Contro l'impostura climatica e i suoi araldi
Carlo Ripa di Meana, già commissario Ue all'ambiente, legge "Pianeta blu, non verde" di Vaclav Klaus. E si scopre d'accordo
di Carlo Ripa di Meana
Non credo al riscaldamento globale causato dall’uomo e dunque alla origine antropica dell’effetto serra. Non credo, pertanto, alla teoria che ne discende messa a punto negli ultimi anni dall’IPCC, l’International Panel on Climate Change (ONU): il cambiamento climatico andrebbe stabilizzato, secondo l’IPCC, riducendo e governando i gas a effetto serra nell’atmosfera, e, come prima misura, stivando nelle miniere dismesse il surplus di CO2 prodotto in questi anni.
Carlo Ripa di Meana, già commissario Ue all'ambiente, legge "Pianeta blu, non verde" di Vaclav Klaus. E si scopre d'accordo
di Carlo Ripa di Meana
Non credo al riscaldamento globale causato dall’uomo e dunque alla origine antropica dell’effetto serra. Non credo, pertanto, alla teoria che ne discende messa a punto negli ultimi anni dall’IPCC, l’International Panel on Climate Change (ONU): il cambiamento climatico andrebbe stabilizzato, secondo l’IPCC, riducendo e governando i gas a effetto serra nell’atmosfera, e, come prima misura, stivando nelle miniere dismesse il surplus di CO2 prodotto in questi anni.
Il clima è sempre in cambiamento. Pretendere di determinarlo è un atteggiamento prometeico. La sua evoluzione dipende da molti fattori: certo anche dalla composizione chimica dell’atmosfera, ma egualmente dalla dinamica delle grandi masse oceaniche, dai campi magnetici prodotti dal “vento solare”, dalla traiettoria che la terra percorre nella galassia, solo per ricordarne alcuni.
Credo di avere in questi lunghi anni, dall’inizio dei Novanta, quando lanciai come Commissario europeo all’Ambiente la prima proposta di Carbon Tax, studiato, letto e verificato molto a proposito delle energie rinnovabili e della teoria del global warming, così come è stata formulata, dibattuta, sottoposta a verifica a partire dal 1997 con il Protocollo di Kyoto. Ho una diretta conoscenza a proposito di una delle energie rinnovabili, la più sovvenzionata e la più perniciosa per il paesaggio, irrilevante per la sua natura intermittente nella resa energetica: l’eolico industriale, il killer del paesaggio europeo e italiano in particolare. Come persona informata dei fatti sono del parere che si debba uscire dalla rassegnazione e dal fatalismo, e si debba iniziare a combattere una battaglia razionale contro le tesi autoritarie del controllo delle mutazioni climatiche che si propongono una spesa pubblica senza precedenti nella storia dell’umanità, immense risorse finanziarie per mitigare e programmare i cambiamenti climatici. Una operazione dirigistica, chimerica, dissennata contro cui, in particolare nel secondo semestre dell’anno di grazia 2009, ogni persona che non sia decisa a capitolare all’irrazionale deve condurre e portare a vittoria.
Margherita d’Amico, la scrittrice e giornalista cha ha lanciato il movimento “Il respiro degli alberi”, a fine mattinata di una giornata del giugno scorso fresca, quasi frizzante, mi dice: “Dobbiamo fare qualcosa di concreto perché il riscaldamento del clima è molto preoccupante”. Quando Margherita mi ha chiamato stavo leggendo Eco logo, un volume ben documentato del mio amico Stefano Apuzzo che nella sua introduzione alle quasi trecento pagine del libro scrive: “Stiamo parlando del destino che potrebbe farci assistere da anziani (lui ha 48 anni) alle inondazioni delle nostre città causate dallo scioglimento dei ghiacciai e dall’innalzamento dei mari. I due gradi di aumento della temperatura globale previsti da quasi tutti gli scienziati del clima produrrebbero l’inondazione di Venezia, del centro di Londra, di Miami e Manhattan, con tutte le coste mediterranee ridotte a deserti aridi.
