venerdì 31 luglio 2009

Obamacare

La sanità di Obama costa troppo e non piace neppure ai democratici
di Karl Rove
27 Luglio 2009
I sondaggi d’opinione stanno iniziando a diventare ostili al piano di assistenza sanitario di Obama. E anche il calendario politico.
Lunedì 20, un sondaggio Washington Post/ABC riportava che il 49 per cento degli americani approvava il modo in cui il presidente stava portando avanti il progetto, contro un 44 per cento di gente che non lo approvava. Ma quello che tanti hanno mancato di osservare è che coloro che disapprovano fermamente la politica sanitaria del presidente sono il 33 per cento, e superano di molto quelli che la approvano senza riserve (25 per cento). Un dato che fa presagire un’ulteriore perdita di consensi in futuro. Già adesso, il 49 per cento di indipendenti si schiera contro il presidente, in netta crescita dal 30 per cento di aprile: un impressionante cambiamento, per essere avvenuto in sole 11 settimane.
Obama sta perdendo terreno anche in economia. Attualmente, coloro che disapprovano con forza il suo operato in questo campo superano quelli che lo approvano caldamente (35 per cento contro 29 per cento), così anche per il deficit (38 per cento contro 19 per cento) e la disoccupazione (31 per cento contro 26 per cento). Giovedì, la Gallup ha stimato la popolarità di Obama al 55 per cento, in diminuzione dal 60 per cento di poche settimane fa e più bassa del 56 per cento che George W. Bush aveva a questo punto del suo mandato.
I sondaggi stanno crollando a causa del flusso di cattive notizie che arrivano dalle proposte obamiane in merito alla riforma sanitaria. Una parte di queste notizie è arrivata da uno studio realizzato dal Lewin Group per la Heritage Foundation, reso noto il 17 luglio. Si prevede che, se la riforma voluta dalla Casa Bianca diventasse legge, 83,4 milioni di persone – circa la metà di coloro che sono titolari di un’assicurazione sanitaria privata – perderebbero la loro polizza, perché i datori di lavoro annullerebbero le polizze collettive stipulate a favore dei dipendenti. Obama ha promesso che sarà possibile mantenere la propria polizza, ma la scarsa attenzione concessa dal presidente su questo punto fa immaginare che i rischi non siano affatto scomparsi.
Un altro grappolo di cattive notizie per Obama è arrivato la scorsa settimana quando i governatori democratici di Colorado, Tennessee, New Mexico e Washington si sono uniti ai colleghi del GOP (Grand Old Party, i repubblicani – ndr) che all’incontro estivo della National Governors Association hanno attaccato l’intenzione di spostare milioni di famiglie al Medicaid (l’assistenza sanitaria pubblica offerta alle persone a basso reddito, introdotta nel 1965 dal presidente democratico Lyndon Johnson assieme al Medicare, l’assistenza sanitaria a carico dello stato per gli over 65 – ndr). Ciò potrebbe comportare per i singoli stati una spesa di 440 miliardi di dollari in dieci anni.
Ma la notizia più dannosa è arrivata dal direttore del Congressional Budget Office (CBO), Douglas Elmendorf, il quale ha dichiarato la scorsa settimana che la riforma sanitaria voluta dalla Casa Bianca “non ridurrebbe in modo significativo la traiettoria di spesa federale per la salute”. Ciò ha mandato in frantumi l’argomento principale avanzato da Obama, ossia che la riforma sanitaria porterebbe a una diminuzione dei costi. In una lettera del 17 luglio, Elmendorf ha aggiunto che la riforma porterebbe a un “incremento netto del deficit federale pari a 239 miliardi” nei prossimi dieci anni. Si tratta di una stima per difetto, perché vi si assume che nel frattempo il Congresso abbia aumentato le tasse per un ammontare complessivo, in quei dieci anni, di 583 miliardi di dollari.
Charlie Rangel, presidente del Ways and Means Committee (una commissione congressuale preposta a stilare la legislazione fiscale legata alla previdenza sociale, in particolare a Medicaid e Medicare – ndr), ha detto che finanzierà la riforma di Obama alzando le tasse a chi guadagna più di 280 mila dollari l’anno (350 mila per le coppie). Gran parte di questa stangata si abbatterà sui piccoli imprenditori. Persino ai democratici non piace una tale soluzione: 21 sui 39 deputati neoeletti dell’Asinello hanno sottoscritto una lettera contro questa impennata fiscale. Molti di loro vengono da quei distretti dove Bush o McCain hanno fatto campagna elettorale nel 2008. Obama ha preferito far finta di nulla, dicendo che quella sovrattassa si limiterà a far sì che qualcuno paghi “un po’ di più”.
Il comitato nazionale democratico ha cominciato a fare pressioni sui rappresentanti democratici affinché diano il loro voto alla riforma, marcando stretto quei deputati nel Ways and Means Committee della camera bassa che hanno sollevato domande sul versante fiscale della questione. E’ difficile pensare a un segnale più chiaro di debolezza dell’attacco ai membri del proprio stesso partito.
Lo staff di Obama sta affrettando i tempi per avere la legge approvata entro agosto, prima che le ferie permettano ai congressisti di tornare a casa e diano loro l’opportunità di sentire cosa ne pensa la gente. Americans for Prosperity e altri stanno già organizzando incontri pubblici dedicati al tema. Mi immagino che deputati e senatori avranno molto di cui parlare con i loro elettori in merito alla sanità che diventa proprietà del governo, alle nuove tasse sull’energia, al fallimento dello “stimolo”, al deficit record e alla crescente disoccupazione.
Karl Rove è stato consigliere capo e vicecapo dello staff del presidente George W. Bush
Tratto da Wall Street Journal
Traduzione di Enrico De Simone
http://www.loccidentale.it/articolo/la+riforma+sanitaria+di+obama+costa+troppo+e+non+piace+neanche+ai+democratici.0075814

Succede oggi a Rubaix, in Francia. Quando in Italia?

28.07.2009

Riportiamo le dichiarazioni di Mohamed Sabaoui, giovane sociologo dell'università cattolica di Lille, d'origine algerina, naturalizzato francese, indicative di Eurabia in arrivo :

La nostra invasione pacifica a livello europeo non è ancora giunta a termine .. Noi intendiamo agire in tutti i paesi simultaneamente. Siccome ci date sempre più spazio , sarebbe stupido da parte nostra non approfittarne. Noi saremo il vostro Cavallo di Troia. I Diritti dell'uomo di cui vi proclamate autori , ora vi tengono in ostaggio. Così, per esempio , se voi doveste parlarmi in questo modo in Algeria , o in Arabia Saudita , come stò facendo ora io con voi , sareste immediatamente arrestati . Voi Francesi non siete capaci di imporre rispetto ai nostri giovani. Perché dovrebbero rispettare un paese che capitola davanti a loro ? Si rispetta solo chi si teme . Quando avremo il potere noi , non vedrete più un solo immigrato dar fuoco a una macchina o svaligiare un negozio........ Gli Arabi sanno che la punizione inesorabile per un ladro è, da noi , il taglio della mano .
E sempre lo stesso Mohamed Sabaoui in un'intervista recente : “”Le leggi della vostra repubblica non sono conformi a quelle del Corano e non devono essere imposte ai musulmani che possono essere governati solo dalla Sharia . Noi quindi dovremo agire per prendere il potere che ci è dovuto. Cominceremo da Roubaix che è attualmente musulmana al 60%. Alle prossime elezioni municipali , mobilizzeremo i nostri effettivi e il prossimo sindaco sarà musulmano. Dopo aver negoziato con lo Stato e la Regione, dichiareremo Roubaix enclave musulmana indipendente e imporremo la Sharia(la legge di Dio) a tutti gli abitanti . La minoranza cristiana avrà lo statuto di Dhimmi . Sarà una categoria a parte che potrà riscattare libertà e diritti col pagamento di una tassa speciale. Inoltre faremo ciò che serve per portarli alla nostra religione . Decine di migliaia di francesi hanno già abbracciato l'Islam di loro volontà , perché mai i cristiani di Roubaix non dovrebbero farlo ? Attualmente all'Università di Lille organizziamo le brigate della fede, incaricate di convertire gli abitanti di Roubaix riluttanti , cristiani o ebrei che siano , per farli entrare nella nostra religione, perché Dio lo vuole ! Noi siamo i più forti perché Dio l'ha voluto . Noi non abbiamo l'obbligo cristiano di portare aiuto all'orfano, al debole , all'handicappato . Noi possiamo e dobbiamo invece schiacciarli se costituiscono un ostacolo , soprattutto se sono infedeli.
Mohamed Sabaoui ripete questi concetti fin dal 1996 quando aveva 25 anni ed era studente .Ora è sociologo ma anche cofondatore del “Comitato per la Difesa dei musulmani di Francia “ quindi rappresenta il famoso Islam delle moschee.
Questi concetti sono stati più volte ripetuti in interviste ,articoli e libri . E non crediate siano il frutto di un pensiero isolato , se l'islam diventasse maggioritario in Europa , di questo passo è previsto nel 2050 se non reagiamo , è l'insieme dei musulmani che adotterà questi concetti e questo pensiero e siate sicuri che il loro modo di agire sarà pari all'odio che gli ispiriamo .
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=30387

martedì 28 luglio 2009

L'inno nazionale: una libera traduzione del testo

Italiani, fratelli in una stessa Patria!
È giunta la nostra ora, finalmente.
L’Italia si è risvegliata da un sonno troppo lungo e ha indossato nuovamente l’elmo che fu di Scipione l’Africano, l’eroe di Zama.
Se riusciremo a vincere?
Ma non vedete che la dea Vittoria ha scelto di offrirsi alla nuova Italia, affinché rinnovi la gloria di quella Roma antica di cui essa stessa fu schiava, per volere divino?
Considerate la nostra condizione: da secoli siamo schiacciati sotto il tallone straniero, da secoli abbiamo perduto dignità e onore. Questo perché non siamo un vero popolo, perché la nostra Patria è smembrata in sette stati, sette confini, sette insegne. Ma se ci raccogliamo attorno a un unico vessillo di libertà, se ci affidiamo tutti alla medesima speranza di libertà, allora capiremo che è scoccata l’ora di divenire una cosa sola, un’anima sola.
Uniamoci nella concordia, amiamoci nella fratellanza: soltanto attraverso l’unione, soltanto grazie all’amore riusciremo a scorgere e a intraprendere il cammino che il Signore ha voluto destinarci. Giuriamo, allora, di far libera la nostra Patria: se lo faremo, e se Dio ci renderà uniti, nessuno sarà in grado di sconfiggerci!
Guardatevi attorno. Non vedete che ovunque, dalle Alpi alla Sicilia, si rinnova l’antico giuramento di libertà della Lega Lombarda contro il Barbarossa, che rese sacra la giornata di Legnano?
Non vi accorgete che ognuno di noi è degno di figurare, per generosità e coraggio, accanto a Francesco Ferrucci, colui che difese, nel 1530, la libertà di Firenze contro l’esercito imperiale di Carlo V?
Su di lui, ferito e prigioniero, si scagliò la furia omicida di Maramaldo, italiano al soldo straniero. Ma fece in tempo, Francesco, a scagliargli l’anatema del disprezzo – Tu uccidi un uomo morto – che avrebbe segnato per sempre, col marchio dell’infamia, il nome del suo uccisore.
Non capite che anche nei più giovani figli d’Italia cova l’animo e l’ardimento del figlio del popolo genovese, il Balilla?
Quel sasso scagliato dalla mano di fanciullo divenne un macigno e accese la rivolta che travolse gli Austriaci e li scacciò dalla Superba, giusto cento anni fa.
E non sentite che, oggi, ogni campana d’Italia sta battendo gli stessi rintocchi che, sei secoli fa, chiamarono i siciliani ai loro Vespri?
Gli eserciti mercenari d’Austria sono deboli come giunchi piegati dal vento, e la nera aquila bicipite d’Asburgo, una volta fiera e tracotante, è ormai una spennacchiata parodia di se stessa. È riuscita ancora, è vero, insieme con l’alleato russo, a straziare l’Italia e la fiera Polonia, bevendo il sangue che sgorgava dalle crudeli ferite. Ma quel sangue si è tramutato in veleno, dilaniandole il cuore.
È tempo di agire: ovunque ci si serri in armi, ogni cittadino si faccia soldato. E ciascuno sia pronto a morire, perché a chiamarci è stata la nostra Madre Italia!
GOFFREDO MAMELI
Genova, 1847

sabato 25 luglio 2009

Cattive Difesa?

