo - Medjugorje: “Dopo le apparizioni di Lourdes, la Madonna non ha smesso di manifestare nel mondo intero le sue vive preoccupazioni materne per la sorte dell’umanità nelle sue diverse apparizioni. Dovunque, ha chiesto preghiere e penitenza per la conversione dei peccatori, perché prevedeva la rovina spirituale di certi paesi, le sofferenze che il Santo Padre avrebbe subito, l'indebolimento generale della fede cristiana, le difficoltà della chiesa, la venuta dell’Anticristo ed i suoi tentativi per sostituire Dio nella vita degli uomini: tentativi che, malgrado i loro successi splendenti, sono destinati tuttavia all'insuccesso”.

E’ una frase breve, ma folgorante questa del prelato: la Madonna è apparsa così frequentemente in questo tempo “perché prevedeva” una grande apostasia dalla fede, le persecuzioni alla Chiesa, la sofferenza del Papa e – testualmente – “la venuta dell’Anticristo”.

E’ una frase dirompente che si rifà, evidentemente, alle parole pronunciate dalla Vergine in qualcuna delle apparizioni citate.

Così l’inviato del Papa, parlando del nostro tempo, evoca di nuovo e pubblicamente l’ Anticristo a pochi giorni dall’uscita dell’enciclica. Nel Nuovo Testamento questa figura non si colloca necessariamente alla fine dei tempi. Gesù stesso preannuncia l’arrivo di “falsi cristi e falsi profeti” capaci di “indurre in errore, se possibile, anche gli eletti” e profetizza “una grande tribolazione”, mai vista così terribile nella storia umana (Mt 24,24). San Paolo spiega che si verificherà l’ “apostasia” (2 Tes 2,3), ovvero l’abbandono di Dio e della Chiesa, quindi esploderà “la manifestazione dell’uomo iniquo”, “il figlio della perdizione”, colui che “nella potenza di Satana… si contrappone a Dio” fino a sedersi “nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio” (2 Tes 2, 3-4).

E’ un dominio quasi totale del Male sulla terra che viene qui preconizzato. Non si sa come, quando e per quanto. Uno scenario di orrore e di malvagità agghiacciante. I teologi discutono se sia un preciso individuo che viene preannunciato o un sistema di potenze. Ma colpisce in queste settimane sentirlo evocare con tanta insistenza accorata dalla Santa Sede, evidentemente anche in forza di “informazioni” (che Oltretevere si conoscono e si valutano) provenienti da “fonti” speciali, quali appunto i messaggi delle apparizioni mariane, di mistici e di rivelazioni private. Questi pronunciamenti pubblici mostrano con quanto allarme in Vaticano si guardi agli eventi mondiali. Del resto drammatico è anche il messaggio pontificio per la Giornata della pace del 1° gennaio prossimo, dove si mette in guardia dalle devastazioni morali (delle famiglie e della vita) e materiali (per esempio con gli immensi rischi della corsa alle armi nucleari).

Il quadro è cupissimo. Ma la Santa Sede non è un’entità politica e non valuta la situazione con uno sguardo solo terreno. Infatti vi è la certezza di poter contare su un aiuto “superiore”. Il cardinale Dias nella clamorosa omelia di sabato spiegava: “Qui, a Lourdes, come dovunque nel mondo, la Vergine Maria sta tessendo un’immensa rete nei suoi figli e figlie spirituali per lanciare una forte offensiva contro le forze del Maligno nel mondo intero, per chiuderlo e preparare così la vittoria finale del suo divin Figlio, Gesù Cristo. La Vergine Maria oggi ci invita ancora una volta a fare parte della sua legione di combattimento contro le forze del male”.