L’acqua potabile diminuirebbe del 20-30 per cento, la resa agricola si abbatterebbe del 10 per cento, avremmo sessanta milioni di nuovi casi di malaria in Africa, le alluvioni lungo le coste interesserebbero dieci milioni di persone in più, il ghiaccio della Groenlandia si scioglierebbe definitivamente”.
Due pareri di persone che conosco, non ingenue, spesso scettiche, sempre concrete, eppure inserite, Margherita e Stefano, nel grande coro dell’Apocalisse prossima ventura.
Intonato con la solennità del canto gregoriano dai grandi cavalieri e diaconi, il già Vicepresidente americano Al Gore, Nobel e Oscar, l’erede al trono Carlo d’Inghilterra e, affidato poi alla divulgazione autorevole per gli incliti, dalle voci dei tenori Lester Brown, Jeremy Rifkin (1), Nicholas Stern, Maurice Strong, Klaus Töpfer.
Per i lavori duri e sporchi alle voci fonde, quella intollerante del Ministro per l’Ambiente del Regno Unito Edward Miliband e quella protonazista del giornalista britannico George Monbiot (2), per intimidire gli incolti con il completamento, per le finiture minacciose, dei gruppi di baritoni, contralti e soprani, tutti intenti a seminare il panico isterico.
“È una questione morale, che riguarda la sopravvivenza della civiltà umana [...] la crisi climatica può essere risolta in tempo per evitare la catastrofe [...]”, Al Gore, ottobre 2008; “In base alle ultime relazioni il livello del mare potrebbe aumentare di un metro in questo secolo con gravi conseguenze per 600milioni di persone.
Paesi come l’Egitto e l’India ne subirebbero enormi conseguenze, mentre le isole più piccole scomparirebbero del tutto. Ci rimangono al momento solo novantanove mesi prima di raggiungere il punto di non ritorno, e questo tempo passerà in un lampo”, Carlo d’Inghilterra, Roma, Montecitorio, 27 aprile 2009;
“Come i terroristi non possono presentarsi nei media, così gli scettici sulla questione climatica non dovrebbero avere il diritto di parlare pubblicamente contro la teoria del riscaldamento globale”, Edward Miliband, Pianeta blu non verde, Vaclav Klaus, p.18. IBL Libri, Torino 2009; “Ogni volta che qualcuno muore in seguito alle alluvioni in Bangladesh, un dirigente di una compagnia aerea dovrebbe essere trascinato fuori dal suo ufficio e annegato”, George Monbiot, The Guardian, 31.10.2006.
Dunque l’attacco mediatico, istituzionale e politico per forzare la mano in luglio al G8 a l’Aquila, e in dicembre a Copenaghen alla grande Conferenza ONU per rinegoziare da cima a fondo il Protocollo di Kyoto, clamorosamente fallito con i relativi impegni, è nel suo pieno.
Il nuovo Presidente Obama prepara l’affondo. Impegnato ad assumere nel mondo la guida della rivoluzione verde, dopo la lunga retroguardia americana rappresentata dai Presidenti Carter, Reagan, Clinton e i due Bush. Obama considera che questo del 2009, anno d’inizio della sua presidenza, sia il tempo ideale perché questa linea strategica maggiore, formatasi negli anni Ottanta e Novanta fino alla metà di questo decennio con allora la leadership dell’Unione europea, sia rimessa oggi alla primazia americana o, come hanno sognato Blair e Brown, in subordine, angloamericana.
Questo proposito non lo ha mai taciuto Al Gore, e di recente lo ha teorizzato il premio Pulitzer Thomas L. Friedman: “Io dico: l’America prenda la guida della rivoluzione verde e il mondo seguirà perché il suo potere di emulazione è ancora forte, ineguagliato. Se tentenniamo, gli altri tentennano, se avanziamo gli altri ci imitano. La Cina in particolare. Finora abbiamo tentennato. Ma se mostriamo che si può essere innovativi, ricchi e imprenditoriali anche colorando di verde la nostra economia questo varrà più di cento trattati [...] Oggi è la corsa alla terra, e la vincerà chi inventerà per primo le tecnologie più verdi, perché uomini e donne possano continuare a vivere sul pianeta”, (Corriere della Sera, 15 giugno 2009).
