mercoledì 25 febbraio 2009

Il parere di Franco Battaglia

25 Febbraio 2009
UN REGALO A DUE GENERAZIONI
di Franco Battaglia
Il ritorno italiano al nucleare sarà la cosa più importante che si sarà decisa in questo Paese negli ultimi 30 anni. Dobbiamo rendercene conto: la nostra civiltà è fondata sulla disponibilità di energia abbondante, economica e garantita secondo i nostri bisogni. E i nostri bisogni sono che essa deve essere erogata nel momento in cui viene richiesta e con la potenza richiesta. Non aver compreso quanto appena detto ha indotto la sbornia da eolico e fotovoltaico che il mondo, purtroppo, non ha ancora sbollito. Quando accadrà, sarà sempre tardi.
I combustibili fossili contribuiscono all’85% del fabbisogno d’energia primaria dell’umanità. Contribuiscono anche, nel mondo, al 66% del fabbisogno elettrico: per il resto, l’energia elettrica è prodotta da idro (17%) e nucleare (15%). Il restante 2% da geotermia e termovalorizzatori: come vedete, vento e fotovoltaico sono inesistenti (oddio, gli impianti - costosissimi - ci sono: sono solo inutili).L’Italia è messa peggio del resto del mondo: i combustibili fossili soddisfano il 73% del nostro fabbisogno elettrico, l’idro il 10%, geotermia e rifiuti solidi urbani il 3%: anche in Italia, a dispetto dei colossali sperperi del precedente governo su eolico e fotovoltaico, questi sono quasi assenti. Se avete fatto le addizioni, rimane un 13% di fabbisogno: esso è coperto dal nucleare che importiamo dalla Francia. Insomma, nel mondo il nucleare è a +15% da noi, unici al mondo, a -13%. Non avete idea del danno economico che il Paese ha dovuto subire. Per farla breve: è da 20 anni che paghiamo alla Francia, ogni anno, l’equivalente di un reattore nucleare: come dire che un quarto del parco elettronucleare francese l’abbiamo pagato noi contribuenti italiani.
C’è però una ragione più profonda della necessità del ritorno al nucleare in Italia, ed è la stessa della necessità del suo potenziamento nel mondo: bisogna programmare una lenta e dolce uscita dall’economia del carbonio. Non, naturalmente, per via del riscaldamento globale - che è un colossale falso scientifico - ma perché la Terra non è piatta e infinita ma tonda e finita, e finiti sono petrolio, gas e carbone. La loro produzione, cominciata a zero nel passato, ha continuato ad aumentare finché, prima o poi, raggiungerà un picco massimo; che è stato anzi già raggiunto dal petrolio e il gas ci è vicino (il picco del carbone è ancora lontano, grazie alla sua maggiore abbondanza). Quel picco è un grave campanello d'allarme: da esso in poi la produzione della risorsa sarà inferiore alla domanda. O si corre ai ripari o saranno guai che non oso nemmeno immaginare.
I ripari non possono essere né eolico né fotovoltaico perché, per ragioni tecniche, queste tecnologie hanno una sola funzione: fanno evitare la combustione di combustibile convenzionale quando il sole brilla o il vento soffia. Quando il combustibile convenzionale sarà esaurito, non potranno far evitare la combustione di alcunché, e non avranno alcuna funzione. Qualcuno, con poca dimestichezza con la fisica, si illude coi pregi dell’accumulo della energia elettrica prodotta dal vento o dal fotovoltaico: mi spiace deludere, ma non è possibile, e alla prima occasione lo chiarirò.
L’unico riparo possibile è il nucleare: il buon Dio ci ha dato uranio e torio a sufficienza per alimentare il fabbisogno elettrico dell’umanità per oltre 10.000 anni, per cui la nostra civiltà, fondata sulla disponibilità di energia abbondante e garantita, avrebbe ancora lunga vita. Quella dei reattori nucleari è di 60 anni: installarli oggi, significa lasciare un bel regalo a ben due generazioni future. Se in Italia riusciremo a farlo, dovremmo esserne orgogliosi.