Di Lisio: le responsabilità della sua morte non ricadono solo sui talebani
di Giovanni Marizza
25 Luglio 2009
Il 14 luglio 2009, in Afghanistan un ordigno esplode al lato della strada 517 e il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio perde la vita. Ma se il mezzo investito dall’onda d’urto dell’esplosione fosse stato costruito a prova di IED (Improvised Explosive Device), il nostro militare oggi sarebbe ancora vivo.
E’ il 12 ottobre 1492. Le tre caravelle di Cristoforo Colombo, la “Nina”, la “Pinta” e la “Santa Maria”, veleggiano verso le Indie, o presunte tali. Alle due di notte un grido sveglia i marinai della “Pinta”: “Terra, terra!”. Chi grida è il marinaio andaluso Juan Rodriguez Bermejo, detto dagli amici Rodrigo De Triana, abbarbicato sulla coffa della nave. Oggi, in linguaggio militarese, lo chiameremmo il “coffista”. Rodrigo ha intravisto la terra illuminata dalla luna ed ha annunciato agli altri marinai della spedizione che la missione era compiuta. Le Indie erano a portata di mano. Anzi no, si trattava dell’America, ma poco importava.
Oggi a Siviglia, nel quartiere Triana che diede i natali a Rodrigo, un monumento lo raffigura in piedi sulla coffa, la mano destra aggrappata all’albero, la sinistra rivolta verso il nuovo continente, la bocca aperta nel grido rimasto famoso. Sul basamento, una scritta semplice ed eloquente in lingua spagnola: “Tierra, tierra!”
Pochi sanno che il Bermejo, di religione islamica, dovette convertirsi al cristianesimo per potersi imbarcare sulle caravelle del cristianissimo Re di Spagna, altrimenti nessuno lo avrebbero accettato. Un forte incentivo fu rappresentato dall’ingente premio in denaro che Cristoforo Colombo promise a colui che per primo avrebbe avvistato la terra agognata. Ma Rodrigo non ricevette alcun premio. I maligni spiegano il fatto sottolineando che Colombo, in fin dei conti, era genovese. E così, al ritorno dal suo lungo viaggio, a causa della delusione per il mancato pagamento della ricompensa promessa da Colombo, Rodrigo si riconvertì alla religione cui apparteneva suo padre. E la spedizione ritornò in Europa con un cristiano in meno e un musulmano in più.
Nel mezzo millennio successivo, la figura del “coffista” passò gradatamente di moda, fino a scomparire del tutto. L’invenzione della bussola, del sestante, del cannocchiale, la migliorata precisione delle carte nautiche, la radio, il radar, i satelliti, il GPS e tutte le più moderne diavolerie consentirono alla marineria di archiviare la benemerita figura del “coffista”, che oggi sarebbe assurda su qualsiasi nave da guerra o mercantile.
E’ il 14 luglio 2009. In Afghanistan, sulla strada 517, quella che collega Farah, una provincia nell’estremo ovest del Paese, con la Ring Road, il “grandissimo raccordo anulare” di asfalto che circonda tutto l’Afghanistan, un IED (Improvised Explosive Device) posto al lato della strada esplode al passaggio di un convoglio italiano. Il mezzo investito dall’onda d’urto dell’esplosione si ribalta. Per il militare che sporgeva dal mezzo, come Rodrigo sulla “Pinta” ben 517 anni fa, non c’è niente da fare. In quelle condizioni, se non è fatale l’onda d’urto dell’esplosione, lo sono gli effetti del ribaltamento del mezzo.
Il mezzo in questione viene spesso magnificato in quanto portatore di una innovazione avveniristica: un alloggiamento interno dotato di una piastra corazzata a forma di “V” che devia verso i lati gli effetti delle esplosioni. Ebbene, l’innovazione è talmente “avveniristica” che nel 1992, quando siamo andati in Mozambico a sostituire l’esercito zimbabwano che presidiava il corridoio di Beira, ci siamo accorti che gli Zimbabwani (e non, si badi bene, gli Israeliani, gli Americani o i Marziani, bensì gli Zimbabwani dello Zimbabwe) già possedevano da vari anni la stessa tecnologia. Lo strategico corridoio di Beira, a quel tempo, era percorso da pattuglie dell’ex Rhodesia del Sud a bordo di veicoli trasporto truppa dalla forma sagomata a V. Brutti a vedersi e somiglianti a strani animali preistorici (noi peacekeepers del contingente italiano dell’ONU li chiamavamo scherzosamente “blindosauri”), questi blindati erano particolarmente efficaci quando si trattava di attraversare tratti di terreno minato: se la mina scoppiava, l’onda d’urto che partiva da terra veniva deviata verso i lati delle fiancate ma non riusciva a bucare il fondo. E la squadra fucilieri che stava all’interno era salva.
Ma il Mozambico del 1992 (secolo scorso, millennio scorso) è diverso dall’Afghanistan del 2009. Oggi le mine non sono più a basso potenziale e non scoppiano più sotto la pancia dei mezzi quando ci si va a sbattere sopra, oggi gli IED sono ad elevato potenziale, magari a carica cava, e vengono posti ai lati delle strade, vengono perfettamente mimetizzati tanto da assomigliare a rocce qualunque e vengono azionati da lontano, elettricamente o via radio.
Se la tecnologia della corazza a “V” è in ritardo di un ventennio su un decoroso ma modesto esercito dell’Africa Australe, la ralla lo è di mezzo millennio rispetto alla coffa della “Pinta”. La ralla è quell’arnese circolare su cui ruota la mitragliatrice in torretta, azionata dal malcapitato rallista che per manovrarla si deve sporgere dal mezzo.
Questa procedura può essere utile per missioni di ordine pubblico in ambienti urbani e di bassa intensità, ma nulla può contro gli IED afgani provenienti dall’Iraq, dove sono stati testati, sviluppati, resi sempre più micidiali e poi esportati.
Inizialmente in Iraq i mezzi americani che pattugliavano il territorio erano anch’essi armati con una mitragliatrice in torretta protetta da uno scudo corazzato, manovrata da un mitragliere che stava seduto a cavalcioni su una cinghia basculante (come le strisce di plastica incrociate dei salvagente per bambini, su cui si accucciano i neonati alle loro prime esperienze balneari) che gli permetteva di sporgere dal veicolo soltanto dal torace in su. Man mano che la minaccia degli IED aumentava, quella cinghia basculante è stata battezzata “il sedile dell’uomo morto”.
Il passo successivo è stato quello - ovvio ma non per tutti - di adottare un sistema di comando dell’arma dall’interno del mezzo, oggi in vigore su quasi tutti i mezzi militari e non solo. Anche i veicoli in dotazione alle compagnie private di sicurezza come la “Blackwater”, infatti, hanno le mitragliatrici che vengono azionate da un operatore che sta all’interno del mezzo. Che i mitraglieri della Blackwater sparino lungo il percorso contro tutto ciò che si muove, è un’altra storia ma intanto, protetti all’interno del veicolo, potranno morire d’infarto o di vecchiaia, ma non certo per gli effetti di un’esplosione. E nemmeno per il ribaltamento del mezzo.
I rallisti italiani, invece, continuano a sporgere all’esterno del veicolo, novelli Rodrigo De Triana, e sembrano condannati fin dal momento della partenza del convoglio: più bersagli che Bersaglieri.
Riusciremo un bel giorno a superare il 1492? Riusciremo mai a non giocare a calcio come se fossimo in guerra e a non andare in guerra come se fosse una partita di calcio? Riusciremo mai a far sì che la Difesa pretenda e ottenga dall’Industria ciò che serve anziché farsi imporre dall’Industria ciò che quest’ultima preferisce? I soldati che impieghiamo in missioni all’estero hanno diritto al “meglio”, al non plus ultra degli armamenti, degli equipaggiamenti e della sicurezza. Per salvaguardare le loro vite non dobbiamo badare a spese.
E se siamo così miserabili da non poterci permettere le spese, teniamoli a casa. Un Paese che non dà il meglio ad Alessandro Di Lisio, non è degno di Lui.
http://www.loccidentale.it/articolo/s.0075590

mercoledì 22 luglio 2009

Meridione

Che fine fanno i Fas per il Mezzogiorno?
Il futuro del Sud non si costruisce coi nuovi partiti ma usando bene le risorse
di Francesco Forte
21 Luglio 2009
L'idea di un partito del Sud nasce da una oggettiva situazione di difficoltà del Mezzogiorno a far percepire le sue istanze a livello nazionale, ma anche dallo sconforto delle popolazioni meridionali, che si sentono mal gestite e mal governate. Tuttavia, una parte rilevante di questa cattiva gestione non dipende da responsabilità del governo nazionale, ma da colpe e inadeguatezze di quelli regionali, nell'impiego dei mezzi finanziari a loro disposizione. Basti osservare che i duecento quaranta miliardi dei due Fas del 2000-2006 e del 2007-2013 (di cui metà di provenienza europea) sono, in gran parte, non spesi perché le Regioni meridionali non hanno saputo farlo e non lo stanno facendo, nei tempi che i programmi europei prevedono.
Per il Fas 2000-2006 le somme impegnate, mediamente, nelle Regioni meridionali, per progetti di intervento approvati sono il 50 per cento di quelle competenza. E le somme mediamente erogate sono una percentuale ancora inferiore di questa, in quanto l'attuazione di una parte dei progetti approvati incontra difficoltà, che non consentono di proseguirli o che li rallentano ulteriormente.
Per la Sicilia sembra che le somme erogate sul Fas 2000-2006 siano il 25 per cento di quelle assegnate alla Regione. E la gestione del Fas 2007-2013 appare abbia lo stesso lento iter.
Non si può certo dire che la colpa di questi ritardi e inadempienze dipenda dal fatto che i Fas europei hanno una durata troppo breve, rispetto alle incombenze richieste per la loro attuazione. Infatti ciascuno di essi si svolge in un arco di sette anni. E negli altri stati dell'Europa ove i Fas sono in funzione, essi vengono attuati nei tempi previsti. Invece l'Italia rischia di dover restituire una parte rilevante delle somme che ha ricevuto dall'Unione europea per il Fas 2000-2006 in quanto non utilizzate.
Dunque non hanno del tutto ragione i promotori del partito del Sud quando si lamentano del fatto che il governo nazionale ha utilizzato parte dei fondi del Fas 2007-2013 per gli ammortizzatori sociali che riguardano prevalentemente il Centro Nord e per il terremoto dell'Abruzzo. Infatti, se il Fas 2000-2007 fosse stato interamente utilizzato si potrebbe dire che queste somme sono sottratte agli interventi che le Regioni meridionali hanno progettato e stanno attuando. Ma così non è. Si tratta di somme che giacciono, in attesa che qualcuno le spenda.
E' però vero che il governo nazionale non ha fatto nulla per sveltire le procedure che ritardano l'impiego meridionale di queste somme e che al Ministero dell'economia fa gioco che gli stanziamenti dei Fas non siano "impegnati", perché ciò riduce il suo deficit di bilancio. E gli fa anche gioco che, ove impegnati, questi fondi non siano erogati, perché ciò riduce le uscite di cassa e quindi il fabbisogno che va a formare il debito pubblico nazionale. Occorre infatti notare che per ogni euro comunitario di stanziamento vi è, nel nostro bilancio, un euro italiano di contropartita, senza cui l'euro di Bruxelles non può essere utilizzato. Ma non è certo "buona finanza pubblica" quella consistente nel fare economia sui nostri stanziamenti di bilancio per il Mezzogiorno, perdendo per ogni euro così tolto al Sud, anche un euro che la Comunità europea ci ha dato (e che non è un regalo, ma una restituzione parziale in quanto l'Italia versa annualmente al bilancio europeo cifre di imposto superiore).
Occorre fare chiarezza su ciò. E pertanto appare necessario che sia presentata al più presto, al parlamento e al paese , a cura del Ministro per le Regioni e della Presidenza del Consiglio, una Relazione sulla situazione dei Fas e delle infrastrutture che ne fanno parte e di quelle meridionali di competenza dello stato. Ciò allo scopo di accertare il grado di realizzazione di questi programmi e la loro adeguatezza. E ciò anche perché vi sono esigenze prioritarie del Mezzogiorno che non sono comprese nei progetti Fas, e che hanno un'ottica sovra regionale e vanno soddisfatte in un quadro nazionale e internazionale.
Tale Relazione dovrebbe avere un carattere periodico, ad esempio trimestrale, onde far emergere i problemi che ostacolano queste realizzazioni e individuare quel che possono fare il governo centrale e gli altri soggetti per risolverli.
Il partito del Mezzogiorno però non appare uno strumento idoneo per questi problemi, semmai serve per complicarli. Infatti, sembra evidente che se le Regioni meridionali non riescono a spendere i soldi dei Fas e parte di queste somme rischia di ritornare a Bruxelles, mentre altre vengono destinate a scopi diversi, occorre che il governo nazionale venga in loro soccorso, per dare luogo a una inversione della rotta.
In un'epoca di crescente internazionalizzazione, i partiti di natura provincialistica possono avere senso solo nelle regioni molto internazionalizzate, ove fanno da contrappeso alla loro immersione nella globalizzazione. Sono un controsenso nelle regioni in ritardo, che viceversa hanno bisogno di una più ampia prospettiva per "non perdere l'autobus ". E d'altra parte, in questa ottica, le Regioni meridionali e il centro nord hanno interessi comuni. Infatti, l'Italia per lo sviluppo delle sue esportazioni e dei suoi investimenti ha davanti a sé tre aree promettenti, per le quali il Mezzogiorno è una piattaforma indispensabile. Ossia i paesi balcanici e agli altri stati più ad Est, che un tempo facevano parte dell'URSS; i 12 paesi dell'area sud del mediterraneo (a cui si aggiunge ora la Libia) che fanno parte di Euro Med, la futura area di libero scambio associata all'Unione europea; e gli stati del Sud Est asiatico, che si raggiungono dalle rotte del Sud del Mediterraneo e del Medio Oriente, fra cui campeggiano l'India e la Cina.
D'altra parte l'Italia, per la sua posizione, è il terminale naturale degli approvvigionamenti di gas, via mare, oltreché di gasdotti, per il rifornimento europeo. Ed anche in questo il Mezzogiorno ha un ruolo geografico essenziale. Infine, l'Italia partecipa alla nuova politica di diversificazione energetica, basata sulle energie alternative. Anche in ciò, il Mezzogiorno ha dei vantaggi naturali. Se ne desume che anziché disperdere in mille rivoli i Fas, con il rischio fondato di non riuscire a impiegare pienamente questi fondi e, comunque, di non utilizzarli in modo efficace per lo sviluppo del Mezzogiorno, conviene concentrarli in un programma di sviluppo delle vie di comunicazione e dei trasporti e di infrastrutture impostato secondo le linee strategiche appena indicate.
E qui emergono alcune grandi opere che interessano il Mezzogiorno, già comprese nei Fas o che se ne potrebbero avvalere per il loro decollo. Ci sono, innanzitutto , gli interventi per i porti di Bari, Brindisi, Taranto, Gioia Taranto, Napoli e per i porti della Sicilia e della Sardegna. Ed occorrono le arterie stradali di collegamento con tali porti. Vanno inoltre attuate infrastrutture fondamentali che non hanno il supporto dei Fas, come il Ponte sullo Stretto, l'alta velocità da Salerno a Reggio Calabria e le linee ferroviarie veloci locali che vi si possono connettere in Sicilia. Vanno considerati i progetti di ricerca energetica che si possono inserire nel nuovo programma del G8, che potrebbero essere attuati allo scopo di rafforzare o riconvertire le aree industriali meridionali in difficoltà.
Ho indicato solo alcuni temi, per esporre, con questa esemplificazione, il criterio base, che è quello di concentrare le risorse e le iniziative su un numero limitato, ma concreto, di progetti nel campo delle infrastrutture e dell'energia, in un quadro nazionale e soprattutto internazionale, valorizzando la posizione geografica del Mezzogiorno nel rapporto con le economie emergenti del continente eurasiatico, e con il Sud del mediterraneo e il Medio Oriente.
Per fare ciò non serve un nuovo partito del Mezzogiorno contraltare della Lega Nord, occorre una progettualità che unisca gli interessi del Sud con quelli del Nord. Ed occorre che lo comprendano i politici del Nord e del Sud, che fanno parte della maggioranza di governo, smettendo le rivalità e incomprensioni di campanile.
http://www.loccidentale.it/articolo/il+futuro+del+sud+non+si+costruisce+coi+nuovi+partiti+ma+impiegando+bene+le+risorse+a+disposizione.0075556