È stata una lunga marcia quella della teoria del global warming attribuito, come premessa di ogni cosa, all’aumento delle emissioni di biossido di Carbonio (CO2) prodotte dall’uomo, il gas a effetto serra dovuto alla crescita del consumo di combustibili fossili, carbone, petrolio e gas naturali.
Nelle intenzioni dichiarate della cultura ambientale americana “La Terza Rivoluzione industriale è l’obiettivo finale che porta il mondo fuori dalle vecchie energie basate sul carbonio e l’uranio verso un futuro sostenibile e non inquinante per la razza umana”, (Jeremy Rifkin, economista e scrittore, I libri di Gaia, Milano 2008, p.25).
Obama lo ha annunciato, con la sua consueta retorica, nel giorno dell’insediamento alla Casa Bianca, il 19 gennaio 2009, con queste parole: “We will roll back the specter of a warming planet”,”cacceremo lo spettro del riscaldamento globale, utilizzeremo il sole, i venti e il geotermico per assicurare il pieno alle nostre automobili, per far funzionare le nostre fabbriche. Costruiremo le strade e i ponti, le nuove reti elettriche con le linee digitali intelligenti che ci terranno insieme”. All this we can do. And all this we will do”.
Valutando oggi, sei mesi dopo, con freddo realismo, il progetto strategico di Obama, messo a punto con le regole della sempiterna special relationship con l’alleato britannico (Blair iniziò a tesserla con l’ultimo Bush verso la fine della sua presidenza, e oggi Brown con l’intesa angloamericana, con sullo sfondo la Merkel), perché in questi ultimi mesi è divenuto problematico? Esso poggiava su tre “verità indiscutibili” annunciate dagli araldi della green revolution, della green industry e del green employment, ipse dixit:
1) Il prezzo del greggio è in continuo aumento;
2) L’aumento esponenziale delle emissioni di anidride carbonica e altri gas in atmosfera prodotti dall’uomo con le industrie, il riscaldamento e il trasporto producono negativo e decisivo surplus di effetto serra;
3) Il riscaldamento globale che ne deriva produce a ritmi sempre più accelerati una sconvolgente e innegabile mutazione climatica, un climate change rovinoso.
Sei mesi dopo, a metà 2009, queste certezze sono state, una dopo l’altra, contraddette, prima di tutto dai crudi dati economici e scientifici. Oggi esse appaiono imprudenti formulazioni manichee. Imprudenti e non confermate. Il prezzo del petrolio è dimezzato. È probabile che riprenda a salire a crisi economica superata, dunque in data incerta. L’effetto serra dovuto a un aumento di CO2 non si è avuto. Si è registrata, al contrario, con la grande crisi, una flessione di CO2 dovuta alla riduzione dei consumi. La ricerca degli studiosi del clima e della meteorologia non registra aumento della temperatura negli ultimi dieci anni, come sembra prepararsi a riconoscere lo stesso IPCC con il prossimo rapporto.
Il Professor Guido Visconti, il climatologo italiano più ascoltato in sede IPCC ha ammesso il 28 marzo 2009 sul Corriere della Sera, p.33, che “Il dato sull’aumento di temperatura globale è soggetto evidentemente a diversi errori. I dati sperimentali che si hanno a disposizione sono ancora troppo limitati per decidere sulla validità dei modelli”.
Infine, Il 30 marzo 2009 sul New York Times, centoquattordici scienziati di tutto il mondo (incluso tra gli altri il fisico italiano Antonino Zichichi), tra cui 13 Premi Nobel, hanno pubblicato un appello a Obama rispondendo con queste parole all’affermazione di qualche giorno prima dello stesso Presidente, “poche sfide che l’America e il mondo hanno di fronte sono più urgenti della lotta ai cambiamenti climatici. I dati scientifici sono indiscutibili e i fatti sono chiari”:
“Con tutto il dovuto rispetto signor Presidente, questo non è vero”, hanno risposto i 114 scienziati sul NYT.Ormai da ogni parte giungono smentite al dogma del riscaldamento globale dovuto alle attività umane (tra i massimi oppositori Fred Singer, James Lovelock, Richard Lindzen, Hendrik Tennekes, Freeman Dyson, Patrick J. Michaels, Antonino Zichichi, Bjorn Lomborg, Robert Mendelson, Franco Battaglia).