Il prelato ripete – se non fosse chiaro – che “la lotta tra Dio ed il suo nemico è sempre rabbiosa, ancora più oggi che al tempo di Bernadette, 150 anni fa” e “questa battaglia fa delle innumerevoli vittime”. Quindi rivela delle parole – forse inedite – pronunciate dal cardinale Karol Wojtyla il 9 novembre 1976, pochi mesi prima di essere eletto Papa: “Ci troviamo oggi di fronte al più grande combattimento che l’umanità abbia mai visto. Non penso che la comunità cristiana l'abbia compreso totalmente. Siamo oggi davanti alla lotta finale tra la Chiesa e le Anti-Chiesa, tra il Vangelo e gli Anti-Vangelo”.

Parole clamorose. Una ulteriore conferma. Sembra evidente che il Vicario di Cristo e i suoi più stretti collaboratori conoscano qualcosa di più e desiderino preparare i cristiani a quella “lotta finale”. I loro ripetuti appelli a rispondere alla chiamata della Madonna sono già sufficienti per riflettere seriamente su ciò che sta accadendo e che accadrà alla Chiesa e al mondo. Un futuro prossimo che noi non conosciamo, ma che, spiega Dias, sarà vittorioso grazie a Maria. Come lei stessa annunciò a Rue du Bac: “Il momento verrà, il pericolo sarà grande, tutto sembrerà perduto. Allora io sarò con voi”.

Antonio Socci

da “Libero”, 14 dicembre 2007

UN IMPRESSIONANTE DETTAGLIO


UN IMPRESSIONANTE DETTAGLIO… 09.12.2007

Se si legge con attenzione l’enciclica …

C’è un personaggio inquietante e apocalittico che Benedetto XVI evoca, a sorpresa, nella recente enciclica “Spe salvi”: l’Anticristo. Per la verità il papa non cita direttamente questo oscuro soggetto che è drammaticamente preannunciato fin dal Nuovo Testamento, ma lo chiama in causa attraverso una citazione di Immanuel Kant che fa una certa impressione rileggere in questi tempi in cui l’Europa sembra in guerra contro la Chiesa, spesso strumentalizzando alcuni gruppi sociali (come gli immigrati musulmani o le donne o gli omosessuali) per sradicare le radici cristiane e per limitare la libertà dei cattolici e della Chiesa. Scriveva Kant: “Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore (…) allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo (…) inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose”.

Il Papa sottolinea proprio questa possibilità apocalititca che viene affacciata da Kant secondo cui l’abbandono del cristianesimo e la guerra al cristianesimo potrebbero portare a una fine non naturale, “perversa”, dell’umanità, a una sorta di autodistruzione planetaria, sia in senso morale che in senso materiale (e un tale orrore, peraltro, è oggi nelle possibilità teniche dell’umanità). Essendo l’enciclica un testo molto rigoroso e ponderato, è da escludere che Benedetto XVI abbia evocato l’Anticristo e la “fine dell’umanità” a caso.

Il suo pensiero peraltro è del tutto lontano da suggestioni millenaristiche, c’è dunque da credere che se richiama questi temi scorga veramente nel nostro tempo un confronto drammatico e mortale fra Bene e Male. Oltretutto già in un’altra recente occasione è stata evocata e ben meditata, in Vaticano, la figura dell’Anticristo. E’ accaduto quest’anno, il 27 febbraio, negli esercizi spirituali predicati al Papa dal cardinale Biffi (immagino che i temi siano stati concordati): si è meditato proprio sulla profezia dell’Anticristo (vedi “Le cose di lassù”, ed. Cantagalli). Biffi ha citato infatti il “Racconto dell’Anticristo” di Vladimir Solovev scritto nella primavera 1900, come avvertimento al XX secolo che era agli albori. In quelle pagine il personaggio apocalittico veniva eletto “Presidente degli Stati Uniti d’Europa” e poi acclamato imperatore romano.

“Dove l’esposizione di Solovev si dimostra particolarmente originale e sorprendente e merita più approfondita riflessione” spiega Biffi “è nell’attribuzione all’Anticristo delle qualifiche di pacifista, di ecologista, di ecumenista”. Praticamente un campione perfetto del politically correct. Ecco le parole di Solovev: “Il nuovo padrone della terra era anzitutto un filantropo, pieno di compassione, non solo amico degli uomini, ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano… Era un convinto spiritualista”, credeva nel bene e perfino in Dio, “ma non amava che se stesso”.