lunedì 20 luglio 2009

Libano

L'attacco a Unifil in Libano dimostra che i muscoli di Hezbollah fanno paura
di Fiamma Nirenstein
20 Luglio 2009
L'attacco subito nel sud del Libano dalle truppe dell'Unifil mentre tentavano di verificare in che cosa consistesse il deposito d'armi degli hezbollah saltato per aria qualche giorno prima con morti e feriti, è un pessimo segnale per la pace in Medio Oriente. Quel centinaio di abitanti di Kirbat a Silm, che alla fine si sono persino messi a sparare contro le forze internazionali, sono il segno della solida presenza degli hezbollah al sud del fiume Litani, dove hanno comprato, costruito, arruolato; è un segnale della determinazione della milizia sciita a proteggere le armi e le loro infrastrutture nonostante la risoluzione dell'Onu che ne stabilisce lo smantellamento.
La chiave dell'aggressività delle ultime azioni degli hezbollah, che hanno taciuto per lungo tempo e che sembravano determinati a conquistare il potere in Libano tramite un percorso di legittimazione democratica, deve essere letta alla luce dei risultati delle ultime elezioni, anche se è lo scontro con Israele la stella polare intorno a cui costruiscono l'azione e il consenso.
Venerdì all'improvviso un gruppo di 15 libanesi, evidentemente espressione degli hezbollah dato che ne portavano le bandiere in corteo, si era introdotto dal Libano dentro il confine israeliano, rompendo ogni regola di rispetto internazionale: l'esercito israeliano ha deciso di non intervenire dato che la gente introdottasi illegalmente non portava armi e aveva con sé alcuni bambini. Né vi è stata reazione militare alla scoperta, nei giorni scorsi, di cinquanta razzi nel sud del Libano puntati verso Israele. Di fronte poi alla grande esplosione di Kirbat, che ha fatto saltare dozzine di katiuscia da 122 millimetri che hanno lasciato numerosi buchi nel tetto, Israele ha sollevato il problema all'Onu ed evidentemente l'Unifil ha agito di conseguenza. Ieri poi il capo degli hezbollah, Hassan Nasrallah, ha citato come motivo di ulteriore contenzioso con Israele la presenza nelle carceri israeliane di un suo adepto, ribadendo che non ci sarà pace finché Israele non lo restituirà. L'allusione è micidiale, se si pensa che la vicenda di Regev e Goldwasser, rapiti per farne merce di scambio con un terrorista infanticida, Samir Kuntar, ha portato alla guerra del 2006.
Gli hezbollah insistono, sostenuti in questo dall'esercito libanese che lo dichiara sul suo sito, nell'idea che Israele debba consegnare loro le cosiddette «Shabaa Farms», un terreno sul confine con la Siria e col Libano, che apparterrebbe - sempre che Israele per disinnescare la milizia filo iraniana, non lo consegni, come sembrerebbe, al Libano - al contenzioso con Bashar Assad.Hezbollah dunque soffia sul fuoco: il fatto è che a più di un mese dalle elezioni in cui Hezbollah ha perso a favore del sunnita moderato Sa'ad Hariri, figlio del primo ministro ucciso Rafik Hariri, la formazione del governo è ancora oggetto degli sforzi immani del primo ministro incaricato, che non ignora davvero che Hezbollah ha arsenali di armi moderne fornite dall'Iran tramite la Siria.
Benché la coalizione di Hariri abbia una maggioranza di 71 seggi contro 57, e formare un governo appaia un compito facile, in realtà Hariri junior si è mosso fin dall'inizio nell'intento di formare un governo di unità nazionale, perché sa che altrimenti il Libano rischia la guerra civile. Questo pacificherebbe la Siria e l'Iran e smorzerebbe l'attività bellica interna e esterna degli hezbollah. Ma l'opposizione avendo perso le elezioni vuole recuperare imponendo i suoi termini: chiede infatti un terzo dei ministri, ovvero 10 su 30, e anche il diritto di veto sulle decisioni importanti.
Erano accordi già fatti col precedente governo dopo l'accordo di Doha del maggio 2008 e che misero fine a mesi di violenze. La novità è che l'Egitto ha cercato di spingere la Siria a suggerire agli hezbollah di accettare un accordo, anche sulla scia dello choc subito da Mubarak quando ha scoperto una congiura degli hezbollah sul suo territorio.
I cristiani e i sunniti di Hariri tendono a escludere il diritto di veto, ma il druso Walid Jumblatt, antico leader, capo del partito socialista, ha fatto una riunione con Nasrallah per cercare un accordo. Gli sciiti, dice, dopo tutto sono il più vasto gruppo etnico libanese.
Mentre gli Usa, la Francia, l'Italia, insieme all'Arabia Saudita ed Egitto cercano di favorire una situazione in cui il potere degli hezbollah sia limitato, la Siria, l'Iran, gli hezbollah in primis non danno segno di voler diminuire le loro aspettative.
Questo potrebbe trasformarsi in violenza. Oppure il balenare continuo delle armi del gruppo estremista sciita potrebbe forzare la mano verso il conferimento di larghi poteri a Nasrallah che certo diminuirebbero il valore della vittoria democratica. Se i partiti vittoriosi alle elezioni non potranno resistere alle pressioni degli hezbollah, Iran e Siria avranno vinto una battaglia che certo non aiuterà nessun processo di pace.
Insomma, ambedue le prospettive non sono allegre.
(da Il Giornale, 20 luglio 2009)