Insomma, un fortissimo appello si leva da molte parti perché ci si impegni a “conoscere prima di deliberare”. Con un crescendo di pareri e di prove che svelano l’impostura e che giungono ormai anche dall’esterno della comunità scientifica. Voci della cultura e della politica, ancora timide e sommesse alcune, da parte di uomini di stato europei: il Presidente della Repubblica Ceca Vaclav Klaus, Valéry Giscard d’Estaing, Helmut Schmidt e, da New Dehli, il Primo Ministro dell’India Manmohan Singh.
Su questi nuovi orientamenti, per ora ufficiosi, caratterizzati anche da una caduta verticale di condivisione delle priorità del problema del riscaldamento globale nelle opinioni pubbliche, a Washington, a Londra, a Berlino, a Bruxelles, praticamente ovunque, è probabile che all’ordine del giorno dei “lavori travolgenti” previsti dalla equipe di Obama e dalla maggioranza dell’Unione Europea, con alcune esitazioni, Repubblica Ceca, Polonia e Italia, al G8 all’Aquila e a Copenaghen a dicembre oltre ai tre pilastri scelti, energie rinnovabili; tecnologie di accumulazione; reti energetiche intelligenti – smart grid, si aggiunga, inaspettata per gli ingenui, la carta coperta della ripresa nucleare. Da parte americana, italiana, britannica, polacca, tedesca, svedese e francese, calata, sottovoce e guardando le rondini, con il pretesto di aggiornare i reattori, da Obama con l’annuncio di nuove quattro centrali, e rilanciata a Parigi da Sarkozy: “Ogni euro per le rinnovabili corrisponderà a un euro per più nucleare energetico”, e ripetutamente preannunciata dal Governo di Roma. Con il controcanto, in Italia, di Chicco Testa, procellaria sintomatica che vola radente sulle onde del mare in tempesta in ogni svolta testa-coda dei settori energetici ed ecologici italiani più spregiudicati.
Fin qui le novità, le nuove condizioni e gli imprevisti del dibattito.
A seguire, il merito a proposito dei tre pilastri annunciati e le spese relative da parte dell’Unione Europea.
Il primo pilastro: le energie rinnovabili, solare, eolico, idroelettrico, geotermico, moto ondoso, le biomasse, sono tutte caratterizzate da una natura intermittente, sempre aleatoria, e sono oggi energie non stoccabili.
Il secondo pilastro: la tecnologia di accumulazione prevede l’idrogeno come combustibile della terza rivoluzione industriale, con però la consapevolezza che si è ancora lontani dall’idrogeno commerciale, stoccabile, a disposizione per la generazione elettrica e per i trasporti.
Il terzo pilastro: le reti energetiche intelligenti, le smart grid, costituite da mini reti che permettono all’utenza privata, alle piccole, medie e grandi imprese di produrre localmente energia rinnovabile con contatori intelligenti composti da sensori e microchips, un potente software che permetta a tutta la rete di poter conoscere la quantità di energia utilizzata in qualunque momento, per subentrare, sopperire, integrare la diffusione dell’elettricità.
Questi pilastri hanno già raggiunto nel 2007 nell’Unione europea una spesa record di novanta miliardi di euro, che è previsto raggiunga i 250 miliardi di euro entro il 2020. Mentre per la ricerca e l’economia dell’idrogeno l’Unione Europea ha già stanziato oltre 500 milioni di euro per realizzare celle combustibili e uso commerciale di energia all’idrogeno.
Comparando le previsioni di spesa che la Ue e gli Stati Uniti si preparano a esporre al G8 tra qualche giorno per tentare di far convergere decisioni finanziarie egualmente imponenti agli altri grandi attori, Cina, India, Brasile, Corea entro il 2020, per poi ribadirle solennemente nel mese di dicembre a Copenaghen alla grande Conferenza dell’ONU, misure finanziarie tutte traguardate sul 2020, troviamo l’Unione Europea con una riduzione di CO2 del 20 per cento, gli Stati Uniti con una riduzione del 17 per cento; per le fonti alternative l’Unione Europea con diciotto miliardi di euro all’anno, venticinque milioni di dollari gli Stati Uniti; per l’occupazione l’obiettivo entro il 2020 per l’Unione Europea è di due milioni e mezzo di posti di lavoro, e per gli Stati Uniti di cinque milioni di posti di lavoro.