In sostanza questa figura – l’antagonista di Gesù Cristo – si presenterebbe, secondo un’antica tradizione, con gli aspetti più seducenti, una contraffazione dei “valori cristiani”, in realtà rovesciati contro Gesù Cristo, quelli che oggi carezzano il senso comune. L’Anticristo di questo racconto infatti tuona: “Popoli della terra! Io vi ho promesso la pace e io ve l’ho data. Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace”. Parole in cui molti sentono echeggiare quell’accusa al cristianesimo (che sarebbe causa di intolleranza e conflitti) oggi tanto diffusa. Tuttavia si sbaglierebbe a ritenere che il Papa stigmatizzi solo e semplicemente l’anticristianesimo dilagante a causa del laicismo, sebbene così aggressivo e pericoloso. C’è molto di più nei suoi pensieri. Proprio Ratzinger, da cardinale, in una memorabile conferenza a New York, il 27 gennaio 1988, davanti a un uditorio ecumenico, soprattutto di teologi, citò lo stesso racconto di Solovev esordendo così: “Nel ‘Racconto dell’Anticristo’ di Vladimir Solovev, il nemico escatologico del Redentore raccomandava se stesso ai credenti, tra le altre cose per il fatto di aver conseguito il dottorato in teologia a Tubinga e di aver scritto un lavoro esegetico che era stato riconosciuto come pionieristico in quel campo. L’Anticristo un famoso esegeta!”.

Questo discorso fu ripetuto dal cardinale anche a Roma, davanti a una platea di teologi cattolici. Molti, in quelle platee, trovarono sicuramente “provocatoria” questa citazione, sia pure espressa con la pacatezza tipica di Ratzinger che esorta tutti, sempre, a riflettere. Essa però esprime la consapevolezza dell’attuale pontefice – e prima di lui di Paolo VI e di Giovanni Paolo II – che il pericolo non viene solo dall’esterno, da una cultura avversa e da forze anticristiane, ma anche dall’interno, da “un pensiero non cattolico” che dilaga nella stessa cristianità, come denunciò con parole drammatiche Paolo VI quando arrivò a parlare del “fumo di Satana” dentro il tempio di Dio.

Che nella Chiesa, specialmente negli ultimi pontefici, sia diffusa la sensazione di vivere tempi apocalittici (non necessariamente “la fine dei tempi”, ma forse i tempi dell’Anticristo) appare evidente da tanti loro pronunciamenti. Inoltre fa riflettere, anche in Vaticano, la gran quantità di “avvertimenti” soprannaturali, che vanno in tal senso, contenuti in “rivelazioni private” a santi e mistici e in apparizioni di questi decenni: in qualcuna di esse si afferma addirittura che l’Anticristo sarebbe un ecclesiastico di questo tempo (un “pastore idolo” che sconvolgerà la vita della Chiesa), ma è un’immagine che molti interpretano come riferita a un “pensiero non cattolico” dentro la Chiesa, fenomeno che in effetti è ben disastrosamente visibile. Dà un quadro ragionato e illuminante di tutto questo padre Livio Fanzaga nel volume, appena uscito, “Profezie sull’Anticristo” (Sugarco). Un quadro prezioso per comprendere il senso e la preoccupazione di tanti interventi pontifici. Angosciati sia per le sorti della fede che per le sorti dell’umanità.

La particolare attenzione della Santa Sede all’Italia è dovuta al fatto che qui il peso dei cattolici ha dato – come ha sottolineato il Papa stesso - il segnale di una inversione di tendenza rispetto alle devastazioni anticristiane e nichiliste del resto d’Europa. La Chiesa cioè scommette sull’Italia per riportare l’Europa alle sue radici cristiane e alla fede. Per questo allarma fortemente che in questi giorni, nel Palazzo della politica, si tenti di soppiatto – con la connivenza di alcuni cattolici – di reintrodurre un “reato di opinione riferito alla tendenza sessuale” (come lo definisce “Avvenire”) che apre la strada alla “demoralizzazione” del Paese e domani potrebbe fortemente minacciare la stessa libertà della Chiesa di insegnare la sua morale. Oltretutto tale limitazione alla libertà di pensiero e di parola viene pretesa in nome di un’ideologia libertaria, paradosso che fa riflettere amaramente oltretevere, dove questi scricchiolii sono percepiti come pericolosi avvertimenti prima di un possibile crollo.