sabato 18 luglio 2009

Impostura climatica

Contro l'impostura climatica e i suoi araldi
Carlo Ripa di Meana, già commissario Ue all'ambiente, legge "Pianeta blu, non verde" di Vaclav Klaus. E si scopre d'accordo
di Carlo Ripa di Meana
Non credo al riscaldamento globale causato dall’uomo e dunque alla origine antropica dell’effetto serra. Non credo, pertanto, alla teoria che ne discende messa a punto negli ultimi anni dall’IPCC, l’International Panel on Climate Change (ONU): il cambiamento climatico andrebbe stabilizzato, secondo l’IPCC, riducendo e governando i gas a effetto serra nell’atmosfera, e, come prima misura, stivando nelle miniere dismesse il surplus di CO2 prodotto in questi anni.
Il clima è sempre in cambiamento. Pretendere di determinarlo è un atteggiamento prometeico. La sua evoluzione dipende da molti fattori: certo anche dalla composizione chimica dell’atmosfera, ma egualmente dalla dinamica delle grandi masse oceaniche, dai campi magnetici prodotti dal “vento solare”, dalla traiettoria che la terra percorre nella galassia, solo per ricordarne alcuni.
Credo di avere in questi lunghi anni, dall’inizio dei Novanta, quando lanciai come Commissario europeo all’Ambiente la prima proposta di Carbon Tax, studiato, letto e verificato molto a proposito delle energie rinnovabili e della teoria del global warming, così come è stata formulata, dibattuta, sottoposta a verifica a partire dal 1997 con il Protocollo di Kyoto. Ho una diretta conoscenza a proposito di una delle energie rinnovabili, la più sovvenzionata e la più perniciosa per il paesaggio, irrilevante per la sua natura intermittente nella resa energetica: l’eolico industriale, il killer del paesaggio europeo e italiano in particolare. Come persona informata dei fatti sono del parere che si debba uscire dalla rassegnazione e dal fatalismo, e si debba iniziare a combattere una battaglia razionale contro le tesi autoritarie del controllo delle mutazioni climatiche che si propongono una spesa pubblica senza precedenti nella storia dell’umanità, immense risorse finanziarie per mitigare e programmare i cambiamenti climatici. Una operazione dirigistica, chimerica, dissennata contro cui, in particolare nel secondo semestre dell’anno di grazia 2009, ogni persona che non sia decisa a capitolare all’irrazionale deve condurre e portare a vittoria.
Margherita d’Amico, la scrittrice e giornalista cha ha lanciato il movimento “Il respiro degli alberi”, a fine mattinata di una giornata del giugno scorso fresca, quasi frizzante, mi dice: “Dobbiamo fare qualcosa di concreto perché il riscaldamento del clima è molto preoccupante”. Quando Margherita mi ha chiamato stavo leggendo Eco logo, un volume ben documentato del mio amico Stefano Apuzzo che nella sua introduzione alle quasi trecento pagine del libro scrive: “Stiamo parlando del destino che potrebbe farci assistere da anziani (lui ha 48 anni) alle inondazioni delle nostre città causate dallo scioglimento dei ghiacciai e dall’innalzamento dei mari. I due gradi di aumento della temperatura globale previsti da quasi tutti gli scienziati del clima produrrebbero l’inondazione di Venezia, del centro di Londra, di Miami e Manhattan, con tutte le coste mediterranee ridotte a deserti aridi.
L’acqua potabile diminuirebbe del 20-30 per cento, la resa agricola si abbatterebbe del 10 per cento, avremmo sessanta milioni di nuovi casi di malaria in Africa, le alluvioni lungo le coste interesserebbero dieci milioni di persone in più, il ghiaccio della Groenlandia si scioglierebbe definitivamente”.
Due pareri di persone che conosco, non ingenue, spesso scettiche, sempre concrete, eppure inserite, Margherita e Stefano, nel grande coro dell’Apocalisse prossima ventura.
Intonato con la solennità del canto gregoriano dai grandi cavalieri e diaconi, il già Vicepresidente americano Al Gore, Nobel e Oscar, l’erede al trono Carlo d’Inghilterra e, affidato poi alla divulgazione autorevole per gli incliti, dalle voci dei tenori Lester Brown, Jeremy Rifkin (1), Nicholas Stern, Maurice Strong, Klaus Töpfer.
Per i lavori duri e sporchi alle voci fonde, quella intollerante del Ministro per l’Ambiente del Regno Unito Edward Miliband e quella protonazista del giornalista britannico George Monbiot (2), per intimidire gli incolti con il completamento, per le finiture minacciose, dei gruppi di baritoni, contralti e soprani, tutti intenti a seminare il panico isterico.
“È una questione morale, che riguarda la sopravvivenza della civiltà umana [...] la crisi climatica può essere risolta in tempo per evitare la catastrofe [...]”, Al Gore, ottobre 2008; “In base alle ultime relazioni il livello del mare potrebbe aumentare di un metro in questo secolo con gravi conseguenze per 600milioni di persone.
Paesi come l’Egitto e l’India ne subirebbero enormi conseguenze, mentre le isole più piccole scomparirebbero del tutto. Ci rimangono al momento solo novantanove mesi prima di raggiungere il punto di non ritorno, e questo tempo passerà in un lampo”, Carlo d’Inghilterra, Roma, Montecitorio, 27 aprile 2009;
“Come i terroristi non possono presentarsi nei media, così gli scettici sulla questione climatica non dovrebbero avere il diritto di parlare pubblicamente contro la teoria del riscaldamento globale”, Edward Miliband, Pianeta blu non verde, Vaclav Klaus, p.18. IBL Libri, Torino 2009; “Ogni volta che qualcuno muore in seguito alle alluvioni in Bangladesh, un dirigente di una compagnia aerea dovrebbe essere trascinato fuori dal suo ufficio e annegato”, George Monbiot, The Guardian, 31.10.2006.
Dunque l’attacco mediatico, istituzionale e politico per forzare la mano in luglio al G8 a l’Aquila, e in dicembre a Copenaghen alla grande Conferenza ONU per rinegoziare da cima a fondo il Protocollo di Kyoto, clamorosamente fallito con i relativi impegni, è nel suo pieno.
Il nuovo Presidente Obama prepara l’affondo. Impegnato ad assumere nel mondo la guida della rivoluzione verde, dopo la lunga retroguardia americana rappresentata dai Presidenti Carter, Reagan, Clinton e i due Bush. Obama considera che questo del 2009, anno d’inizio della sua presidenza, sia il tempo ideale perché questa linea strategica maggiore, formatasi negli anni Ottanta e Novanta fino alla metà di questo decennio con allora la leadership dell’Unione europea, sia rimessa oggi alla primazia americana o, come hanno sognato Blair e Brown, in subordine, angloamericana.
Questo proposito non lo ha mai taciuto Al Gore, e di recente lo ha teorizzato il premio Pulitzer Thomas L. Friedman: “Io dico: l’America prenda la guida della rivoluzione verde e il mondo seguirà perché il suo potere di emulazione è ancora forte, ineguagliato. Se tentenniamo, gli altri tentennano, se avanziamo gli altri ci imitano. La Cina in particolare. Finora abbiamo tentennato. Ma se mostriamo che si può essere innovativi, ricchi e imprenditoriali anche colorando di verde la nostra economia questo varrà più di cento trattati [...] Oggi è la corsa alla terra, e la vincerà chi inventerà per primo le tecnologie più verdi, perché uomini e donne possano continuare a vivere sul pianeta”, (Corriere della Sera, 15 giugno 2009).
È stata una lunga marcia quella della teoria del global warming attribuito, come premessa di ogni cosa, all’aumento delle emissioni di biossido di Carbonio (CO2) prodotte dall’uomo, il gas a effetto serra dovuto alla crescita del consumo di combustibili fossili, carbone, petrolio e gas naturali.
Nelle intenzioni dichiarate della cultura ambientale americana “La Terza Rivoluzione industriale è l’obiettivo finale che porta il mondo fuori dalle vecchie energie basate sul carbonio e l’uranio verso un futuro sostenibile e non inquinante per la razza umana”, (Jeremy Rifkin, economista e scrittore, I libri di Gaia, Milano 2008, p.25).
Obama lo ha annunciato, con la sua consueta retorica, nel giorno dell’insediamento alla Casa Bianca, il 19 gennaio 2009, con queste parole: “We will roll back the specter of a warming planet”,”cacceremo lo spettro del riscaldamento globale, utilizzeremo il sole, i venti e il geotermico per assicurare il pieno alle nostre automobili, per far funzionare le nostre fabbriche. Costruiremo le strade e i ponti, le nuove reti elettriche con le linee digitali intelligenti che ci terranno insieme”. All this we can do. And all this we will do”.
Valutando oggi, sei mesi dopo, con freddo realismo, il progetto strategico di Obama, messo a punto con le regole della sempiterna special relationship con l’alleato britannico (Blair iniziò a tesserla con l’ultimo Bush verso la fine della sua presidenza, e oggi Brown con l’intesa angloamericana, con sullo sfondo la Merkel), perché in questi ultimi mesi è divenuto problematico? Esso poggiava su tre “verità indiscutibili” annunciate dagli araldi della green revolution, della green industry e del green employment, ipse dixit:
1) Il prezzo del greggio è in continuo aumento;
2) L’aumento esponenziale delle emissioni di anidride carbonica e altri gas in atmosfera prodotti dall’uomo con le industrie, il riscaldamento e il trasporto producono negativo e decisivo surplus di effetto serra;
3) Il riscaldamento globale che ne deriva produce a ritmi sempre più accelerati una sconvolgente e innegabile mutazione climatica, un climate change rovinoso.
Sei mesi dopo, a metà 2009, queste certezze sono state, una dopo l’altra, contraddette, prima di tutto dai crudi dati economici e scientifici. Oggi esse appaiono imprudenti formulazioni manichee. Imprudenti e non confermate. Il prezzo del petrolio è dimezzato. È probabile che riprenda a salire a crisi economica superata, dunque in data incerta. L’effetto serra dovuto a un aumento di CO2 non si è avuto. Si è registrata, al contrario, con la grande crisi, una flessione di CO2 dovuta alla riduzione dei consumi. La ricerca degli studiosi del clima e della meteorologia non registra aumento della temperatura negli ultimi dieci anni, come sembra prepararsi a riconoscere lo stesso IPCC con il prossimo rapporto.
Il Professor Guido Visconti, il climatologo italiano più ascoltato in sede IPCC ha ammesso il 28 marzo 2009 sul Corriere della Sera, p.33, che “Il dato sull’aumento di temperatura globale è soggetto evidentemente a diversi errori. I dati sperimentali che si hanno a disposizione sono ancora troppo limitati per decidere sulla validità dei modelli”.
Infine, Il 30 marzo 2009 sul New York Times, centoquattordici scienziati di tutto il mondo (incluso tra gli altri il fisico italiano Antonino Zichichi), tra cui 13 Premi Nobel, hanno pubblicato un appello a Obama rispondendo con queste parole all’affermazione di qualche giorno prima dello stesso Presidente, “poche sfide che l’America e il mondo hanno di fronte sono più urgenti della lotta ai cambiamenti climatici. I dati scientifici sono indiscutibili e i fatti sono chiari”:
“Con tutto il dovuto rispetto signor Presidente, questo non è vero”, hanno risposto i 114 scienziati sul NYT.Ormai da ogni parte giungono smentite al dogma del riscaldamento globale dovuto alle attività umane (tra i massimi oppositori Fred Singer, James Lovelock, Richard Lindzen, Hendrik Tennekes, Freeman Dyson, Patrick J. Michaels, Antonino Zichichi, Bjorn Lomborg, Robert Mendelson, Franco Battaglia).
Insomma, un fortissimo appello si leva da molte parti perché ci si impegni a “conoscere prima di deliberare”. Con un crescendo di pareri e di prove che svelano l’impostura e che giungono ormai anche dall’esterno della comunità scientifica. Voci della cultura e della politica, ancora timide e sommesse alcune, da parte di uomini di stato europei: il Presidente della Repubblica Ceca Vaclav Klaus, Valéry Giscard d’Estaing, Helmut Schmidt e, da New Dehli, il Primo Ministro dell’India Manmohan Singh.
Su questi nuovi orientamenti, per ora ufficiosi, caratterizzati anche da una caduta verticale di condivisione delle priorità del problema del riscaldamento globale nelle opinioni pubbliche, a Washington, a Londra, a Berlino, a Bruxelles, praticamente ovunque, è probabile che all’ordine del giorno dei “lavori travolgenti” previsti dalla equipe di Obama e dalla maggioranza dell’Unione Europea, con alcune esitazioni, Repubblica Ceca, Polonia e Italia, al G8 all’Aquila e a Copenaghen a dicembre oltre ai tre pilastri scelti, energie rinnovabili; tecnologie di accumulazione; reti energetiche intelligenti – smart grid, si aggiunga, inaspettata per gli ingenui, la carta coperta della ripresa nucleare. Da parte americana, italiana, britannica, polacca, tedesca, svedese e francese, calata, sottovoce e guardando le rondini, con il pretesto di aggiornare i reattori, da Obama con l’annuncio di nuove quattro centrali, e rilanciata a Parigi da Sarkozy: “Ogni euro per le rinnovabili corrisponderà a un euro per più nucleare energetico”, e ripetutamente preannunciata dal Governo di Roma. Con il controcanto, in Italia, di Chicco Testa, procellaria sintomatica che vola radente sulle onde del mare in tempesta in ogni svolta testa-coda dei settori energetici ed ecologici italiani più spregiudicati.
Fin qui le novità, le nuove condizioni e gli imprevisti del dibattito.
A seguire, il merito a proposito dei tre pilastri annunciati e le spese relative da parte dell’Unione Europea.
Il primo pilastro: le energie rinnovabili, solare, eolico, idroelettrico, geotermico, moto ondoso, le biomasse, sono tutte caratterizzate da una natura intermittente, sempre aleatoria, e sono oggi energie non stoccabili.
Il secondo pilastro: la tecnologia di accumulazione prevede l’idrogeno come combustibile della terza rivoluzione industriale, con però la consapevolezza che si è ancora lontani dall’idrogeno commerciale, stoccabile, a disposizione per la generazione elettrica e per i trasporti.
Il terzo pilastro: le reti energetiche intelligenti, le smart grid, costituite da mini reti che permettono all’utenza privata, alle piccole, medie e grandi imprese di produrre localmente energia rinnovabile con contatori intelligenti composti da sensori e microchips, un potente software che permetta a tutta la rete di poter conoscere la quantità di energia utilizzata in qualunque momento, per subentrare, sopperire, integrare la diffusione dell’elettricità.
Questi pilastri hanno già raggiunto nel 2007 nell’Unione europea una spesa record di novanta miliardi di euro, che è previsto raggiunga i 250 miliardi di euro entro il 2020. Mentre per la ricerca e l’economia dell’idrogeno l’Unione Europea ha già stanziato oltre 500 milioni di euro per realizzare celle combustibili e uso commerciale di energia all’idrogeno.