Per la stessa data, per la modernizzazione della rete di trasmissione elettrica, la smart grid, la rete intelligente, gli Stati Uniti hanno annunciato trentadue miliardi di dollari più undici miliardi per la ricerca e lo sviluppo.
L’Unione europea non ha ancora definito la busta finanziaria per la super grid, e l’abbattimento dei vecchi elettrodotti.
Solo in Italia la Terna dovrebbe rimuovere 1200 chilometri dei vecchi.
Nel settore delle rinnovabili sembra raggiunta tra Stati Uniti e il resto del mondo, un’intesa per una priorità per l’eolico, considerato tecnologia matura e reso competitivo con la produzione energetica da carbone, gas o petrolio, i combustibili fossili, dal prezzo politico al Kw/ora, che in Italia è tre volte superiore a quello riconosciuto allo stesso indice prodotto da gas, carbone o petrolio, e negli altri paesi è il doppio del Kw/ora. Dunque un “immenso sforzo finanziario con una energia pesantemente sovvenzionata in tutto il mondo, intermittente e in quasi tutte le realtà paesaggistiche disastrosa”, (Giuseppe Zollino, Convegno Il paesaggio sotto attacco. La questione eolica, Palermo 28 marzo 2009).
Segue il solare, nella sua versione fotovoltaica, solare termica, solare termodinamica concentrata.
Nelle rinnovabili, inoltre, saranno previste, urbi et orbi, la geotermia, le biomasse, il moto delle maree, l’idroelettrico e i termovalorizzatori. È evidente che tutta questa lunga operazione è stata preparata da una decisione ideologico-politica prima. Da varie iniziative di vasta comunicazione dopo, in particolare quella visiva confezionata dal Vicepresidente americano con il suo film “Una scomoda verità”, forse il più potente propagandista dell’ideologia del riscaldamento climatico, poi dal Rapporto del Barone Nicholas Stern, scritto per ordine del Primo ministro britannico Tony Blair, “Un piano per salvare il pianeta”, che ha prodotto un panico diffuso sui cambiamenti climatici e le loro pretese conseguenze catastrofiche sul futuro della civiltà umana.
Il Rapporto Stern è in sostanza un esercizio di propaganda a sostegno della politica del Governo britannico per perseguire un ruolo di leadership mondiale, insieme agli Stati Uniti, in merito ai cambiamenti climatici (“Nessuna emergenza clima”, Nigel Lawson, già Cancelliere dello Scacchiere della Thatcher, Brioschi editore, Milano 2008).
Alla base di questo panico non c’è, però, la scienza, se non nella sua versione burocratica, lautamente retribuita e numerica rappresentata dalle migliaia di burocrati e accademici, duemilacinquecento, raccolti dalle Nazioni Unite, su indicazioni dei rispettivi governi, nell’IPCC.
Dunque, nella sua sostanza si tratta della forzatura della scienza da parte di una ideologia illiberale e orientata all’autoritarismo (“La verità scientifica non si determina tra l’altro contando le teste”, James Lovelock, Prospect, dicembre 2007, London).
Non aveva torto lo scrittore Michael Crichton, parlando il 15 agosto 2003 a San Francisco al Commonwealth Club, nella sua memorabile requisitoria “Environmentalism as religion”, “Vero scontro tra verità e propaganda”. Tullio Regge conferma questa rapida deriva verso forme di misticismo in cui il simbolo conta più dei fatti: “La storia è ricca di predizioni fallaci che hanno rinfocolato fanatismi. Orde di guru, per cui la modestia non era una virtù, hanno predetto catastrofi che non si sono mai avverate”, (I falsi allarmismi, Piemme, Asti 2004).
