Di Lisio: le responsabilità della sua morte non ricadono solo sui talebani
di Giovanni Marizza
25 Luglio 2009
Il 14 luglio 2009, in Afghanistan un ordigno esplode al lato della strada 517 e il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio perde la vita. Ma se il mezzo investito dall’onda d’urto dell’esplosione fosse stato costruito a prova di IED (Improvised Explosive Device), il nostro militare oggi sarebbe ancora vivo.
E’ il 12 ottobre 1492. Le tre caravelle di Cristoforo Colombo, la “Nina”, la “Pinta” e la “Santa Maria”, veleggiano verso le Indie, o presunte tali. Alle due di notte un grido sveglia i marinai della “Pinta”: “Terra, terra!”. Chi grida è il marinaio andaluso Juan Rodriguez Bermejo, detto dagli amici Rodrigo De Triana, abbarbicato sulla coffa della nave. Oggi, in linguaggio militarese, lo chiameremmo il “coffista”. Rodrigo ha intravisto la terra illuminata dalla luna ed ha annunciato agli altri marinai della spedizione che la missione era compiuta. Le Indie erano a portata di mano. Anzi no, si trattava dell’America, ma poco importava.
Oggi a Siviglia, nel quartiere Triana che diede i natali a Rodrigo, un monumento lo raffigura in piedi sulla coffa, la mano destra aggrappata all’albero, la sinistra rivolta verso il nuovo continente, la bocca aperta nel grido rimasto famoso. Sul basamento, una scritta semplice ed eloquente in lingua spagnola: “Tierra, tierra!”
Pochi sanno che il Bermejo, di religione islamica, dovette convertirsi al cristianesimo per potersi imbarcare sulle caravelle del cristianissimo Re di Spagna, altrimenti nessuno lo avrebbero accettato. Un forte incentivo fu rappresentato dall’ingente premio in denaro che Cristoforo Colombo promise a colui che per primo avrebbe avvistato la terra agognata. Ma Rodrigo non ricevette alcun premio. I maligni spiegano il fatto sottolineando che Colombo, in fin dei conti, era genovese. E così, al ritorno dal suo lungo viaggio, a causa della delusione per il mancato pagamento della ricompensa promessa da Colombo, Rodrigo si riconvertì alla religione cui apparteneva suo padre. E la spedizione ritornò in Europa con un cristiano in meno e un musulmano in più.
Nel mezzo millennio successivo, la figura del “coffista” passò gradatamente di moda, fino a scomparire del tutto. L’invenzione della bussola, del sestante, del cannocchiale, la migliorata precisione delle carte nautiche, la radio, il radar, i satelliti, il GPS e tutte le più moderne diavolerie consentirono alla marineria di archiviare la benemerita figura del “coffista”, che oggi sarebbe assurda su qualsiasi nave da guerra o mercantile.
E’ il 14 luglio 2009. In Afghanistan, sulla strada 517, quella che collega Farah, una provincia nell’estremo ovest del Paese, con la Ring Road, il “grandissimo raccordo anulare” di asfalto che circonda tutto l’Afghanistan, un IED (Improvised Explosive Device) posto al lato della strada esplode al passaggio di un convoglio italiano. Il mezzo investito dall’onda d’urto dell’esplosione si ribalta. Per il militare che sporgeva dal mezzo, come Rodrigo sulla “Pinta” ben 517 anni fa, non c’è niente da fare. In quelle condizioni, se non è fatale l’onda d’urto dell’esplosione, lo sono gli effetti del ribaltamento del mezzo.