Comparando le previsioni di spesa che la Ue e gli Stati Uniti si preparano a esporre al G8 tra qualche giorno per tentare di far convergere decisioni finanziarie egualmente imponenti agli altri grandi attori, Cina, India, Brasile, Corea entro il 2020, per poi ribadirle solennemente nel mese di dicembre a Copenaghen alla grande Conferenza dell’ONU, misure finanziarie tutte traguardate sul 2020, troviamo l’Unione Europea con una riduzione di CO2 del 20 per cento, gli Stati Uniti con una riduzione del 17 per cento; per le fonti alternative l’Unione Europea con diciotto miliardi di euro all’anno, venticinque milioni di dollari gli Stati Uniti; per l’occupazione l’obiettivo entro il 2020 per l’Unione Europea è di due milioni e mezzo di posti di lavoro, e per gli Stati Uniti di cinque milioni di posti di lavoro.
Per la stessa data, per la modernizzazione della rete di trasmissione elettrica, la smart grid, la rete intelligente, gli Stati Uniti hanno annunciato trentadue miliardi di dollari più undici miliardi per la ricerca e lo sviluppo.
L’Unione europea non ha ancora definito la busta finanziaria per la super grid, e l’abbattimento dei vecchi elettrodotti.
Solo in Italia la Terna dovrebbe rimuovere 1200 chilometri dei vecchi.
Nel settore delle rinnovabili sembra raggiunta tra Stati Uniti e il resto del mondo, un’intesa per una priorità per l’eolico, considerato tecnologia matura e reso competitivo con la produzione energetica da carbone, gas o petrolio, i combustibili fossili, dal prezzo politico al Kw/ora, che in Italia è tre volte superiore a quello riconosciuto allo stesso indice prodotto da gas, carbone o petrolio, e negli altri paesi è il doppio del Kw/ora. Dunque un “immenso sforzo finanziario con una energia pesantemente sovvenzionata in tutto il mondo, intermittente e in quasi tutte le realtà paesaggistiche disastrosa”, (Giuseppe Zollino, Convegno Il paesaggio sotto attacco. La questione eolica, Palermo 28 marzo 2009).
Segue il solare, nella sua versione fotovoltaica, solare termica, solare termodinamica concentrata.
Nelle rinnovabili, inoltre, saranno previste, urbi et orbi, la geotermia, le biomasse, il moto delle maree, l’idroelettrico e i termovalorizzatori. È evidente che tutta questa lunga operazione è stata preparata da una decisione ideologico-politica prima. Da varie iniziative di vasta comunicazione dopo, in particolare quella visiva confezionata dal Vicepresidente americano con il suo film “Una scomoda verità”, forse il più potente propagandista dell’ideologia del riscaldamento climatico, poi dal Rapporto del Barone Nicholas Stern, scritto per ordine del Primo ministro britannico Tony Blair, “Un piano per salvare il pianeta”, che ha prodotto un panico diffuso sui cambiamenti climatici e le loro pretese conseguenze catastrofiche sul futuro della civiltà umana.
Il Rapporto Stern è in sostanza un esercizio di propaganda a sostegno della politica del Governo britannico per perseguire un ruolo di leadership mondiale, insieme agli Stati Uniti, in merito ai cambiamenti climatici (“Nessuna emergenza clima”, Nigel Lawson, già Cancelliere dello Scacchiere della Thatcher, Brioschi editore, Milano 2008).
Alla base di questo panico non c’è, però, la scienza, se non nella sua versione burocratica, lautamente retribuita e numerica rappresentata dalle migliaia di burocrati e accademici, duemilacinquecento, raccolti dalle Nazioni Unite, su indicazioni dei rispettivi governi, nell’IPCC.
Dunque, nella sua sostanza si tratta della forzatura della scienza da parte di una ideologia illiberale e orientata all’autoritarismo (“La verità scientifica non si determina tra l’altro contando le teste”, James Lovelock, Prospect, dicembre 2007, London).
Non aveva torto lo scrittore Michael Crichton, parlando il 15 agosto 2003 a San Francisco al Commonwealth Club, nella sua memorabile requisitoria “Environmentalism as religion”, “Vero scontro tra verità e propaganda”. Tullio Regge conferma questa rapida deriva verso forme di misticismo in cui il simbolo conta più dei fatti: “La storia è ricca di predizioni fallaci che hanno rinfocolato fanatismi. Orde di guru, per cui la modestia non era una virtù, hanno predetto catastrofi che non si sono mai avverate”, (I falsi allarmismi, Piemme, Asti 2004).
Ma forse la più efficace analisi e denuncia di questa manipolazione affidata alla comunicazione mediatica, tv, radio, video e giornali e riviste, l’ha sviluppata nel suo libro recente Pianeta blu non verde – Cosa è in pericolo: il clima o la libertà?, Vaclav Klaus attuale Presidente della Repubblica Ceca, tra i maggiori economisti viventi, che ci esorta a sfidare l’impostura “che non deve rimanere senza risposta da parte dell’opinione pubblica che ragiona razionalmente”.
Tra le motivazioni aggiuntive segnalo anche quelle di carattere narrativo e involontariamente farsesco rappresentate da due cammei della propaganda catastrofista e apocalittica, “Gli orsi polari” e “Gli eschimesi”. Per i primi vale il servizio che gli dedicò Time nel 2006, “Be worried. Be very worried” (“Preoccupiamoci. Preoccupiamoci molto”), e in copertina vi era la fotografia di un orso polare su una piccola banchisa di ghiaccio galleggiante che cercava un’altra banchisa su cui saltare, mentre nel testo si leggeva che “gli orsi bianchi polari stanno iniziando ad annegare, e a un certo punto si estingueranno”.
Mondadori nel 2009 ha riportato nel libro Stiamo freschi, di Bjørn Lomborg, questa asciutta dichiarazione dello scienziato, autore del grande best seller L’ambientalista scettico, sempre della Mondadori: “Per la Groenlandia, che fa parte della Danimarca, il mio paese, sono un simbolo di orgoglio, e la loro perdita sarebbe una tragedia. Ma la popolazione globale di orsi polari nell’Artico è cresciuta dai 5000 degli anni sessanta ai 25000 degli inizi di questo decennio, con le loro popolazioni in aumento”.
Mentre ancora più autoironica la considerazione del focus “Cambia il clima, aumentano le malattie”, (Corriere della Sera 15 giugno 2009), che così conclude la sua inchiesta: “Fra gli eschimesi dell’Alaska sono aumentati incidenti, cadute, fratture alle gambe, dovuti al ghiaccio troppo sottile. I ghiacciai si stanno davvero sciogliendo sotto i nostri piedi”. The laugh of the new century.
Eppure il grande spin mediatico del global warming antropico non ha evidentemente memoria di tre precedenti analoghi, tre brevi ere di irrazionalità: la dannazione del Ddt quando Rachel Carson, con Silent Spring, la primavera silenziosa, nel 1962, nel dopoguerra, ferì a morte il Ddt, il pesticida che aveva estirpato la malaria, e fu bandito nel paese dove era stato inventato, prodotto e diffuso, con la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti.
Il Ddt fu via via eliminato in tutto il resto del mondo. Avendo il merito, per la pressione della opinione pubblica americana, è vero, di creare in conseguenza l’EPA-Environmental Protection Agency, la prima agenzia di protezione ambientale al mondo, riducendo, alcuni rischi ma riaprendo con il bando totale i grandi continenti dell’Asia e dell’Africa alla anofele, la zanzara portatrice delle febbri malariche.
Seguito, il caso Ddt dal caso di Paul Ralph Ehrlich, con il suo libro del 1968 The Population Bomb, con cui annunciava che “negli anni settanta e ottanta centinaia di milioni di esseri umani moriranno di fame nonostante programmi di emergenza e di salvezza che verranno avviati da subito”, così auspicando come prevenzione una severissima politica di controllo delle nascite in ogni continente. Le previsione di Paul Ehrlich si rivelarono completamente sbagliate e le sue teorie di pianificazione demografica furono travolte dalla constatazione che muovevano da modelli matematici errati.
Donella Meadows, che fu una ricercatrice e produsse il modello matematico su computer “World3” per il Club di Roma guidato da Aurelio Peccei, fornì in tal modo la base conoscitiva di un altro libro celeberrimo Limits to growth – I limiti dello sviluppo, che alla luce dei decenni trascorsi risulta per lo più sbagliato nella previsione sulle quantità e sulle durate delle risorse minerarie ed energetiche del pianeta, a cominciare dal petrolio. Producendo, in tal modo, una ondata di diffusa di incredulità nei confronti di ricerche analoghe.
Dimenticando questi precedenti, che pure dovrebbero tornare alla memoria degli attuali zeloti del riscaldamento globale antropico, la maggioranza dei governi e dei leader politici sembra decisa ad avventurarsi, costi quel che costi, e mai modo di dire fu più calzante, sulla via degli impegni a proposito di un non problema, come Fred Singer, fisico dell’atmosfera dell’Università della Virginia, così riassume: “Perché dovremmo dedicare le nostre scarse risorse a quello che in sostanza è un non problema e ignorare le problematiche reali che il mondo si trova davanti, fame, malattie, negazione dei diritti umani, per non parlare delle minacce del terrorismo e delle guerre nucleari?”.
A distanza di pochi giorni, quando al tavolo dei G8 si potrà misurare, insieme, la parte autentica e determinata della “rivoluzione verde”, con tutte le sue pulsioni chimeriche e le sue inaccettabili imprudenze, e la obbligatoria quota parte di “fiori per il loggione”, con le inevitabili tirate retoriche che, serviranno solo a contrabbandare una diffusa ma pudica, anzi virginale, ripresa del nucleare, sotto il pretesto del riaggiornamento degli impianti con le nuove tecnologie esistenti, le dichiarazioni ufficiali che fioccano dalle sedi delle Istituzioni europee sono a dir poco velleitarie. Nel giro di ventiquattr’ore il Corriere della Sera, mai come prima impegnato a tirare la volata alla causa del riscaldamento globale, il 29 giugno ha ospitato, tra altri, i seguenti propositi del Vicepresidente dei Verdi al Parlamento europeo, Claude Turmes, che dopo aver ascoltato i resoconti dell’approvazione alla Camera dei rappresentanti con sette voti di scarto della prima legge di Obama sul clima, capolavoro del nulla, tra blandi impegni di riduzione, concepita con il ricorso illusionistico del cap and trade, un paralizzante sistema di compensazioni in fatto di emissioni di gas a effetto serra, erede peggiorativo della fallita formula degli swaps, un baratto tra industria virtuosa e industria inquinante, prova legislativa da cui il nuovo Presidente americano è uscito barcollante, l’onorevole Turmes così auspica il futuro “D.: Cina, India, o i Paesi africani chiederanno all’Occidente i soldi per ripulire i loro cieli. Sarà giusto darli? R.: “Si. Sarà morale. È una questione etica, oltre che ecologica. Noi abbiamo delle responsabilità storiche verso quei paesi che non erano ancora industrializzati trenta o quaranta anni fa. Abbiamo accumulato CO2 nei cieli per molti decenni, prima che iniziassero loro a farlo”.
Fa una certa impressione, lo confesso, leggere propositi e sogni di un Parlamentare europeo appena eletto che ricordano i libri di Henry Michaux, “Un barbaro in Asia”, per esempio, scritto sotto mescalina, il più potente degli allucinogeni naturali. E il giorno dopo, 30 giugno, a parlare è il ministro dell’Ambiente della Svezia, Andreas Carlgren, che nella presidenza dell’Unione assunta nelle stesse ore si propone di ottenere l’estensione della Carbon tax, oggi adottata in Danimarca, Finlandia e Slovenia, a tutti i paesi dell’Unione, possibilmente suggerendola al resto della Comunità internazionale, e preannunciando per il proprio paese un taglio del 40 per cento delle emissioni di gas a effetto serra. Omette però di dire al giornale italiano, il ministro svedese Carlgren, che alla produzione di energia elettrica nella Svezia, paese di otto milioni di abitanti con una superficie di 150 mila chilometri quadrati superiore a quella italiana, la rinnovabile tradizionale idroelettrica concorre a fornire il 60 per cento del fabbisogno elettrico. Buona parte del rimanente è coperto dal nucleare prodotto da dieci centrali atomiche che, con decisione dell’attuale governo di Stoccolma, nel marzo di quest’anno, sono state confermate e in parte già riaggiornate, con buona pace del Referendum popolare del 1980 che ne prevedeva la graduale chiusura con termine al 2010.
Mi limito a esprimere un pio desiderio: si inizi al G8, e si passi poi alla Conferenza ONU di dicembre, a discutere di tutte le questioni della mutazione climatica senza l’obbligo di sottostare ai dettami della correttezza politica di chi coltiva la pretesa di cambiare il clima ripristinando quello d’antan.
Da Il Foglio, 8 luglio 2009
Bibliografia essenziale
Elenco qui di seguito i libri da consultare. Mi limito a dare i testi che considero importanti nelle edizioni italiane, e qualche riferimento a testi pubblicati altrove, ma egualmente indispensabili.
Stefano Apuzzo – Danilo Bonato, ECO LOGO, I libri di Gaia, Milano, 2008
Franco Battaglia – Renato Angelo Ricci, VERDI FUORI ROSSI DENTRO, Free Foundation for Research on European Economy, Milano, 2007
Tony Blair, SPEECH ON CLIMATE CHANGE, Londra, 14 settembre 2004
Jean-Louis Butré, L’IMPOSTURE, Editions du Toucan, Paris, 2008
Riccardo Cascioli – Antonio Gaspari – Tullio Regge, LE BUGIE DEGLI AMBIENTALISTI. I FALSI ALLARMISMI DEI MOVIMENTI ECOLOGISTI, Piemme, Asti, 2004
Michael Crichton, ENVIRONMENTALISM AS RELIGION, Commonwealth Club, San Francisco, 15 agosto 2003
Michael Crichton, THE CASE FOR SKEPTICISM ON GLOBAL WARMING, National PressClub, Washington DC, 25 gennaio 2005
Michael Crichton, STATO DI PAURA, Garzanti, Milano, 2005
Paul Ehrlich, THE POPULATION BOMB, Ballantine Books, New York, 1968
David L. Goodstein, IL MONDO IN RISERVA, Università Bocconi, Milano, 2008
Al Gore, LA TERRA IN BILICO, Roma-Bari, Laterza 1993
Al Gore, UNA SCOMODA VERITÀ: COME SALVARE LA TERRA DAL RISCALDAMENTO GLOBALE, Rizzoli, Milano, 2003
Vaclav Klaus, PIANETA BLU, NON VERDE. COSA È IN PERICOLO: IL CLIMA O LA LIBERTÀ?, IBL Libri, Torino, marzo 2009
Serge Latouche, L’OCCIDENTALIZZAZIONE DEL MONDO, Bollati Boringhieri,Torino, 1992
Nigel Lawson, NESSUNA EMERGENZA CLIMA. UNO SGUARDO FREDDO SUL RISCALDAMENTO GLOBALE, Francesco Brioschi editore, Milano, 2008
Richard Lindzen, CLIMATE OF FEAR, The Wall Street Journal, New York, 12 aprile 2006
Bjørn Lomborg, L’AMBIENTALISTA SCETTICO, Mondadori, Milano, 2003
Bjørn Lomborg, STIAMO FRESCHI, Mondadori, Milano, 2008
James Lovelock, THE EARTH IS ABOUT TO CATCH A MORBID FEVER THAT MAY LAST AS LONG AS 100.000 YEARS, The Indipendent, 16 gennaio 2006
Laura Marchetti, IL PENSIERO ALL’ARIA APERTA, Palomar, Bari, 2000
Donella Meadows – Dennis Meadows, I Limiti Dello Sviluppo, Mondadori, Milano, 1978
BARACK OBAMA’S PRESIDENTIAL ADDRESS, Shenker minibooks series, Roma, 2009
Maurizio Pallante, LA DECRESCITA FELICE, Editori Riuniti, Roma, 2008
Jeremy Rifkin, ECONOMIA ALL’IDROGENO, Mondadori, Milano, 2002
Jeremy Rifkin, IL SOGNO EUROPEO, Mondadori, Milano, 2004
Vandana Shiva, RITORNO ALLA TERRA, Fazi editore, Roma, 2009
Peter Staudenmaier, L’IDEOLOGIA FASCISTA: L’ALA VERDE DEL PARTITO NAZISTA E I SUOI ANTECEDENTI STORICI, AK Press, Oakland, 1995
Nicholas Stern, UN PIANO PER SALVARE IL PIANETA, Feltrinelli editore, Milano, aprile 2009
http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=8071