Ma forse la più efficace analisi e denuncia di questa manipolazione affidata alla comunicazione mediatica, tv, radio, video e giornali e riviste, l’ha sviluppata nel suo libro recente Pianeta blu non verde – Cosa è in pericolo: il clima o la libertà?, Vaclav Klaus attuale Presidente della Repubblica Ceca, tra i maggiori economisti viventi, che ci esorta a sfidare l’impostura “che non deve rimanere senza risposta da parte dell’opinione pubblica che ragiona razionalmente”.
Tra le motivazioni aggiuntive segnalo anche quelle di carattere narrativo e involontariamente farsesco rappresentate da due cammei della propaganda catastrofista e apocalittica, “Gli orsi polari” e “Gli eschimesi”. Per i primi vale il servizio che gli dedicò Time nel 2006, “Be worried. Be very worried” (“Preoccupiamoci. Preoccupiamoci molto”), e in copertina vi era la fotografia di un orso polare su una piccola banchisa di ghiaccio galleggiante che cercava un’altra banchisa su cui saltare, mentre nel testo si leggeva che “gli orsi bianchi polari stanno iniziando ad annegare, e a un certo punto si estingueranno”.
Mondadori nel 2009 ha riportato nel libro Stiamo freschi, di Bjørn Lomborg, questa asciutta dichiarazione dello scienziato, autore del grande best seller L’ambientalista scettico, sempre della Mondadori: “Per la Groenlandia, che fa parte della Danimarca, il mio paese, sono un simbolo di orgoglio, e la loro perdita sarebbe una tragedia. Ma la popolazione globale di orsi polari nell’Artico è cresciuta dai 5000 degli anni sessanta ai 25000 degli inizi di questo decennio, con le loro popolazioni in aumento”.
Mentre ancora più autoironica la considerazione del focus “Cambia il clima, aumentano le malattie”, (Corriere della Sera 15 giugno 2009), che così conclude la sua inchiesta: “Fra gli eschimesi dell’Alaska sono aumentati incidenti, cadute, fratture alle gambe, dovuti al ghiaccio troppo sottile. I ghiacciai si stanno davvero sciogliendo sotto i nostri piedi”. The laugh of the new century.
Eppure il grande spin mediatico del global warming antropico non ha evidentemente memoria di tre precedenti analoghi, tre brevi ere di irrazionalità: la dannazione del Ddt quando Rachel Carson, con Silent Spring, la primavera silenziosa, nel 1962, nel dopoguerra, ferì a morte il Ddt, il pesticida che aveva estirpato la malaria, e fu bandito nel paese dove era stato inventato, prodotto e diffuso, con la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti.
Il Ddt fu via via eliminato in tutto il resto del mondo. Avendo il merito, per la pressione della opinione pubblica americana, è vero, di creare in conseguenza l’EPA-Environmental Protection Agency, la prima agenzia di protezione ambientale al mondo, riducendo, alcuni rischi ma riaprendo con il bando totale i grandi continenti dell’Asia e dell’Africa alla anofele, la zanzara portatrice delle febbri malariche.
Seguito, il caso Ddt dal caso di Paul Ralph Ehrlich, con il suo libro del 1968 The Population Bomb, con cui annunciava che “negli anni settanta e ottanta centinaia di milioni di esseri umani moriranno di fame nonostante programmi di emergenza e di salvezza che verranno avviati da subito”, così auspicando come prevenzione una severissima politica di controllo delle nascite in ogni continente. Le previsione di Paul Ehrlich si rivelarono completamente sbagliate e le sue teorie di pianificazione demografica furono travolte dalla constatazione che muovevano da modelli matematici errati.
Donella Meadows, che fu una ricercatrice e produsse il modello matematico su computer “World3” per il Club di Roma guidato da Aurelio Peccei, fornì in tal modo la base conoscitiva di un altro libro celeberrimo Limits to growth – I limiti dello sviluppo, che alla luce dei decenni trascorsi risulta per lo più sbagliato nella previsione sulle quantità e sulle durate delle risorse minerarie ed energetiche del pianeta, a cominciare dal petrolio. Producendo, in tal modo, una ondata di diffusa di incredulità nei confronti di ricerche analoghe.