Finalmente si torna al nucleare

«Finalmente autonomi È l’unica via del futuro»
di Eleonora Barbieri

Tullio Regge è soddisfatto. L’Italia torna al nucleare. Lui, fisico e matematico, da anni si occupa dell’energia dall’atomo e dei pregiudizi che la circondano.
Italia e Francia hanno firmato l’accordo per costruire quattro nuove centrali. Che ne pensa?
«Sono favorevole al ritorno del nucleare, per varie ragioni. Primo: dipenderemo meno dalle importazioni di combustibile fossile, carbone e petrolio. Secondo: è un’energia pulita. Terzo: è un sistema sicuro. La Francia ha sessanta centrali e non sono mai accaduti incidenti degni di nota».
Si aspettava il ritorno al nucleare?
«Sì. Finalmente l’Italia sarà indipendente. Per il futuro è fondamentale».
E la paura?
«Molti hanno paura dopo Cernobyl, ma quell’incidente è avvenuto per una serie grossolana di errori che, oggi, non sarebbe più possibile».

Per esempio?
«La centrale era moderata a magnesio, il che ha reso il reattore instabile a bassa potenza. Il direttore permise a un gruppo di studiosi di fare esperimenti sul comportamento del reattore: ne abbassarono la potenza fin quasi a spegnerlo e divenne troppo instabile. Quando tolsero anche l’ultima barra di protezione, anziché spegnersi del tutto il reattore esplose».
Non sarebbe più possibile?
«No, i reattori di oggi sono diversi per struttura e sistemi di controllo. Il nucleare non ha mai più dato problemi».
Che cosa la convince di più del ritorno all’atomo?
«Fino a oggi siamo stati troppo poco autonomi. L’Italia ha bisogno di energia e di diversificare le fonti, in caso una si esaurisse o avesse costi troppo elevati. Non detesto il solare: le fonti alternative servono, ma solo per scopi locali, magari per riscaldare una casa in campagna. Diversificare è una norma di prudenza e di saggezza».

La scadenza del 2020 è realistica?
«Sì. Ormai l’esperienza tecnica è enorme, i francesi sono i più nuclearizzati al mondo. Anche sul piano della sicurezza non hanno avuto incidenti significativi».
Già ci sono polemiche. Aumenteranno?
«Garantito. Ci sono persone, soprattutto in Italia, che neanche studiano i dati sul nucleare. Dicono no e basta. Con loro è impossibile discutere».
Perché?
«Credo per convenienze politiche: sfruttano il sentimento popolare antiscientifico, come nella battaglia anti Ogm. Non ascoltano. Quindi meglio ignorarli».
Le scorie saranno un problema?
«No. Uno dei sistemi utilizzati in Francia è fonderle e vetrificarle in una matrice insolubile, col piombo (che assorbe le radiazioni); poi le barre sono calate in cave profonde, dove ci sono depositi di salgemma. Il sale indica che lì non è mai passata acqua, cioè l’unica che potrebbe spargere radioattività».

È soddisfatto?
«Sì. Non transigo sulle misure di sicurezza, che devono essere rigorose. Ma ci sono molte più vittime per il traffico, o per il fumo. In Francia, dove c’è un reattore in ogni dipartimento, il numero di morti per il nucleare è nullo».
Quattro centrali bastano?
«È già buono. Cominciamo, formiamo anche nuovi esperti, tutti italiani. Poi si vedrà».