I nuovi mostri

sabato 18 luglio 2009, 07:00
Chi tira su questi mostri saccheggia la nostra memoria
di Redazione
C’è una terra che è nostra, un bene indisponibile che non ci può essere sottratto. Le parole degli scrittori l’hanno preservata nella nostra memoria. Manzoni fissando per sempre l’immagine del lago di Como, Pavese le Langhe, Verga la Sicilia. E dobbiamo immaginare che l’articolo 9 della Costituzione intenda garantirne l’integrità quando prescrive con il patrimonio artistico la tutela del paesaggio.
Eppure da qualche anno nel nome di una finta energia pulita questi principi sembrano vacillare, e ancora oggi, con una insensata gerarchia di luoghi dell’Italia che è bella tutta uno strano ecologista, Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente, può dichiarare: «Sarebbe folle mettere una centrale sulle cime di Lavaredo, ma in luoghi impoveriti, come le colline disboscate delle alture attraversate dagli elettrodotti, le pale eoliche migliorano il paesaggio».
L’insensata affermazione sembra indicare valori diversi non si capisce in base a quale criterio. Parliamo allora dello specifico.
Le bellissime strade che vanno da Salemi a Marsala e a Mazara del Vallo, magnificate da Cesare Brandi come tra le più belle del mondo per la varietà di mare, colline, campagne, sono oggi disseminate di pale eoliche approfittando della povertà di comuni che vendono le concessioni e la complicità della criminalità organizzata che le facilita. Dobbiamo dubitare delle parole di Brandi e considerare che le orride pale, da lui neppure immaginate, «migliorano il paesaggio». E oggi, con un violento contrasto, Amici della terra, Coldiretti, Mountain Wilderness, Altura, Vas, Movimento azzurro, Comitato del paesaggio, Comitato per la bellezza, Fare verde, Italia Nostra hanno preso una posizione durissima contro questo saccheggio del territorio. Sono considerazioni che appaiono incontestabili a chiunque abbia visto questi paesaggi violati, stuprati e soprattutto dei luoghi più poveri e abbandonati dove la mafia agisce indisturbata e stabilisce una nuova connivenza con i poteri pubblici europei, nazionali e regionali.
Fino ad oggi ancora miracolosamente intatta era la più bella provincia di Sicilia, quella di Ragusa, con le campagne declinanti separate dai muretti a secco, temporaneamente evitati i parchi eolici che pure infestano Giarratana e Monterosso Almo, una nuova aggressione minaccia quelle terre integre in modo ancora più insidioso e devastante, sono gli impianti fotovoltaici che desertificano la terra distruggendo la vegetazione e smantellando senza pietà quei muretti a secco che erano stati descritti nella pittura di Guccione e dei maestri della scuola di Scicli, Franco Polizzi, Salvatore Paolino, Franco Sarnari. Come gli scrittori, questi artisti hanno lasciato memoria di una terra che non può essere sfigura con la violenza inaudita di chi distrugge e saccheggia coltivazioni e memoria.
Ed io mi chiedo, come può il sindaco di Ragusa, Nello De Pasquale assistere inerme a questo scempio? Vedo fremere di indignazione l’architetto Salvatore Mancini che ha mirabilmente restaurato, poco lontano, l’eremo della Giuliana frequentato da chi, da ogni parte del mondo, viene a Ragusa per la, fino ad oggi, incontaminata condizione del suo territorio agricolo, e insieme mitico. Penso alla sofferenza dell’amico Giovanni Damigella di Chiaramonte Gulfi che vede la sua Sicilia umiliata e mi fermo, in località Contrada Mendolilli a osservare gli impianti che stanno per essere collocati dalla ditta Aton Sunpower. Mi chiedo come non vedano, e come del fotovoltaico non abbiano seguito gli sviluppi che consentono di applicarlo in aree industriali o dissimulato nelle tegole con ricerche più sofisticate. Qui a Contrada Mendolilli è puro vandalismo, è saccheggio, è la terra che viene rubata senza alcuna pietà per le antiche coltivazioni e per l’identità dei luoghi. Contrada Mendolilli è uno scandalo della pubblica amministrazione, indifferente e ignara, nonostante l’impegno appassionato di Rossana Interlandi, e nella distrazione di sovrintendenze asservite ai poteri locali. Mi annunciano altri analoghi orrori vicino a Sciacca in Borgo Bonsignore e a Menfi in Contrada Stoccatello mi auguro di arrivare in tempo a impedirlo con il sostegno di chiunque abbia conservato rispetto per la memoria e per la terra. La terra, appunto, che nessuno può violare perché non si può vendere o alienare per perderla per sempre.
Mi auguro che i sindaci di Ragusa, di Sciacca e di Menfi capiscano che il loro primo compito è difendere il bene pubblico e nessun bene è più prezioso della terra.
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Il bluf dell'eolico

sabato 18 luglio 2009, 07:00
«Basta pale». Tutto il mondo contro l’eolico
di Redazione
Non le vogliono di ambientalisti. E non le vogliono i contadini. Eppure sono una fonte di energia pulita. Ma l’invasione di pale eoliche in arrivo nelle campagne inglesi ha scatenato una guerra in Gran Bretagna. E non solo: ha innescato un allarme dall’Europa agli Stati Uniti, passando per l’Italia. Il governo di Sua maestà ha presentato un progetto per ridurre le emissioni inquinanti con l’impegno di rendere più snelle le procedure per il via libera ai parchi con i moderni mulini a vento. Ma non solo: l’esecutivo britannico ha reso noti anche i siti dove nei prossimi anni, forse già entro il 2016, sorgeranno le cosiddette «eco-town», i centri abitati di nuova costruzione a impatto ambientale zero. Il risultato? Il governo inglese non ha partorito un successo. Anzi, al contrario, ha acceso una miccia e la detonazione è arrivata.
Nelle campagne britanniche è subito esplosa la rivolta. E la loro battaglia ha già un nome in codice: Nimby («not in my back yard»). «Non nel mio giardino», tuonano gli agricoltori. E in Italia suonerebbe: «Padroni in casa nostra».
Ma la «bomba» eolica rapidamente ha travalicato la Manica.
Sono tornati alla carica i paladini del paesaggio, che hanno subito denunciato che nel libro delle fonti di energia, la bilancia dell’eolico pende più sugli svantaggi che sui vantaggi.
Dopotutto l’ingegneria del vento ha le sue regole: una turbina funziona a gonfie vele con un vento di circa 8 metri al secondo e occorre salire in alto, fino ad almeno 60 metri, per averlo abbastanza costante. In sostanza, più si va in verticale, meglio è. Ma è chiaro che una foresta di torri alta come un grattacielo di trenta piani è inguardabile. E un territorio devastato da giganteschi piloni piantati nella pancia delle colline inglesi, o italiane, o spagnole è una calamita naturale per le proteste degli ambientalisti.
Nel libro nero dell’eolico il capitolo del costo e dei benefici è cristallino: l’eolico non è competitivo con le altre fonti. Primo perché, come il sole, anche il vento non è mai uguale da zona a zona, né di giorno in giorno. Secondo perché un ventolone produce 5 megawatt e facendo i conti ce ne vorrebbero 200 per eguagliare la potenza di una centrale tradizionale. Bocciati anche gli impianti cosiddetti offshore, quelli in mezzo al mare, perché, anche se posizionati a grande distanza dalle coste, sono comunque una rovina per il paesaggio.
Su questo fronte negli Stati Uniti si sta combattendo una feroce battaglia: niente moderni mulini a vento dal New England a Cape Cod, niente torri e pale davanti alla baia di Nantucket e a Martha’s Vineyard, oasi di vacanza dei vip della politica a stelle e strisce - dai Kennedy ai Clinton - degli uomini d’affari, dei ricchi rampanti e degli intellettuali. L’America chic e glamour ha aperto un fuoco di sbarramento contro la produzione di energia pulita che inquini il paesaggio.
Eppure furono proprio i Kennedy e i Clinton i primi a tuonare contro l’ex presidente George W. Bush, quando non firmò il protocollo di Kyoto, accusandolo di voler soffocare il pianeta con i gas serra. Ma di fronte ai giganti dalle braccia rotanti, che deturperebbero la costa atlantica, l’opposizione è forte e dura.
Dagli States all’Europa il fronte anti eolico si allarga. La Germania è il primo produttore europeo di energia dal vento, eppure non mancano le voci contrarie. In Baviera è nata l’associazione «Gegenwind für Mensch und Natur» con l’obiettivo di chiedere al governo regionale di rinunciare «al folle disegno di ricoprire l’intera superficie del Land con i mulini a vento». E sempre in Germania, un rapporto dell’E.On tedesca - la principale installatrice di parchi eolici - ha già puntualizzato che servirebbero 24mila pale per sperare di chiudere un impianto di produzione di energia convenzionale.
Più dura la posizione della Federazione francese dell’ambiente sostenibile che, in uno studio dello scorso anno, ha denunciato che «l’eolico è un colossale inganno economico e ambientale». Sempre Oltralpe contro le pale hanno espresso critiche anche i vertici del Centro delle energie rinnovabili: «Se non si riducono i consumi d’energia, l’eolico non serve a nulla».
E in Italia? Continua lo scontro a distanza fra Legambiente, che si schiera a favore, e l’associazione Italia Nostra, che da anni si batte contro l’eolico.
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venerdì 17 luglio 2009

Nucleare

"Le centrali si faranno dove c'è acqua e le scorie sono un falso problema"
Intervista a Ugo Spezia
di Roberto Santoro
15 Luglio 2009
Cinque giorni fa il governo ha approvato il disegno di legge sullo sviluppo che al suo interno contiene il piano per la rinascita del nucleare italiano. Ma quando verranno costruiti i nuovi reattori? Dove? E che ne faremo delle scorie radioattive?
Ne parliamo con Ugo Spezia, Segretario generale della Associazione Nucleare Italiana (AIN). Dottor Spezia, come verranno scelti i siti delle nuove centrali nucleari?
L'ordinamento italiano prevede che la localizzazione degli impianti sia decisa dagli esercenti.
Non è il governo che decide, quindi, ma i gestori
Il governo autorizza la costruzione dell'impianto sulla base delle analisi ambientali e di sicurezza. Ma può solo indicare i criteri alla base della scelta dei siti.
Quali sono questi criteri?
Vengono emanati dalle Nazioni Unite e sono vincolanti per tutti i Paesi. In Italia percorreremo esattamente questa strada. Servono siti sicuri dal punto di vista sismico e tettonico. Come può immaginare non è consigliabile fare un impianto sotto un vulcano.
Ci dica almeno tre siti su cui potrebbero sorgere le nuove centrali
Se le rispondessi, domani scoppierebbe una rivoluzione. Mettiamola così: gli esercenti decideranno i siti sulla base degli studi geologici, idrologici e quant'altro… ma anche sulla base delle esigenze di sviluppo della Rete. Produrre energia elettrica a Pantelleria è cosa diversa dal produrla in Val D'Aosta.
Pantelleria o la Val D'Aosta?
Provo a rispiegarglielo in questo modo: le centrali di ultima generazione sono impianti di grande potenza che hanno bisogno di una portata di acqua significativa per il sistema di raffreddamento dell'impianto. Attenzione, non vuol dire che si consumi dell'acqua; l'acqua viene usata per raffreddare l'impianto e poi restituita all'ambiente. Ma servono comunque grandi quantità d'acqua. Ecco perché in tutto il mondo le centrali le stanno facendo lungo le coste. Tutte le regioni costiere in Italia sono dei luoghi idonei per l'insediamento delle centrali.
Si potrebbero riutilizzare i siti delle vecchie centrali già esistenti?
Le vecchie centrali sono in fase di smantellamento. In nessuno di questi posti, presumibilmente, sarà possibile installare grandi centrali di grande potenza.
La parte più delicata è lo stoccaggio e lo smaltimento delle scorie radioattive
Anche in questo caso avremo bisogno di siti stabili, che non siano soggetto a rischi di terremoti, inondazioni, allagamento e così via. E deve essere un sito il più possibile a bassa densità di popolazione.
Il fronte antinuclearista dice che le "scorie" sono una ipoteca sul futuro nostro e delle prossime generazioni…
C'è molta fantascienza in giro, per non usare termini più drastici. Il problema delle scorie in realtà è un falso problema. I rifiuti radioattivi che si producono in un impianto nucleare, per il 95 per cento, perdono la loro radioattività nell'arco di 300 anni. Un impianto nucleare produce ogni anno 20 tonnellate di materiale radioattivo, ma un impianto a carbone produce ogni anno 5 milioni di tonnellate di materiali pericolosi. Ebbene, la radioattività che esce da un impianto nucleare è 25 volte inferiore a quella contenuta nelle ceneri di carbone che vengono smaltite quotidianamente.
Non dobbiamo preoccuparci?
C'è una piccola componente pericolosa, che è quella dei rifiuti ad alta attività, ma sto parlando del 3 per cento delle 20 tonnellate prodotte in un anno da un impianto nucleare. La quantità di questi materiali ad alta attività è talmente limitata che, fino a questo momento, il problema dello smaltimento definitivo di questi materiali non c'è stato.
E in prospettiva?
Fra cento anni, quando sarà stata accumulata una quantità sufficiente , potranno essere smaltite in via definitiva all'interno di depositi geologici. Depositi scavati a 1.000, 1.500 metri di profondità, all'interno di formazioni di granito, salgemma, argilla, formazioni stabili da milioni di anni e che lo rimarranno per milioni di anni...
Messi a dimora i materiali, si può buttare via la chiave.
Non esiste il minimo rischio che qualcuno arrivi a fare un buco a 1.500 metri di profondità per prendersi il materiale radioattivo. Questi sono i termini tecnici reali del problema.