Dimenticando questi precedenti, che pure dovrebbero tornare alla memoria degli attuali zeloti del riscaldamento globale antropico, la maggioranza dei governi e dei leader politici sembra decisa ad avventurarsi, costi quel che costi, e mai modo di dire fu più calzante, sulla via degli impegni a proposito di un non problema, come Fred Singer, fisico dell’atmosfera dell’Università della Virginia, così riassume: “Perché dovremmo dedicare le nostre scarse risorse a quello che in sostanza è un non problema e ignorare le problematiche reali che il mondo si trova davanti, fame, malattie, negazione dei diritti umani, per non parlare delle minacce del terrorismo e delle guerre nucleari?”.
A distanza di pochi giorni, quando al tavolo dei G8 si potrà misurare, insieme, la parte autentica e determinata della “rivoluzione verde”, con tutte le sue pulsioni chimeriche e le sue inaccettabili imprudenze, e la obbligatoria quota parte di “fiori per il loggione”, con le inevitabili tirate retoriche che, serviranno solo a contrabbandare una diffusa ma pudica, anzi virginale, ripresa del nucleare, sotto il pretesto del riaggiornamento degli impianti con le nuove tecnologie esistenti, le dichiarazioni ufficiali che fioccano dalle sedi delle Istituzioni europee sono a dir poco velleitarie. Nel giro di ventiquattr’ore il Corriere della Sera, mai come prima impegnato a tirare la volata alla causa del riscaldamento globale, il 29 giugno ha ospitato, tra altri, i seguenti propositi del Vicepresidente dei Verdi al Parlamento europeo, Claude Turmes, che dopo aver ascoltato i resoconti dell’approvazione alla Camera dei rappresentanti con sette voti di scarto della prima legge di Obama sul clima, capolavoro del nulla, tra blandi impegni di riduzione, concepita con il ricorso illusionistico del cap and trade, un paralizzante sistema di compensazioni in fatto di emissioni di gas a effetto serra, erede peggiorativo della fallita formula degli swaps, un baratto tra industria virtuosa e industria inquinante, prova legislativa da cui il nuovo Presidente americano è uscito barcollante, l’onorevole Turmes così auspica il futuro “D.: Cina, India, o i Paesi africani chiederanno all’Occidente i soldi per ripulire i loro cieli. Sarà giusto darli? R.: “Si. Sarà morale. È una questione etica, oltre che ecologica. Noi abbiamo delle responsabilità storiche verso quei paesi che non erano ancora industrializzati trenta o quaranta anni fa. Abbiamo accumulato CO2 nei cieli per molti decenni, prima che iniziassero loro a farlo”.
Fa una certa impressione, lo confesso, leggere propositi e sogni di un Parlamentare europeo appena eletto che ricordano i libri di Henry Michaux, “Un barbaro in Asia”, per esempio, scritto sotto mescalina, il più potente degli allucinogeni naturali. E il giorno dopo, 30 giugno, a parlare è il ministro dell’Ambiente della Svezia, Andreas Carlgren, che nella presidenza dell’Unione assunta nelle stesse ore si propone di ottenere l’estensione della Carbon tax, oggi adottata in Danimarca, Finlandia e Slovenia, a tutti i paesi dell’Unione, possibilmente suggerendola al resto della Comunità internazionale, e preannunciando per il proprio paese un taglio del 40 per cento delle emissioni di gas a effetto serra. Omette però di dire al giornale italiano, il ministro svedese Carlgren, che alla produzione di energia elettrica nella Svezia, paese di otto milioni di abitanti con una superficie di 150 mila chilometri quadrati superiore a quella italiana, la rinnovabile tradizionale idroelettrica concorre a fornire il 60 per cento del fabbisogno elettrico. Buona parte del rimanente è coperto dal nucleare prodotto da dieci centrali atomiche che, con decisione dell’attuale governo di Stoccolma, nel marzo di quest’anno, sono state confermate e in parte già riaggiornate, con buona pace del Referendum popolare del 1980 che ne prevedeva la graduale chiusura con termine al 2010.