Il mezzo in questione viene spesso magnificato in quanto portatore di una innovazione avveniristica: un alloggiamento interno dotato di una piastra corazzata a forma di “V” che devia verso i lati gli effetti delle esplosioni. Ebbene, l’innovazione è talmente “avveniristica” che nel 1992, quando siamo andati in Mozambico a sostituire l’esercito zimbabwano che presidiava il corridoio di Beira, ci siamo accorti che gli Zimbabwani (e non, si badi bene, gli Israeliani, gli Americani o i Marziani, bensì gli Zimbabwani dello Zimbabwe) già possedevano da vari anni la stessa tecnologia. Lo strategico corridoio di Beira, a quel tempo, era percorso da pattuglie dell’ex Rhodesia del Sud a bordo di veicoli trasporto truppa dalla forma sagomata a V. Brutti a vedersi e somiglianti a strani animali preistorici (noi peacekeepers del contingente italiano dell’ONU li chiamavamo scherzosamente “blindosauri”), questi blindati erano particolarmente efficaci quando si trattava di attraversare tratti di terreno minato: se la mina scoppiava, l’onda d’urto che partiva da terra veniva deviata verso i lati delle fiancate ma non riusciva a bucare il fondo. E la squadra fucilieri che stava all’interno era salva.
Ma il Mozambico del 1992 (secolo scorso, millennio scorso) è diverso dall’Afghanistan del 2009. Oggi le mine non sono più a basso potenziale e non scoppiano più sotto la pancia dei mezzi quando ci si va a sbattere sopra, oggi gli IED sono ad elevato potenziale, magari a carica cava, e vengono posti ai lati delle strade, vengono perfettamente mimetizzati tanto da assomigliare a rocce qualunque e vengono azionati da lontano, elettricamente o via radio.
Se la tecnologia della corazza a “V” è in ritardo di un ventennio su un decoroso ma modesto esercito dell’Africa Australe, la ralla lo è di mezzo millennio rispetto alla coffa della “Pinta”. La ralla è quell’arnese circolare su cui ruota la mitragliatrice in torretta, azionata dal malcapitato rallista che per manovrarla si deve sporgere dal mezzo.
Questa procedura può essere utile per missioni di ordine pubblico in ambienti urbani e di bassa intensità, ma nulla può contro gli IED afgani provenienti dall’Iraq, dove sono stati testati, sviluppati, resi sempre più micidiali e poi esportati.
Inizialmente in Iraq i mezzi americani che pattugliavano il territorio erano anch’essi armati con una mitragliatrice in torretta protetta da uno scudo corazzato, manovrata da un mitragliere che stava seduto a cavalcioni su una cinghia basculante (come le strisce di plastica incrociate dei salvagente per bambini, su cui si accucciano i neonati alle loro prime esperienze balneari) che gli permetteva di sporgere dal veicolo soltanto dal torace in su. Man mano che la minaccia degli IED aumentava, quella cinghia basculante è stata battezzata “il sedile dell’uomo morto”.
Il passo successivo è stato quello - ovvio ma non per tutti - di adottare un sistema di comando dell’arma dall’interno del mezzo, oggi in vigore su quasi tutti i mezzi militari e non solo. Anche i veicoli in dotazione alle compagnie private di sicurezza come la “Blackwater”, infatti, hanno le mitragliatrici che vengono azionate da un operatore che sta all’interno del mezzo. Che i mitraglieri della Blackwater sparino lungo il percorso contro tutto ciò che si muove, è un’altra storia ma intanto, protetti all’interno del veicolo, potranno morire d’infarto o di vecchiaia, ma non certo per gli effetti di un’esplosione. E nemmeno per il ribaltamento del mezzo.
I rallisti italiani, invece, continuano a sporgere all’esterno del veicolo, novelli Rodrigo De Triana, e sembrano condannati fin dal momento della partenza del convoglio: più bersagli che Bersaglieri.
Riusciremo un bel giorno a superare il 1492? Riusciremo mai a non giocare a calcio come se fossimo in guerra e a non andare in guerra come se fosse una partita di calcio? Riusciremo mai a far sì che la Difesa pretenda e ottenga dall’Industria ciò che serve anziché farsi imporre dall’Industria ciò che quest’ultima preferisce? I soldati che impieghiamo in missioni all’estero hanno diritto al “meglio”, al non plus ultra degli armamenti, degli equipaggiamenti e della sicurezza. Per salvaguardare le loro vite non dobbiamo badare a spese.