giovedì 16 luglio 2009

Munzenberg

giovedì 16 luglio 2009, 09:27
Il caso di Münzenberg, ispiratore dei guastatori che affosseranno il Pd
di Luca Josi su Il Giornale
Un consiglio non richiesto per gli amici del Partito democratico l’avrei. Ok a Grillo. Benvenuto! Fantastico! Porte aperte!
Ma nel sospetto, piccolo piccolo, che la candidatura sia un poco strumentale perché non v'iscrivete tutti all'Italia dei Valori, prendete la maggioranza assoluta, cambiate il segretario e poi disponete la chiusura del partito? Almeno anticiperete quello che Di Pietro vorrebbe fare a voi.
Poi dite quello che volete. Ma i due, Di Pietro e Grillo, saranno grulli, saranno grilli, ma sono due talenti straordinari della devastazione.
Portano all'ennesima potenza la provocazione.
Il gioco è presto fatto. Una volta che tu molli i freni e dici che si può dire ogni cosa sul tuo nemico - che non è mai avversario - è difficile fissare un limite. Un po' di filosofi all'inizio del Novecento la spiegavano così: «Tutto quello che può accadere accadrà». Direte: che geni! Ma la frase è meno lapalissiana di come appare. Ovvero sostiene che se in qualche parte del mondo qualcuno si mette in testa un'idea, un'intuizione, sfrucuglia una possibilità, stai tranquillo che prima o poi quella cosa troverà il modo di realizzarsi. Puoi inventare qualunque barriera morale e ideologica per fermarla ma una volta che è venuta in mente a qualcuno, presto o tardi, lui o qualcun altro, la metterà in opera.
Quindi, se la temi, ti conviene farci i conti, prevederla, governarla e preoccuparti subito subito di trovarle un antidoto o un vaccino.
Ora a vederla grigia la pandemia distruttiva potrebbe estendersi all'intero parlamento ma per il momento guardiamo cosa può accadere al nuovo Partito democratico.
La gara nella storia è sempre stata a sedersi per primi dalla parte del Giusto, del Buono, dell'Eroe e della Verità.
Dal secolo scorso questi termini sono diventati i cavalli da battaglia della propaganda. Se devi convincere qualcuno, in effetti, è meglio dire che parli per conto di queste parole, belle e rassicuranti, anziché delle parole che evocano atmosfere contrarie. Infatti, a parte una piccola minoranza di masochisti - e ci sono anche quelli - le persone amano stare dalla parte del Giusto lasciando agli altri il posto del Torto.
Di Pietro e Grillo sono un'ulteriore evoluzione, contemporanea, della rincorsa a queste promesse.
Pensate che a sinistra si erano molto arrabbiati perché dopo corsi intensivi, durati un secolo, di egemonia gramsciana a trarne vittoria è stato un geniotto capitalista che con la Sardegna del loro bistrattato fondatore condivide poco più di una batteria di ville (e oggi un po' troppo sbirciate). Lavorare sul consenso è l'Abc della politica per conquistare qualunque maggioranza. Il problema è che il Cavaliere si è ricordato che chi vende serenità, speranza, fiducia, benessere, ricchezza in terra - bada bene, in terra - è un pochettino più charmant di chi ti elenca i guai del nemico, annuncia apocalissi e invece che impegnarsi a produrre un panino in più t'invita a fare a metà con quello del vicino (un mercato anche questo, quello dei catastrofisti, anche se minoritario. D'altre parte i popoli cercano la pensione in paradiso mica all'inferno).
Ma torniamo ai due sconquassatori del Partito democratico: Di Pietro e Grillo. Essendo guastatori nati interpretano strade che nessuno gli ha mai insegnato. Il talento sta proprio in questo. È natura.
Ad Est per quasi un secolo la Pravda (il cui nome significa, Verità) costruiva in maniera industriale la mente dei suoi cittadini per trasformarli in un esercito di apostoli del comunismo.
Ad Ovest, invece, Goebbels veniva immeritatamente raccontato come il sacerdote unico, creatore della propaganda. Un'immeritata leadership sottratta a un suo connazionale, autentico genio della materia: Willy Munzenberg.
Munzenberg per Lenin e poi per Stalin inventò lo judo mediatico. La forza dell'avversario veniva ribaltata nella sua debolezza. Portò, in sostanza, il cavallo di Troia nel secolo scorso. Piuttosto che lavorare su armi e paura, Munzenberg, teorizzava che con investimenti ridotti e ben più redditizi si potesse fiaccare l'umore dei propri nemici. Invece che produrre ulteriori carri armati e incrociatori - soprattutto in tempi di pace - si sarebbe dovuto investire nella diffusione di «Verità» da infiltrare nel territorio nemico attraverso le porte maestre dei loro fragilissimi capisaldi. Facciamo degli esempi: le democrazie difendono la libertà di espressione? Usiamola! Tutelano ogni minoranza? Creiamone! Accettano il confronto e rallentano ogni azione per non offendere sensibilità diverse? Facciamo esplodere ogni contraddizione che la natura umana possa prevedere! Vi viene in mente qualcosa o qualcuno adesso? Qualche suggestione applicabile ai nostri giorni?
Così vennero finanziati movimenti per la liberazione sessuale nell'Inghilterra postvittoriana e in Europa, furono supportate intere generazioni d'intellettuali «indipendenti», si stimolarono le cause ambientaliste contro l'industrializzazione, quelle animaliste contro le industrie alimentari, quelle pacifiste contro le politiche di difesa.
Oggi tutto questo ambaradan sta sdraiato sui divanetti di qualche talk show.
Non importa cosa dici ma se quello che dici vellica gli istinti peggiori dei nostri sensi.
Non importa la ricostruzione di un fatto, il suo capovolgimento, la sua confutazione ma solo l'emozione, la percezione di tutto questo. Perché non è necessario avere ragione nella Storia ma ottenerla (avendo poi, da vincitori, tutto il tempo per riscriverla).
Il nostro Munzenberg, Willy, fu suicidato nel 1940 forse da sicari di Stalin che lo impiccarono al ramo di una possente pianta.
Era irritato dall'involuzione dei suoi discepoli e per vendetta, racconta la leggenda, una notte di molti molti anni dopo, si presentò sotto false spoglie nel sonno di un leader politico. Nei panni di Morfeo suggerì all'uomo che voleva guidare al successo una gioiosa macchina da guerra un simbolo: la Quercia. Come l'albero a cui Munzenberg era stato lasciato appeso, a ciondoloni, a morire.
Oggi pare che il vecchio Willy, non pago di quella punizione, si sia rimesso in azione.
PS: domanda ai lettori. Munzenberg in 60 anni di storia democratica italiana non è stato, di fatto, mai pubblicato nel nostro Paese. Perché?
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=366867

La stampa inglese

Per gli inglesi il Cav. è un latin lover mafioso che mangia pizza tutti i giorni
di Daniela Coli
14 Luglio 2009
Discutere di come ci vedono all'estero (mafiosi, puttanieri, imprevedibili, inaffidabili, cinici, cattolici, cafoni, codardi, mammoni, etc.) è il principale strumento retorico della politica italiana e poi ci arrabbiamo quando questi stereotipi ci vengono gettati addosso dai giornali inglesi e tedeschi, soprattutto d'estate quando i turisti devono scegliere dove andare in vacanza.Berlusconi sarebbe diventato per Beppe Severgnini il simbolo di nostri difetti all'estero, come se i politici britannici fossero asessuati e John Profumo con una escort in comune con un agente del Kgb in piena guerra fredda fosse il personaggio di un romanzo di Le Carré. I media stranieri riprendono i nostri stereotipi culturali, cinematografici, politici. In pieno miracolo italiano il cinema ha veicolato un'Italia povera, ma bella, con tanti vitelloni e divorzi all'italiana, un'Italia allo sbando, senza eroi, con maggiorate strapazzate e avventurieri alla Tognazzi. Negli anni '70 e '80, durante la "strategia della tensione", la fiction più vista del mondo è stata la Piovra e la mafia è diventata più nota della pizza dovunque. Excellent cadavers, un documentario della Bbc del 2005, è stato rimesso in onda questo giugno, mentre impazzava il reality di Repubblica e del Times sul premier sporcaccione, sciupatore di minorenni, utilizzatore finale di escort e quindi pericoloso per la sicurezza nazionale, europea ed occidentale. Excellent cadavers di Mario Turco è reperibile anche in dvd e si ispira al libro con lo stesso titolo poco originale di Alexander Stille, figlio di un'americana e di Ugo Stille, nato Mikhail Kamenetzky, fuggito in Italia dalla Russia bolscevica e autore con lo pseudonimo Stille di articoli antifascisti negli anni '30. Alexander ha studiato a Yale, insegna alla Columbia University e si occupa prevalentemente dell'Italia, dall'antisemitismo fascista, alla mafia a Berlusconi, adornato del cognome del padre direttore del Corriere.Excellent cadavers è la traduzione letterale di Cadaveri eccellenti, un film di Francesco Rosi del 1976, tratto dal Contesto di Sciascia, una visione apocalittica e discutibile dell'Italia degli anni '70, dove le Brigate rosse & C. ammazzavano poliziotti come Calabresi, direttori della Stampa come Casalegno e politici come Moro tra gli applausi della gauche. Negli Excellent cadavers della Bbc politica e mafia sono una sola storia da De Gasperi a Berlusconi: Giuseppe Ajala, guida narrativa del documentario Bbc, non parla di Mani Pulite, ma solo, velocemente, di cambio di sistema, per affermare che il centrodestra è il nuovo referente della mafia e immediatamente vengono proiettati pezzi, dove Silvio Berlusconi parla contro la magistratura. Lo spettatore global Bbc deduce che Berlusconi è un politico mafioso: nessuno spiega il ruolo della magistratura nella ghigliottina di Mani Pulite, con politici e imprenditori messi alla gogna, costretti a suicidarsi come Raul Gardini, Gabriele Cagliari, Sergio Moroni. La Bbc non menziona cosa accadde sullo yacht Britannia al largo di Civitavecchia nel giugno 1992, dove i British Invisibles, la confindustria della finanzia brit, si incontrarono con banchieri e manager italiani per decidere la privatizzazione del nostro sistema economico. Sergio Romano, sicuramente non antibrit e indubbiamente infastidito dai complottisti, ha concluso recentemente che non c'è stata privatizzazione italiana degli anni successivi in cui la finanza anglosassone non abbia svolto un ruolo.Se i media stranieri riprendono stereotipi creati in Italia, amplificandoli fino all'assurdo, i nostri media sono provinciali, italocentrici, incapaci di offrire analisi serie su quanto accade in Europa, negli Stati Uniti, in Africa, Asia, Medioriente. Media, cultura e politica sono concentrati da decenni solo sull'Italia, il fascismo, l'antifascismo, la guerra, il Pci, come in un teatro surreale, dove si gira e rigira sempre la stessa storia, con Pasolini, Sciascia e Berlinguer, mentre il mondo cambia continuamente. Crollano imperi, scoppiano guerre, emergono nuove nazioni come India e Cina e continenti come l'Africa. Barack Obama, figlio di un keniota, il cui nonno ha combattuto contro il British Empire, diventa il primo afroamericano presidente degli Stati Uniti e Repubblica, il giornale dell'intellighenzia scopre il gossip come atomica contro Berlusconi-Mussolini. Due mesi di Noemi in tutte le salse e di escort pugliesi come arma letale contro il Duce-Caimano-Padrino, colpevole di apprezzare il fascino femminile.Il reality messo su da Rep. dallo sventurato D'Avanzo, editor Ezio Mauro, e dal nuovo Machiavelli Scalfari, travolge anche il Times di James Harding, diventato un tabloid gossipparo londinese, con articoli tradotti dal maldestro Owen. L'autorevole Times, il prestigioso Times, finito come un giornaletto scandalistico qualunque. E poiché quando il pesce puzza, la testa è marcia, come dicono i brits fanatici del fish & chips, il supertycoon Murdoch proprietario del Times, viene preso con le mani nel sacco a fare intercettare dai suoi quotidiani telefonate e messaggi di ministri, viceministri (perfino quello di Gordon), attori, attrici, allenatori di calcio, etc. : uno scandalo che sta affossando il mito tutto italiano della correttezza british. Per non parlare del mito dell' intelligence brit, il cui nuovo capo è finito su Facebook ad opera della mogliettina, che ha spifferato tutto di lui, né della raffinata diplomazia anglosassone, con un membro finito fotografato a letto con due segnorine russe. Senz'altro due spie del Kgb, scrive il Times, dimenticando che il Kgb è finito con l'Urss e che gli inglesi amano cocktail di alcol e sesso. Insomma, se Veronica scrive a Repubblica per lamentarsi del marito premier assente, molto più inquietante è la desperate housewife del capo MI6 che ha messo il marito su Facebook, perché è evidente il pericolo corso dalla sicurezza occidentale col Regno Unito privo di controllo e con una intelligence tanto scoperta. Il Times, orfano delle Noemi e Patty varie di Rep., a fine G8 ripiega mestamente su Mrs. Brown, che ha scritto su twitter di avere rifiutato due volte il vitello all'Aquila. Forse Mrs. Brown s'illude che il vitello abbia qualcosa a che fare con i Vitelloni di Fellini.Speriamo imparino qualcosa i nostri finti inglesi, quelli ancora convinti dell' eccezionale eleganza del loden o della giacchettina di gomma trapuntata alla Prodi, quelli di Britannia vergine madre del liberalismo, nonché di parlamenti disciplinati e premier rigorosamente astemi. Ai nostri finti inglesi vorremmo ricordare Wittgenstein, figlio del re dell'acciaio di Vienna, accolto a Cambridge a braccia aperte. Wittgenstein aveva abitudini che spiazzavano gli inglesi, tutti ai suoi piedi. Permise all'inglesino David Pinsent di seguirlo in Norvegia in una capanna isolata per dirgli poi di andarsene, perché desiderava rimanere solo in mezzo ai fiordi. Ebbene, quando, dopo l'Anschluss, informarono Wittgenstein, sempre un po' distratto, che non poteva tornare a Vienna, perché era ebreo, rispose di detestare Hitler perché lo aveva condannato a diventare un finto inglese.
da l'Occidentale