Antonio Socci

Da “Libero, 8 dicembre 2007

Un tentativo di imbavagliare Magdi Allam


Un tentativo di imbavagliare Magdi Allam
nella richiesta di censura al Corriere della Sera

Testata: Informazione Corretta
Data: 16 dicembre 2007
Pagina: 1
Autore: la redazione
Titolo: «Un tentativo di imbavagliare Magdi Allam»

Invitiamo i nostri lettori, dopo aver letto la lettera che segue, a scrivere al CORRIERE della SERA per esprimere solidarietà a Magdi Allam, oggetto di un ignobile atto di censura da parte di chi vorrebbe spegnere una delle voci più alte in difesa delle nostre libertà democratiche.
Ecco il documento:
Da Aprileonline:
Firme Varie, 14 dicembre 2007

Lettera aperta al Corsera/2 Lo storico quotidiano, con gli interventi dell'editorialista egiziano sulla questione israelo-palestinese ha assunto posizioni di sostegno acritico alla politica del governo Olmert, e messo in atto una campagna di intimidazione e di costruzione dell'altro come nemico


Egregio Direttore,

le posizioni del quotidiano da Lei diretto sul problema israelo-palestinese si caratterizzano per un sostegno, a nostro avviso assai acritico, della politica del governo israeliano che prosegue nella durissima repressione del popolo palestinese (lo storico israeliano Ilan Pappè ha ripetutamente parlato, recentemente, di genocidio a Gaza e di pulizia etnica in Cisgiordania) e per un appoggio, anche esso assai acritico, sempre a nostro avviso, alla complicità dell'Occidente e dell'Europa.
Né vengono tenute in alcun conto, anche solo a livello informativo, le posizioni duramente critiche che si levano, sia all'interno di Israele sia in seno all'ebraismo internazionale, da parte di intellettuali, giornalisti e politici come Uri Avnery, Avraham Burg, Noam Chomsky, Tony Judt, Edgar Morin, Jeff Halper, Ilan Pappè, Michael Warschawsky e numerosi altri, senza dimenticare giornalisti del quotidiano israeliano Haaretz come Meron Benvenisti, Amira Hass, Gideon Levy e Danny Rubinstein.
Nulla è possibile sapere dal giornale da Lei diretto sui crimini commessi quotidianamente dall'esercito israeliano, crimini contro la popolazione civile che sono stati denunciati e dai reduci dell'esercito israeliano e da alcune organizzazioni israeliane di difesa dei diritti umani.
Passerà del tempo, ma alla fine il mondo guarderà con occhi assai critici a quello che è stato scritto e a quello che non è stato scritto sui media occidentali, non solo a proposito del conflitto israelo-palestinese, in questo passaggio d'epoca.

Ma il Corriere della Sera non si ferma qui.
Dalle sue colonne viene messa in atto una campagna di intimidazione e di costruzione dell'altro come nemico.
Il 6 novembre Magdi Allam, prendendo lo spunto da un prontuario per immigrati arabi predisposto dalla Polizia di Stato, ha denunciato ai responsabili del Ministero degli Interni la prof.ssa Claudia Tresso, docente di Lingua araba presso l'Università di Torino, che peraltro risulta aver collaborato in modo del tutto marginale al prontuario, colpevole, secondo Allam, di essere tra i firmatari del documento "Facciamo sentire la nostra voce - Una Campagna per le verità", al quale hanno aderito, poco dopo la fine della guerra del 2006 in Libano, alcune centinaia di docenti universitari, di docenti di scuole superiori, di intellettuali, di artisti e di semplici cittadini/e, nel silenzio quasi totale dei media, dei politici e degli intellettuali più noti, mentre per il suo giornale Gianni Riotta si affrettava ad andare a intervistare Shimon Peres e Tzipi Livni, sottolineando della seconda "il sottile fascino".

