Iran, dopo la figuraccia del Cairo, Obama ora fa il Ponzio Pilato
Scritto da Carlo Panella
mercoledì 08 luglio 2009
Barack Obama da Mosca, ha sostanzialmente confermato la posizione della sua Amministrazione: nessun "via libera" a Israele nel caso attacchi gli impianti nucleari iraniani, ma contemporaneamente pieno riconoscimento del diritto di Israele di attuare l'attacco. Una posizione non lineare, che conferma le critiche circa la "complicità" americana nei confronti di Israele lanciate martedì dall'iraniano Ali Larinjani. Alla domanda della Cnn se sia vero che gli Stati Uniti potrebbero dare il loro via libera ad un attacco israeliano all'Iran, Obama infatti ha risposto: "Assolutamente no. E' molto importante, e credo che non potrei essere più chiaro di così"; ma poi ha aggiunto: "Il vicepresidente Biden l'ha detto in modo categorico: noi non possiamo dettare ad altri Paesi la condotta da tenere in materia di sicurezza. Non possiamo dire a un'altra nazione ciò che può fare o non può fare, quando essa decide, se lo decide, quale sia una minaccia per la sua esistenza".
Dunque, se Israele attaccherà l'Iran, Obama si è impegnato a rispettare –e quindi a non condannare- questa opzione, con enormi conseguenze, perché l'Iran reagirà militarmente e gli Usa, con questa ambigua posizione obamiana di "non aderire e non sabotare" si troveranno comunque a fianco di Israele la cui sicurezza, peraltro, secondo la dottrina sempre vigente a Washington, coincide con "la sicurezza nazionale degli Usa". Ovviamente, questa posizione non faciliterà l'apertura di un dialogo con Teheran, ma evidenzia una posizione del presidente quantomeno ondivaga.
Nel discorso del Cairo del 4 giugno, Obama si era infatti rivolto alla dirigenza iraniana riconoscendola apertamente e indubitabilmente quale interlocutrice affidabile. Nel contempo, molti suoi consiglieri, dicevano apertamente che era possibile convivere con un Iran dotato di atomica, impostando una logica di deterrenza. Tutta l'impostazione obamiana, a partire dalla sua analisi della affidabilità della dirigenza iraniana è stata però sconfessata dal comportamento di Khamenei –e Ahmadinejad- durante e dopo le elezioni, con l'apertura di una crisi che prefigura un lungo e sanguinoso periodo di instabilità e una reiterata aggressività verso l'esterno (di cui per ora fanno le spese la Gran Bretagna e l'Europa).
Ecco allora lo spostamento di Obama su una posizione "alla Bush", con l'unica variante di una –poco credibile- estraneità Usa circa la decisione israeliana. Una posizione altalenante, che risente delle dure critiche dei paesi arabi alleati degli Usa che –riservatamente- avevano attaccato le posizioni di chi, tra i consiglieri più stretti di Obama, era incline a obbligarli a sopportare la minaccia di una deterrenza atomica con Teheran.
Paesi arabi che peraltro compiono ormai scelte clamorose per favorire Israele quale loro difensore contro le minacce atomiche di Teheran. Ryad –e Gerusalemme- hanno smentito ieri la notizia del Sunday Times circa la concessione del sorvolo dello spazio aereo saudita per l'eventuale missione israeliana che bombarderà Busher e gli altri siti nucleari iraniani.
Ma l'Egitto ha invece permesso che un sottomarino israeliano passasse, ben alla vista, il Canale di Suez per partecipare a manovre nel Golfo di Eilat. E' un sottomarino della classe Dolphin, armato con missili di crociera, perfetti per bombardare i siti iraniani. Mubarak ha dunque mandato un messaggio chiaro e forte a Teheran (e a Washington): se Israele deciderà di attaccare, l'Egitto non solo non lo ostacolerà, ma lo favorirà in modo aperto (salvo poi, magari, condannare l'azione per salvarsi la faccia di fronte alla umma musulmana).
(Il Foglio dell'8 luglio 2009)
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