Mi limito a esprimere un pio desiderio: si inizi al G8, e si passi poi alla Conferenza ONU di dicembre, a discutere di tutte le questioni della mutazione climatica senza l’obbligo di sottostare ai dettami della correttezza politica di chi coltiva la pretesa di cambiare il clima ripristinando quello d’antan.
Da Il Foglio, 8 luglio 2009
Bibliografia essenziale
Elenco qui di seguito i libri da consultare. Mi limito a dare i testi che considero importanti nelle edizioni italiane, e qualche riferimento a testi pubblicati altrove, ma egualmente indispensabili.
Stefano Apuzzo – Danilo Bonato, ECO LOGO, I libri di Gaia, Milano, 2008
Franco Battaglia – Renato Angelo Ricci, VERDI FUORI ROSSI DENTRO, Free Foundation for Research on European Economy, Milano, 2007
Tony Blair, SPEECH ON CLIMATE CHANGE, Londra, 14 settembre 2004
Jean-Louis Butré, L’IMPOSTURE, Editions du Toucan, Paris, 2008
Riccardo Cascioli – Antonio Gaspari – Tullio Regge, LE BUGIE DEGLI AMBIENTALISTI. I FALSI ALLARMISMI DEI MOVIMENTI ECOLOGISTI, Piemme, Asti, 2004
Michael Crichton, ENVIRONMENTALISM AS RELIGION, Commonwealth Club, San Francisco, 15 agosto 2003
Michael Crichton, THE CASE FOR SKEPTICISM ON GLOBAL WARMING, National PressClub, Washington DC, 25 gennaio 2005
Michael Crichton, STATO DI PAURA, Garzanti, Milano, 2005
Paul Ehrlich, THE POPULATION BOMB, Ballantine Books, New York, 1968
David L. Goodstein, IL MONDO IN RISERVA, Università Bocconi, Milano, 2008
Al Gore, LA TERRA IN BILICO, Roma-Bari, Laterza 1993
Al Gore, UNA SCOMODA VERITÀ: COME SALVARE LA TERRA DAL RISCALDAMENTO GLOBALE, Rizzoli, Milano, 2003
Vaclav Klaus, PIANETA BLU, NON VERDE. COSA È IN PERICOLO: IL CLIMA O LA LIBERTÀ?, IBL Libri, Torino, marzo 2009
Serge Latouche, L’OCCIDENTALIZZAZIONE DEL MONDO, Bollati Boringhieri,Torino, 1992
Nigel Lawson, NESSUNA EMERGENZA CLIMA. UNO SGUARDO FREDDO SUL RISCALDAMENTO GLOBALE, Francesco Brioschi editore, Milano, 2008
Richard Lindzen, CLIMATE OF FEAR, The Wall Street Journal, New York, 12 aprile 2006
Bjørn Lomborg, L’AMBIENTALISTA SCETTICO, Mondadori, Milano, 2003
Bjørn Lomborg, STIAMO FRESCHI, Mondadori, Milano, 2008
James Lovelock, THE EARTH IS ABOUT TO CATCH A MORBID FEVER THAT MAY LAST AS LONG AS 100.000 YEARS, The Indipendent, 16 gennaio 2006
Laura Marchetti, IL PENSIERO ALL’ARIA APERTA, Palomar, Bari, 2000
Donella Meadows – Dennis Meadows, I Limiti Dello Sviluppo, Mondadori, Milano, 1978
BARACK OBAMA’S PRESIDENTIAL ADDRESS, Shenker minibooks series, Roma, 2009
Maurizio Pallante, LA DECRESCITA FELICE, Editori Riuniti, Roma, 2008
Jeremy Rifkin, ECONOMIA ALL’IDROGENO, Mondadori, Milano, 2002
Jeremy Rifkin, IL SOGNO EUROPEO, Mondadori, Milano, 2004
Vandana Shiva, RITORNO ALLA TERRA, Fazi editore, Roma, 2009
Peter Staudenmaier, L’IDEOLOGIA FASCISTA: L’ALA VERDE DEL PARTITO NAZISTA E I SUOI ANTECEDENTI STORICI, AK Press, Oakland, 1995
Nicholas Stern, UN PIANO PER SALVARE IL PIANETA, Feltrinelli editore, Milano, aprile 2009
http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=8071
http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=8071
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