In tre giorni e precisamente domenica 4 novembre (intervento contro i firmatari dell'appello "Gaza Vivrà", in quanto "schierati con i terroristi islamici" di Hamas) e martedì 6 novembre, Magdi Allam, dalle pagine del Corriere della Sera, ha lanciato una lista di proscrizione nei riguardi di quante/i hanno tentato di rompere il silenzio dei media e della gran parte del ceto politico, per denunciare le operazioni di guerra israeliane, che in Libano hanno prodotto oltre 1200 morti e la distruzione di metà del territorio, e la situazione sempre più drammatica dei Territori Palestinesi occupati da oltre 40 anni da Israele nella assoluta inosservanza delle risoluzioni dell'ONU e dei pareri della Corte Internazionale di Giustizia, con la Cisgiordania ridotta ormai a poche enclave e con la Striscia di Gaza, una prigione a cielo aperto, ai limiti di una catastrofe umanitaria, documentata da organismi sia dell'ONU che della Banca Mondiale. E il peggio sembra essere ancora alle porte.

Di Magdi Allam è ben nota la propensione ad atteggiamenti "eccessivi", oltranzisti sarebbe un termine più esatto, che sono stati stigmatizzati e anche ridicolizzati, in un appello e in numerosi articoli apparsi nel luglio 2007 sulla rivista Reset, a seguito della pubblicazione del libro "Viva Israele", nel quale si accusa lo studioso Massimo Campanini di antisemitismo e di ignorare il pericolo islamista, mentre l'università italiana pullulerebbe "di professori cresciuti all'ombra delle moschee dell'UCOII, simpatizzanti coi Fratelli Musulmani, inconsapevolmente o irresponsabilmente collusi con la loro ideologia di morte". (1)
Ma Magdi Allam non è un semplice giornalista freelance, è un editorialista del quotidiano da Lei diretto e anche un vicedirettore ad personam.
Risale quindi alla responsabilità morale, culturale e politica della direzione del giornale la campagna promossa dalle sue colonne.
Il clima politico generale, a livello nazionale e internazionale, è sempre più teso, nuove guerre sembrano all'orizzonte, mentre è preoccupante l'atmosfera di intimidazione che da qualche tempo si scatena ogni volta che si cerca di approfondire la questione mediorientale e di contestare l'uso sistematico della ipocrisia, della menzogna e del cinismo da parte dei media e della realpolitik.
Se un quotidiano come il Corriere della Sera, malgrado la sua storia, si fa promotore di una campagna di costruzione dell'altro come nemico, utilizzando in modo spregiudicato, come oggi è costume sempre più frequente, un intellettuale (un chierico verrebbe da dire, parafrasando il titolo di un saggio sempre attualissimo) di ‘origine non europea', i segni già oscuri che hanno caratterizzato l'inizio del nuovo secolo, diventano ancora più foschi.
Le/i firmatarie/i, alcuni/e delle/dei quali aderenti anche all'appello ""Facciamo sentire la nostra voce. Una campagna per la verità" del settembre 2006, o a quello di Reset del luglio 2007 o a quello più recente "Gaza vivrà", esprimono piena solidarietà alla prof.ssa Claudia Tresso e a quanti sono stati "messi in proscrizione" nelle vecchie e nuove "liste-Allam".
Al direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli il dovere di una risposta.
Per aderire: info@frammenti.it

(1) Giancarlo Bosetti, su quel numero di Reset ha parlato di "missionari pericolosi", Amara Lakhous di "biscardizzazione" dell'Islam, mentre Massimo Campanini, in "Quanti errori in quel libro", afferma: "stupisce notare come Magdi Allam sembri del tutto ignorare la letteratura scientifica sulle questioni medio-orientali"

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=22874