L'attacco a Unifil in Libano dimostra che i muscoli di Hezbollah fanno paura
di Fiamma Nirenstein
20 Luglio 2009
L'attacco subito nel sud del Libano dalle truppe dell'Unifil mentre tentavano di verificare in che cosa consistesse il deposito d'armi degli hezbollah saltato per aria qualche giorno prima con morti e feriti, è un pessimo segnale per la pace in Medio Oriente. Quel centinaio di abitanti di Kirbat a Silm, che alla fine si sono persino messi a sparare contro le forze internazionali, sono il segno della solida presenza degli hezbollah al sud del fiume Litani, dove hanno comprato, costruito, arruolato; è un segnale della determinazione della milizia sciita a proteggere le armi e le loro infrastrutture nonostante la risoluzione dell'Onu che ne stabilisce lo smantellamento.
La chiave dell'aggressività delle ultime azioni degli hezbollah, che hanno taciuto per lungo tempo e che sembravano determinati a conquistare il potere in Libano tramite un percorso di legittimazione democratica, deve essere letta alla luce dei risultati delle ultime elezioni, anche se è lo scontro con Israele la stella polare intorno a cui costruiscono l'azione e il consenso.
Venerdì all'improvviso un gruppo di 15 libanesi, evidentemente espressione degli hezbollah dato che ne portavano le bandiere in corteo, si era introdotto dal Libano dentro il confine israeliano, rompendo ogni regola di rispetto internazionale: l'esercito israeliano ha deciso di non intervenire dato che la gente introdottasi illegalmente non portava armi e aveva con sé alcuni bambini. Né vi è stata reazione militare alla scoperta, nei giorni scorsi, di cinquanta razzi nel sud del Libano puntati verso Israele. Di fronte poi alla grande esplosione di Kirbat, che ha fatto saltare dozzine di katiuscia da 122 millimetri che hanno lasciato numerosi buchi nel tetto, Israele ha sollevato il problema all'Onu ed evidentemente l'Unifil ha agito di conseguenza. Ieri poi il capo degli hezbollah, Hassan Nasrallah, ha citato come motivo di ulteriore contenzioso con Israele la presenza nelle carceri israeliane di un suo adepto, ribadendo che non ci sarà pace finché Israele non lo restituirà. L'allusione è micidiale, se si pensa che la vicenda di Regev e Goldwasser, rapiti per farne merce di scambio con un terrorista infanticida, Samir Kuntar, ha portato alla guerra del 2006.
Gli hezbollah insistono, sostenuti in questo dall'esercito libanese che lo dichiara sul suo sito, nell'idea che Israele debba consegnare loro le cosiddette «Shabaa Farms», un terreno sul confine con la Siria e col Libano, che apparterrebbe - sempre che Israele per disinnescare la milizia filo iraniana, non lo consegni, come sembrerebbe, al Libano - al contenzioso con Bashar Assad.Hezbollah dunque soffia sul fuoco: il fatto è che a più di un mese dalle elezioni in cui Hezbollah ha perso a favore del sunnita moderato Sa'ad Hariri, figlio del primo ministro ucciso Rafik Hariri, la formazione del governo è ancora oggetto degli sforzi immani del primo ministro incaricato, che non ignora davvero che Hezbollah ha arsenali di armi moderne fornite dall'Iran tramite la Siria.
Benché la coalizione di Hariri abbia una maggioranza di 71 seggi contro 57, e formare un governo appaia un compito facile, in realtà Hariri junior si è mosso fin dall'inizio nell'intento di formare un governo di unità nazionale, perché sa che altrimenti il Libano rischia la guerra civile. Questo pacificherebbe la Siria e l'Iran e smorzerebbe l'attività bellica interna e esterna degli hezbollah. Ma l'opposizione avendo perso le elezioni vuole recuperare imponendo i suoi termini: chiede infatti un terzo dei ministri, ovvero 10 su 30, e anche il diritto di veto sulle decisioni importanti.
Erano accordi già fatti col precedente governo dopo l'accordo di Doha del maggio 2008 e che misero fine a mesi di violenze. La novità è che l'Egitto ha cercato di spingere la Siria a suggerire agli hezbollah di accettare un accordo, anche sulla scia dello choc subito da Mubarak quando ha scoperto una congiura degli hezbollah sul suo territorio.
I cristiani e i sunniti di Hariri tendono a escludere il diritto di veto, ma il druso Walid Jumblatt, antico leader, capo del partito socialista, ha fatto una riunione con Nasrallah per cercare un accordo. Gli sciiti, dice, dopo tutto sono il più vasto gruppo etnico libanese.
Mentre gli Usa, la Francia, l'Italia, insieme all'Arabia Saudita ed Egitto cercano di favorire una situazione in cui il potere degli hezbollah sia limitato, la Siria, l'Iran, gli hezbollah in primis non danno segno di voler diminuire le loro aspettative.
Questo potrebbe trasformarsi in violenza. Oppure il balenare continuo delle armi del gruppo estremista sciita potrebbe forzare la mano verso il conferimento di larghi poteri a Nasrallah che certo diminuirebbero il valore della vittoria democratica. Se i partiti vittoriosi alle elezioni non potranno resistere alle pressioni degli hezbollah, Iran e Siria avranno vinto una battaglia che certo non aiuterà nessun processo di pace.
Insomma, ambedue le prospettive non sono allegre.
(da Il Giornale, 20 luglio 2009)
Nessun commento:
Posta un commento