domenica 10 maggio 2009

Il respingimento

Scritto da Gianni Pardo
domenica 10 maggio 2009
Il governo, dando esecuzione agli accordi con la Libia, ha messo in atto i "respingimenti" previsti da norme internazionali ed utilizzati - a detta di Piero Fassino - anche dal governo Prodi sulla frontiera est. Tuttavia ha ottenuto tutta una serie di reazioni negative, sul piano morale e sul piano giuridico. Hanno protestato l'opposizione, l'Onu, la Chiesa e soprattutto i giornali di sinistra. Ma il governo ha riscosso, se pure a bassa voce, il plauso della stragrande maggioranza degli italiani e si pone il problema di un giudizio equilibrato.
Prima di proseguire bisogna sgombrare il campo da un equivoco. È stato detto (falsamente) che il provvedimento delle autorità italiane va contro la Costituzione (oltre che contro gli impegni internazionali, l'umanità e perfino il regolamento del Rotary) perché non permette di distinguere gli immigrati clandestini dai richiedenti asilo politico.
In realtà la Costituzione (art.10) stabilisce che "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge". E questo significa in primo luogo che l'Italia può stabilire le condizioni per l'esercizio di questo diritto – per esempio la non clandestinità – e in secondo luogo che lo straniero deve essere in Italia: se il respingimento ha luogo dalle acque internazionali verso il porto di provenienza, l'Italia non c'entra per niente, né con l'immigrazione né con l'asilo politico.
Ecco perché il pianto greco sulle condizioni degli emigranti respinti in Libia è sorprendente: l'Italia può forse farsi carico di come la Libia, un paese sovrano, tratta i somali, gli ivoriani, i senegalesi che sono sul suo territorio?
E allora perché non dovremmo occuparci di come il Sudan tratta i suoi stessi cittadini del Darfur, di come la Cina tratta i tibetani, o le varie tribù africane trattano i prigionieri fatti in occasione di scontri con altre tribù?
Se ne fossimo capaci saremmo più efficaci, da soli, dell'intera Onu.
Ma la ragione del contrasto fra le reazioni degli italiani di buon senso e quelle delle anime belle è semplice: coloro che sono per l'accoglienza, la tolleranza, l'indulgenza, di solito non hanno nessun problema con gli immigrati.
Il loro mondo - le case in cui vivono, i quartieri che frequentano, gli ambienti in cui si muovono – non incrocia mai il mondo degli immigrati.
Se invece avessero come vicini di casa dei maghrebini rumorosi, se le prostitute invadessero i marciapiedi sotto casa loro, se fossero stati borseggiati da ragazzini rom, o – Dio guardi! – una ragazza di loro conoscenza fosse stata stuprata da clandestini, dall'oggi al domani diverrebbero più intolleranti di quelli che prima avevano sprezzantemente definito razzisti.
Negli anni della grande migrazione interna italiana, a Torino un calabrese o un siciliano erano considerati dei selvaggi.
La commessa di Alessandria che si fosse fidanzata con un ingegnere di Siracusa avrebbe dato un dispiacere al parentado.
Fu il periodo in cui una casa era in locazione, "meridionali esclusi".
È vero però che il nord di quei lavoratori aveva bisogno ed è vero che, dopo qualche decennio, quei meridionali – o i loro figli – si sono perfettamente integrati.
I problemi sono dunque due: l'Italia ha bisogno di questi immigrati? E questi immigrati, col tempo, si integreranno?
Alla prima domanda molti rispondono sì, ma questa risposta non è affatto in contrasto con un'immigrazione programmata e regolata. Se si ha bisogno di un panettiere, basterebbe assumere un panettiere sudanese che si è iscritto come tale al consolato italiano. Arriverebbe in aereo, non correrebbe il rischio di morire nel Mediterraneo e avrebbe un lavoro regolare.
Alla seconda domanda, si deve rispondere sì o no secondo la provenienza.
Gli immigranti polacchi o rumeni alla seconda generazione saranno italiani, mentre gli immigranti musulmani non si integreranno mai. Lo dimostra l'esperienza francese e, più recentemente, l'esperienza inglese: chi non ne ha notizia si informi.
Dunque è proprio questo flusso che bisognerebbe bloccare, non per disprezzo o per odio: è semplicemente che non bisogna importare persone che neppure decenni dopo si sentiranno a proprio agio da noi o ci permetteranno di essere a nostro agio con loro.
In questo quadro, a lungo termine il blocco dell'immigrazione da sud è perfettamente giustificato.

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