giovedì 9 luglio 2009

Soros finanzia gli attacchi dei media a Berlusconi ?

Oggi Il Corriere della Sera ha svelato gli arcani della campagna multinazionale contro Berlusconi. Come gli elettori di sinistra non sanno (come potrebbero sapere? Se sapessero cambierebbero idee), la sinistra mondiale non è "proletaria" contro la destra "nababba". Al contrario, un ampio settore della finanza e delle banche finanzia ed è parte del carro laburista/democrat/PD. Molti cittadini l'hanno capito, magari incoscientemente, e ciò spiega la débacle delle sinistre alle recenti elezioni europee, quando la crisi finanziaria ha punito proprio i socialisti, indicati come causa e non come soluzione del problema, nonostante i loro proclami.Uno dei massimi rappresentanti del "capitalismo etico" di sinistra è il finanziere George Soros. Secondo il Corriere della Sera di oggi:
George Soros, uno dei finanziatori più in grana di Barack Obama e dei democratici americani, sarebbe pronto a investire un centinaio di milioni di dollari in giro per l'Europa per contrastare la montante marea nera della destra xenofoba. Fino a oggi questo impegno era riservato a paesi dell'Est Europa e del Baltico; pare, però, che Soros stavolta sia deciso a puntare pure sull'Italia, dopo le notizie provenienti dal Belpaese, dalla lotta all'immigrazione alle politiche sui rom, con un occhio particolare alla Lega. Il finanziere avrebbe già inviato a Roma i suoi emissari sotto l'egida dell'Open Society Institute, braccio politico del magnate, con uffici a Parigi, Londra, Bruxelles, Budapest, che avrebbero cominciato a fare incontri su incontri per preparare il terreno dello sbarco.
E puntuale oggi è arrivato un altro attacco, dopo quello palesemente falso del Guardian, da parte del New York Times, legato al gran circolo di Soros. Ecco dove troveranno fondi nuovi i Diliberto e i De Benedetti...
Ma chi è il paladino etico delle sinistre etiche mondiali? (Di origine ungherese e naturalizzato americano)
- Sorpresa, è stato condannato all'ergastolo in contumacia dall'Indonesia per speculazioni sulla moneta locale.- Ha favorito Solidarnosc;- Ha creato la "rivoluzione delle rose" in Georgia;- Nel Mercoledì Nero del 16 settembre 1992, Soros divenne improvvisamente famoso quando vendette allo scoperto più di 10 mld di dollari in sterline... Alla fine, la Banca d'Inghilterra fu costretta a far uscire la propria moneta dallo SME e a svalutare la sterlina, e Soros guadagnò una cifra stimata in 1,1 miliardi di dollari. Da quel momento fu conosciuto come "l'uomo che distrusse la Banca d'Inghilterra". (Wiki)- Nel 1988 gli fu chiesto di partecipare ad un cambiamento di gestione di una banca francese. Rifiutò di partecipare all'offerta, ma più tardi acquistò una parte di azioni della compagnia. Quattordici anni dopo, nel 2002, una corte francese lo condannò per insider trading e lo multò di 2 milioni di dollari. Soros negò qualsiasi addebito e disse che la notizia del cambiamento di gestione era pubblica. Dopo vari appelli è stato condannato dal tribunale francese a pagare una penale di 2,3 milioni di dollari.- Soros dichiarava che la rimozione di George W. Bush dal suo incarico era "l'obiettivo principale della sua vita" ed una "questione di vita o di morte" per la quale avrebbe volentieri sacrificato la sua intera fortuna. Soros ha donato 3 milioni di dollari al Center for American Progress, 5 milioni di dollari a MoveOn.org, mentre come il suo amico Peter Lewis ha donato 10 milioni di dollari all'America Coming Together, (tutti questi citati erano gruppi di supporto ai democratici durante le elezioni presidenziali del 2004). Nel 2004, stanziati altri fondi per la campagna, annunciava l'avvio ad un proprio tour nazionale con un discorso: "Why We Must Not Re-elect President Bush".Si preparino i cassieri del PD e dei vendoliani...
- George Soros fu premiato -per intercessione di Prodi- con la laurea honoris causa all'università di Bologna... Eppure anche in Italia Soros è stato inquisito -invano, ovviamente- per aver guidato il complotto speculativo che portò al fallimento della lira, nel 1992. - Ha investito centinaia di milioni in operazioni-immagine in sud america, dove nel 2006 acquistava piantagioni per la produzione di etanolo. Un anno dopo Prodi si recò in Sudamerica, dove sponsorizzò le coltivazioni di biodiesel...
- IL CASO BRITANNIA. 100 giorni dopo l'arresto di Chiesa e pochi giorni dopo la strage di Capaci, il 2 giugno 1992, al largo di Civitavecchia, su un panfilo denominato "Britannia", di proprietà di Sua Altezza la Regina d'Inghilterra, si ritrovarono un centinaio di personaggi legati al mondo dell'economia, i rappresentanti di importanti banche internazionali, soprattutto statunitensi e anglo-olandesi. Tra gli italiani vi erano il collaboratore di Prodi Beniamino Andreatta che poi ricoprirà la carica di ministro in tre successivi governi. E vi era Mario Draghi, che oggi ritroviamo a capo della Banca d'Italia, ma che allora era direttore generale del Ministero del Tesoro e, come presidente del Comitato per le privatizzazioni, guidò il processo di svendita, oltre che di Telecom, di Enel, Eni, IMI, Comit, BNL e tutto il sistema bancario italiano. Finito il suo lavoro di liquidatore (2001), in attesa di salire al vertice della Banca d'Italia, Mario Draghi parcheggia il prezioso culetto sulla poltrona di vicedirettore della banca d'affari Goldman Sachs (quel posto ora è occupato da Mario Monti, altro nome illustre della banda.
Goldman Sachs è un elemento cruciale di questa storia e in generale nella storia delle privatizzazioni italiane, dove ha ricoperto alternativamente il ruolo di acquirente o di advisor. Romano Prodi è stato consulente della Goldman Sachs praticamente ogni volta che è rimasto fuori da incarichi pubblici: tra le due sue presidenze dell'IRI, e dalla caduta del suo primo governo alla nomina alla Commissione Europea. Gestì la procedura di privatizzazione della Bertolli, ceduta dall'IRI di Prodi al consorzio Fisvi e poi rivenduta alla Unilever con la Goldman Sachs come advisor. La stessa banca era stata advisor anche nella privatizzazione del Credito Italiano. Per tutto questo è stato inquisito e assolto... Tornando al Britannia, al piacevole party marino partecipò anche il finanziere ungherese-americano George Soros che oggi si spaccia per filantropo e scrive libri che criticano il neoliberismo, ma allora si divertiva e arricchiva lanciando attacchi speculativi alle valute di alcune nazioni.Di quella crociera i giornali diedero informazioni vaghe, e alcuni dei protagonisti si affrettarono a liquidarla come un semplice ritrovo di piacere. Draghi negò per due anni la sua partecipazione, finchè non la ammise di fronte ad una commissione parlamentare. Cosa ha a che fare la crociera sul Britannia con la nostra storia? Sarà un caso, ma pochi mesi dopo, a settembre, Moody's declassò i BOT italiani. Allo stesso tempo George Soros lanciò un attacco speculativo alla Lira attraverso una massiccia svendita della valuta italiana. Questi fatti provocarono un crollo del valore della moneta del 30% a cui la Banca d'Italia cercò di far fronte bruciando 48 miliardi di dollari (per riacquistare Lire e limitare la caduta del valore).Subito dopo la massiccia svalutazione iniziò il valzer delle privatizzazioni. In pratica, gli acquirenti stranieri, poterono beneficiare di uno sconto del 30%, un vero affare! Accorsero in branchi le iene per avventarsi sul cadavere dell'economia nazionale e spolparne le ossa.
- I FONDI IMMOBILIARI SOROS-PRODI... Perché Prodi, Visco e Padoa Schioppa, famigerati tartassatori, siano stati così generosi con tali fondi, si spiega con i nomi dei fondi stessi: Soros RE, Pirelli RE (dove RE sta per «real estate», patrimoni immobiliari), Beni Stabili... quelli che hanno mandato a bagno le economie di mezzo mondo...Insomma i soliti compari del governo della cosiddetta «sinistra Goldman Sachs»: colossi multinazionali e amici ben protetti.Soros RE è uno dei cinque fondi offshore del noto finanziere George Soros, amico di Prodi e da lui insignito di laurea honoris causa a Bologna.Soros l'ha creato in società con Paul Reichmann, un altro notorio immobiliarista, perché controllava la maggioranza dell'immobiliare Olympia & York, fallita a causa dell'enorme volumetria costruita a Londra sui vecchi docks in disuso, Canary Warf, e rimasta a lungo sfitta.La Pirelli RE è stata portata alla gloria dall'amministratore delegato Carlo Puri Negri, compagno di classe di Tronchetti Provera, che è anche uno dei dirigenti più pagati d'Italia (sugli 11 milioni di euro annui). Ma mi pare che ciò che denuncia sia una strategia costante e coerente del governo d'occupazione della «sinistra Goldman Sachs»: il trasferimento di rendite dai piccoli privati ai grossi gruppi «amici» e multinazionali; dalla società che sopravvive (ed è tacciata continuamente di evasione fiscale) alle grandi società, che invece vengono detassate, ancorchè con holding di controllo nei paradisi fiscali.Tipico di Prodi. A Milano nel 2006 il Rapporto annuale Nomisma segnalava come interessanti per un grande sviluppo residenziale l'ex stazione di Porta Vittoria, Porta Garibaldi e le aree industriali dismesse (Bovisa e limitrofe). Nomisma, guarda caso. Guarda caso, la sinistra è rimasta fuori da quelle speculazioni e da quella della Fiera di Milano, grazie alle ripetute sconfitte elettorali.
Naturalmente, i grandi giornali non dedicano una riga a questi panni sporchi dei lavandai etici. Rommel-Prodi è ritornato. Per fortuna Obama non è un servo e, al suo arrivo al G8, ha detto che l'italia ha fatto uno splendido lavoro per il G8.
http://leguerrecivili.splinder.com/post/20918290/Soros+finanzia+i