domenica 24 maggio 2009

L'Italia complessata

Finito lo spettacolo, l'attor giovane, che pure aveva avuto la sua razione di applausi, non la finiva di chiedere alla prim'attrice, al regista e al caratterista anziano: "Ti sono piaciuto? Sono stato bravo?" E in fondo non c'erano rassicurazioni che gli bastassero. Al contrario il prim'attore, che pure quella sera non era stato in vena ed aveva recitato da cani, non chiedeva niente a nessuno. Faceva finta di essere molto soddisfatto della serata e di non accorgersi che i colleghi anziani si chiedevano che gli fosse preso. La differenza era che l'attor giovane non era sicuro di sé, mentre il prim'attore si faceva forte dei vecchi allori per scansare le critiche.Nel concerto dei grandi paesi europei, l'Italia è l'attor giovane che, per giunta, ha fatto pessime figure militari durante il Risorgimento e soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Il risultato è che il nostro è visto come un Paese da operetta, quando non da farsa. Naturalmente si tratta di un pregiudizio: nessun Paese è un Paese d'operetta, figurarsi una grande potenza industrializzata come l'Italia: ma non importa. Le leggende sono tenaci e Victor Hugo ha giustamente potuto sostenere che esse descrivono la storia meglio della storia stessa. Anzi, non raramente ne prendono il posto.Tutto questo sarebbe già triste, di per sé, se gli italiani non aggravassero il problema.Tanti anni fa, un personaggio da film (interpretato da Orson Welles, nel film "Il Terzo Uomo") disse una frase famosa: "In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù". Successe un putiferio e a momenti ne nasceva una crisi internazionale. La Svizzera si offese e protestò fieramente: arrivò perfino a dimostrare di non avere inventato quell'orologio. Ora chiediamoci: che cosa sarebbe successo se Orson Welles avesse detto qualcosa di offensivo nei confronti dell'Italia? Qui tutti avrebbero esclamato: "Accidenti, se ha ragione! Anzi, avrebbe potuto dire anche questo e quest'altro…"Perfino quando a criticarci sono degli estranei malevoli, gli italiani sono pronti a credere il peggio di sé. E questo richiede una spiegazione.L'Italia romana è stata una grande potenza, ma questo è finito già nel quinto secolo dopo Cristo. In seguito, forse, nel subconscio degli abitanti della penisola è rimasta l'idea di un'inguaribile decadenza, di un inevitabile destino di sconfitta. E mentre altri popoli passavano dal vassallaggio ad una fiera indipendenza, gli italiani si rassegnavano al ruolo di prede. La storia del resto confermava questo diverso status. La Francia – potenza unitaria - diveniva la nazione egemone del continente; la Spagna, anch'essa monolitica, non le era seconda, ché anzi come potenza imperiale ad un certo momento fu ancora più grande; la Gran Bretagna, malgrado la propria miseria economica, riuscì ad essere un attore di primo piano, fino a divenire anzi la stella dello spettacolo, nel XIX Secolo. Durante tutto questo tempo, l'Italia non ha contato niente. E questo complesso d'inferiorità si vede ancora oggi, quando gli italiani bevono avidamente ciò che si dice all'estero di loro. Quasi che, per il semplice fatto che quei giornalisti non sono italiani, dovessero essere tanto più onesti, saggi ed informati dei nostri.Il risultato è un disastro. Nessuno vince se non crede di poter vincere. L'inerzia, il pessimismo, l'autocommiserazione quando non l'auto-calunnia sono da noi così profondamente radicati, che non c'è speranza. Il tentativo di Mussolini di farci credere antichi romani naufragò nel ridicolo, ma è vero che avremmo realmente avuto bisogno di un po' più di fiducia in noi stessi. Invece perdemmo la Seconda Guerra Mondiale e, con essa, l'ultima occasione di uscire dalla nevrosi collettiva.Oggi siamo ridotti a prendere sul serio la spocchia calunniosa di un Bill Emmott , continuando a qualificare l'Economist di "autorevole" anche quando dice le cose peggiori di noi e di chi ci governa.Il risultato è che il singolo non complessato è così stanco, di tutto questo, che sente l'esigenza di tirarsi fuori dal gruppo. Ha tendenza a dire "voi italiani" e poi si accorge che questo atteggiamento è molto italiano. E dunque rischia di confermare la sua italianità in modo più convincente di quanto non faccia il suo passaporto.

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