E se siamo così miserabili da non poterci permettere le spese, teniamoli a casa. Un Paese che non dà il meglio ad Alessandro Di Lisio, non è degno di Lui.
http://www.loccidentale.it/articolo/s.0075590
di Giovanni Marizza
25 Luglio 2009
Il 14 luglio 2009, in Afghanistan un ordigno esplode al lato della strada 517 e il caporalmaggiore Alessandro Di Lisio perde la vita. Ma se il mezzo investito dall’onda d’urto dell’esplosione fosse stato costruito a prova di IED (Improvised Explosive Device), il nostro militare oggi sarebbe ancora vivo.
E’ il 12 ottobre 1492. Le tre caravelle di Cristoforo Colombo, la “Nina”, la “Pinta” e la “Santa Maria”, veleggiano verso le Indie, o presunte tali. Alle due di notte un grido sveglia i marinai della “Pinta”: “Terra, terra!”. Chi grida è il marinaio andaluso Juan Rodriguez Bermejo, detto dagli amici Rodrigo De Triana, abbarbicato sulla coffa della nave. Oggi, in linguaggio militarese, lo chiameremmo il “coffista”. Rodrigo ha intravisto la terra illuminata dalla luna ed ha annunciato agli altri marinai della spedizione che la missione era compiuta. Le Indie erano a portata di mano. Anzi no, si trattava dell’America, ma poco importava.
Oggi a Siviglia, nel quartiere Triana che diede i natali a Rodrigo, un monumento lo raffigura in piedi sulla coffa, la mano destra aggrappata all’albero, la sinistra rivolta verso il nuovo continente, la bocca aperta nel grido rimasto famoso. Sul basamento, una scritta semplice ed eloquente in lingua spagnola: “Tierra, tierra!”
Pochi sanno che il Bermejo, di religione islamica, dovette convertirsi al cristianesimo per potersi imbarcare sulle caravelle del cristianissimo Re di Spagna, altrimenti nessuno lo avrebbero accettato. Un forte incentivo fu rappresentato dall’ingente premio in denaro che Cristoforo Colombo promise a colui che per primo avrebbe avvistato la terra agognata. Ma Rodrigo non ricevette alcun premio. I maligni spiegano il fatto sottolineando che Colombo, in fin dei conti, era genovese. E così, al ritorno dal suo lungo viaggio, a causa della delusione per il mancato pagamento della ricompensa promessa da Colombo, Rodrigo si riconvertì alla religione cui apparteneva suo padre. E la spedizione ritornò in Europa con un cristiano in meno e un musulmano in più.
Nel mezzo millennio successivo, la figura del “coffista” passò gradatamente di moda, fino a scomparire del tutto. L’invenzione della bussola, del sestante, del cannocchiale, la migliorata precisione delle carte nautiche, la radio, il radar, i satelliti, il GPS e tutte le più moderne diavolerie consentirono alla marineria di archiviare la benemerita figura del “coffista”, che oggi sarebbe assurda su qualsiasi nave da guerra o mercantile.
E’ il 14 luglio 2009. In Afghanistan, sulla strada 517, quella che collega Farah, una provincia nell’estremo ovest del Paese, con la Ring Road, il “grandissimo raccordo anulare” di asfalto che circonda tutto l’Afghanistan, un IED (Improvised Explosive Device) posto al lato della strada esplode al passaggio di un convoglio italiano. Il mezzo investito dall’onda d’urto dell’esplosione si ribalta. Per il militare che sporgeva dal mezzo, come Rodrigo sulla “Pinta” ben 517 anni fa, non c’è niente da fare. In quelle condizioni, se non è fatale l’onda d’urto dell’esplosione, lo sono gli effetti del ribaltamento del mezzo.