giovedì 19 febbraio 2009

Fine corsa per una classe dirigente dissociata dalla realtà

Scritto da JimMomo
mercoledì 18 febbraio 2009
Il brusco epilogo della corsa veltroniana (e forse anche del Pd) era scritto in quel magnifico, indispensabile libro di Andrea Romano, "Compagni di scuola", sulla classe dirigente dell'ex Pci. E' un testo fondamentale per capire il male profondo della sinistra italiana negli ultimi 20 anni.Veltroni ha certamente commesso molti errori. Il più madornale l'aver imbarcato il giustizialismo dipietresco dopo aver annunciato che il Pd sarebbe andato "da solo". Un errore che ha sviluppato tutte le sue conseguenze negative proprio nel momento in cui il Pd avrebbe avuto più bisogno di agire libero da condizionamenti, cioè all'indomani delle elezioni.Il fallimento di Veltroni non sta infatti nella sconfitta elettorale dello scorso aprile (ampiamente prevedibile e comunque a lui non imputabile), ma in quello che è venuto dopo. E' dall'opposizione, infatti, che i grandi leader combattono la battaglia per il rinnovamento del loro partito. Così ha fatto Blair, per citare solo l'esempio più vicino a noi e più eclatante. Ebbene, è qui che Veltroni ha fallito, gettando la maschera indossata in campagna elettorale, dimostrando di essere "riformista", e di aver usato la retorica del "nuovo", solo per necessità tattica, e non per convinzione profonda.Una convizione e una determinazione - che sarebbero state necessarie per aprire all'interno del partito uno scontro di idee e di leadership aperto e trasparente - che d'altra parte da Veltroni non ci si poteva aspettare, proprio alla luce della sua biografia politica, perché anch'egli fa parte di quella classe dirigente, descritta nel libro di Romano, nata e cresciuta nel mito di Enrico Berlinguer. Un mito che continua a trasmettere come validi una quantità di principi bocciati e falsificati dalla storia, ritardando così qualsiasi cambiamento della sinistra.Viste le brutte, Veltroni ha ripiegato nell'antiberlusconismo e nella presunta superiorità morale della sinistra, rifugio sicuro per tutte le stagioni ma coacervo di istinti e riflessi che non fanno una cultura di governo.Su tutti i temi le posizioni del Pd di questi mesi, in cui Veltroni avrebbe dovuto inaugurare una stagione di rinnovamento interno, hanno ricalcato quelle dell'Ulivo all'opposizione tra il 2001 e il 2006. Solo che ormai la gente, anche il cosiddetto "popolo della sinistra", non ci crede più. Tanto che secondo autorevoli istituti di ricerca, alle scorse elezioni politiche per la prima volta si sarebbe verificato un consistente travaso di voti dal Pd direttamente al PdL, cioè dall'Ulivo a Berlusconi. Il problema è che in ogni dibattito che si apre, dai leader all'ultimo dei funzionari del partito tutti o quasi si schierano per la difesa dello status quo, al fianco di istituzioni del tutto screditate. E quanto più lo fanno con il massimo dell'enfasi e della retorica, tanto più agli occhi dei cittadini anche di sinistra appaiono dissociati dalla realtà.Se si parla di riforma della scuola e dell'università, il Pd si appiattisce sulle posizioni conservatrici dei docenti e dei rettori, o dei sindacati degli insegnanti, in nome di principi altisonanti disattesi nella pratica. Ma tutti sanno che scuola e università non funzionano; se si parla di riforma della contrattazione collettiva, di lavoro o di pensioni, di pubblica amministrazione, il Pd appare imbarazzato e immobilizzato dalle posizioni anacronistiche della Cgil; se si parla di riforma della giustizia, si appiattisce sulle posizioni della magistratura, un'altra istituzione che i cittadini certo non amano.Anche sul caso Englaro, anziché assumere una posizione nel merito, il Pd ha preferito nascondere le sue divisioni interne e il suo imbarazzo dietro una pretestuosa (e discutibile) difesa della Costituzione, impersonata addirittura da quella vecchia cariatide di Scalfaro. I cittadini non sono stupidi e si rendono conto che la carta ha bisogno di essere riformata, mentre il Pd appare come il cocciuto difensore della sua immodificabilità.Grida vendetta sentir dire da Veltroni, che ha testardamente voluto l'alleanza con Di Pietro, senza scioglierla neanche quando ormai erano chiari i danni che arrecava al Pd, che la sinistra non deve più essere «salottiera, giustizialista e conservatrice».Ma c'è un passaggio del suo discorso di commiato che rivela tutta l'inadeguatezza e i limiti persino culturali dell'ex segretario.Quando ha spiegato che Berlusconi «ha avuto i mezzi e la possibilità anche di stravolgere i valori della società stessa, costruendo un sistema di disvalori contro i quali bisogna combattere con coraggio», dimostra non solo di non aver compreso i motivi delle sconfitte elettorali, ma anche di avere una struttura mentale ancora fortemente ideologizzata che gli impedisce di rendersi conto di come funzioni davvero una società. Non è la politica a imporre, o a dover tentare di imporre alla società valori elaborati a tavolino, in una sorta di ingegneria sociale. Sono i valori che emergono dalla e nella società e in democrazia la politica li rappresenta.E' ora di finirla con questa balla ideologica di Berlusconi che avrebbe "creato" un sistema di (dis)valori. Casomai li rapppresenta.E' questa supponenza e idealizzazione della politica che non permette al Pd di capire a fondo il concetto di rappresentanza e, di conseguenza, di risultare credibile come rappresentante.