Il mezzo in questione viene spesso magnificato in quanto portatore di una innovazione avveniristica: un alloggiamento interno dotato di una piastra corazzata a forma di “V” che devia verso i lati gli effetti delle esplosioni. Ebbene, l’innovazione è talmente “avveniristica” che nel 1992, quando siamo andati in Mozambico a sostituire l’esercito zimbabwano che presidiava il corridoio di Beira, ci siamo accorti che gli Zimbabwani (e non, si badi bene, gli Israeliani, gli Americani o i Marziani, bensì gli Zimbabwani dello Zimbabwe) già possedevano da vari anni la stessa tecnologia. Lo strategico corridoio di Beira, a quel tempo, era percorso da pattuglie dell’ex Rhodesia del Sud a bordo di veicoli trasporto truppa dalla forma sagomata a V. Brutti a vedersi e somiglianti a strani animali preistorici (noi peacekeepers del contingente italiano dell’ONU li chiamavamo scherzosamente “blindosauri”), questi blindati erano particolarmente efficaci quando si trattava di attraversare tratti di terreno minato: se la mina scoppiava, l’onda d’urto che partiva da terra veniva deviata verso i lati delle fiancate ma non riusciva a bucare il fondo. E la squadra fucilieri che stava all’interno era salva.
Ma il Mozambico del 1992 (secolo scorso, millennio scorso) è diverso dall’Afghanistan del 2009. Oggi le mine non sono più a basso potenziale e non scoppiano più sotto la pancia dei mezzi quando ci si va a sbattere sopra, oggi gli IED sono ad elevato potenziale, magari a carica cava, e vengono posti ai lati delle strade, vengono perfettamente mimetizzati tanto da assomigliare a rocce qualunque e vengono azionati da lontano, elettricamente o via radio.
Se la tecnologia della corazza a “V” è in ritardo di un ventennio su un decoroso ma modesto esercito dell’Africa Australe, la ralla lo è di mezzo millennio rispetto alla coffa della “Pinta”. La ralla è quell’arnese circolare su cui ruota la mitragliatrice in torretta, azionata dal malcapitato rallista che per manovrarla si deve sporgere dal mezzo.
Questa procedura può essere utile per missioni di ordine pubblico in ambienti urbani e di bassa intensità, ma nulla può contro gli IED afgani provenienti dall’Iraq, dove sono stati testati, sviluppati, resi sempre più micidiali e poi esportati.
Inizialmente in Iraq i mezzi americani che pattugliavano il territorio erano anch’essi armati con una mitragliatrice in torretta protetta da uno scudo corazzato, manovrata da un mitragliere che stava seduto a cavalcioni su una cinghia basculante (come le strisce di plastica incrociate dei salvagente per bambini, su cui si accucciano i neonati alle loro prime esperienze balneari) che gli permetteva di sporgere dal veicolo soltanto dal torace in su. Man mano che la minaccia degli IED aumentava, quella cinghia basculante è stata battezzata “il sedile dell’uomo morto”.
Il passo successivo è stato quello - ovvio ma non per tutti - di adottare un sistema di comando dell’arma dall’interno del mezzo, oggi in vigore su quasi tutti i mezzi militari e non solo. Anche i veicoli in dotazione alle compagnie private di sicurezza come la “Blackwater”, infatti, hanno le mitragliatrici che vengono azionate da un operatore che sta all’interno del mezzo. Che i mitraglieri della Blackwater sparino lungo il percorso contro tutto ciò che si muove, è un’altra storia ma intanto, protetti all’interno del veicolo, potranno morire d’infarto o di vecchiaia, ma non certo per gli effetti di un’esplosione. E nemmeno per il ribaltamento del mezzo.
I rallisti italiani, invece, continuano a sporgere all’esterno del veicolo, novelli Rodrigo De Triana, e sembrano condannati fin dal momento della partenza del convoglio: più bersagli che Bersaglieri.
Riusciremo un bel giorno a superare il 1492? Riusciremo mai a non giocare a calcio come se fossimo in guerra e a non andare in guerra come se fosse una partita di calcio? Riusciremo mai a far sì che la Difesa pretenda e ottenga dall’Industria ciò che serve anziché farsi imporre dall’Industria ciò che quest’ultima preferisce? I soldati che impieghiamo in missioni all’estero hanno diritto al “meglio”, al non plus ultra degli armamenti, degli equipaggiamenti e della sicurezza. Per salvaguardare le loro vite non dobbiamo badare a spese.
E se siamo così miserabili da non poterci permettere le spese, teniamoli a casa. Un Paese che non dà il meglio ad Alessandro Di Lisio, non è degno di Lui.
http://www.loccidentale.it/articolo/s.0075590
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