martedì 18 dicembre 2007

I Pastori e gli Angeli


I Pastori e gli Angeli
Autore: Mattioli, Vitaliano
Fonte: CulturaCattolica.it ©
Dal Vangelo secondo Luca (II, 8-14):
"C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia". E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva: Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama".

Questo è il racconto evangelico che ha sempre suscitato un certo senso di meraviglia ed emozione.

Gli Angeli

La Bibbia parla parecchie volte delle creature angeliche, rimaste fedeli a Dio, che mettono la loro esistenza a disposizione di Dio e degli uomini. Di alcune conosciamo anche il nome.
Senza un lungo, noioso elenco, riporto soltanto alcuni loro interventi principali.
Michele. Il suo nome significa 'Chi è come Dio?'. Abbiamo una citazione nella lettera di Giuda (1, 8) e nell'Apocalisse (12, 7) dove interviene nella lotta contro il Dragone.
Raffaele (Medicina di Dio). Nel libro di Tobia si legge che diventa compagno di viaggio di Tobiolo e lo invita a prendere il fiele del pesce come medicina per guarire la cecità di suo padre Tobia.
Gabriele (Fortezza di Dio): è l'angelo dell'annunciazione.
Oltre questi interventi più rinomati, ne vengono elencati molti altri: l'angelo che parla a Zaccaria annunciandogli il concepimento di Giovanni (Lc., 1, 11); l'angelo che appare a Giuseppe chiarendogli il mistero divino realizzatosi in Maria (Mt., 1, 18-25), la fuga in Egitto ed il ritorno in patria (Mt., 2, 13-20). Poi l'angelo dell'agonia che consola Gesù (Lc., 22, 43); l'angelo che annuncia la resurrezione alle pie donne (Mt., 28, 2-7); gli angeli dell'ascensione (At., 1, 10s.). Infine l'angelo che libera Pietro dalla prigione (At., 12, 7-11). Anche nell'Apocalisse più di una volta intervengono gli angeli.
Non dovrebbe allora destare meraviglia se sono ancora gli angeli ad annunciare al mondo il lieto evento della nascita del Salvatore.
Ma lo fanno conoscere solo ai pastori.

I pastori
Un po' era ovvio. Bethlemme, villaggio di contadini, era abitato da pastori. Ma in quei giorni non c'erano soltanto loro. Era il periodo del censimento e dovunque gli alberghi erano pieni tanto che Giuseppe non trovò nessun posto libero (Lc., 2, 7). Eppure soltano a loro l'angelo recò il lieto annuncio.
Viene spontanea la domanda: perché?
Qui non si deve vedere tanto la professione di 'pastori', quanto invece il simbolismo nascosto. I pastori sono considerati gente semplice, umile, senza complicazioni. Hanno conservato un po' l'animo del bambino. Anche i poeti li hanno presentati sotto questo profilo.
Gli angeli recano l'annuncio a questa tipologia di uomini, perché hanno le caratteristiche interiori per comprenderlo ed accettarlo.
Due frasi evangeliche mi vengono in mente: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te" (Mt., 11, 25); "Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli" (Mt., 18, 2-4).
E' proprio vero che le misure divine sono molto diverse da quelle umane.
Ecco allora che il pastore è un simbolo: in ognuno di noi dovrebbe conservarsi, crescendo, l'animo del pastore e del fanciullino.
Altrimenti rischiamo di limitare il nostro ambito conoscitivo solo al sensibile, all'apparente, all'effimero, senza essere capaci di aprirci a tutta la verità, di scendere in profondità, di cogliere l'essenza degli esseri, fino al nucleo del cuore umano.
Anche i Magi, per aprirsi al mistero, per capire chi era quel Bambino, sono dovuti scendere dal loro piedistallo, si sono dovuti inginocchiare come fanciulli indifesi, inermi, per adorare quello che all'apparenza non era altro che uno dei tanti bambini nati in quel tempo.
Il bambino è ancora capace di provare stupore, tenerezza, meraviglia perché non è ancora diventato grande, cioè 'complicato', perché conserva ancora la semplicità di Dio.
Invece l'uomo di oggi rischia di perdere tante occasioni perché ha perso la semplicità originale, frutto dell'innocenza; è divenuto complicato, paranoico, limitato, incapace di capire sé e di aprirsi agli altri.
Non è più capace di 'tenerezze'. Si è atrofizzato perfino nell'amore; infatti quello che chiama con questo bel termine non è amore, ma passione, egoismo, sopraffazione e sfruttamento. L'amore è ricerca dell'altro, donazione, desiderio di capire l'altro.
Quanti matrimoni si interrompono proprio perché si è atrofizzata la capacità di vivere 'questo' amore. Gli sposi non sono rimasti bambini. Pretendono di amare 'da grandi'; ma il 'grande' non sa amare perché non ha conservato in sé l'animo del bambino: solo con l'animo del bambino infatti si è capaci di amare.
Karol Wojtyla nella sua giovanile opera teatrale, La Bottega dell'Orefice (1960), alla fine sottolinea proprio questo. E' la scena in cui Stefano si riappacifica con Anna: Stefano: "In quel momento - per la prima volta dopo tanti anni - ho sentito il bisogno di dire qualcosa in cui si aprisse tutta la mia anima. Volevo dirlo proprio a Anna... Mi sono avvicinato a lei, le ho posato una mano sul braccio (da tempo, da molto tempo, non lo facevo più) e le ho detto queste parole:
che peccato, che peccato che da tanti anni non ci siamo
sentiti più come due ragazzi,
Anna, Anna quante cose abbiamo perduto per questo!" (14).
Il Pascoli, nel suo linguaggio letterario (G. Pascoli, Il Fanciullino - 1897), così ha espresso queste profonde verità: "E' dentro di noi un fanciullino... Noi cresciamo, ed egli resta piccolo... Egli è quello che ha paura del buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle... Egli è quello che piange e ride senza perché, di cose che sfuggono ai nostri sensi e alla nostra ragione. Egli è quello che nella morte degli esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella gioia pazza pronuncia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d'amaro e di dolce, e facendone due cose ugualmente soavi al ricordo. Egli fa umano l'amore, perché accarezza esso come sorella, accarezza e consola la bambina che è nella donna... Senza di lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle".

Il messaggio

Qual è il messaggio che gli angeli inviano ai pastori?: "Vi annuncio una grande gioia: oggi a voi è nato il Salvatore... Gloria a Dio, pace agli uomini" (Lc., 2, 10-14).
Gioia, gloria, pace. Dalla pace scaturisce la gioia; ma ci sarà pace solo quando prima c'è stata l'attribuzione della gloria.
Con due parole l'angelo stilizza il rapporto biunivoco tra l'uomo e Dio.
Qual è l'anelito più forte nell'uomo? La pace. Ma la vera pace è conseguenza della virtù della giustizia, prima di tutto verso Dio. Non si può avere la pace quando non si rispettano i diritti altrui. La 'pace' evangelica non è frutto di guerra o di intrighi politici, ma è un riflesso e partecipazione di quella felicità che Dio possiede in maniera totale e perfetta.
Dovere dell'uomo è quello di mettere Dio al primo posto, di glorificare Dio. Di riflesso, diritto di Dio è quello di essere glorificato dalla sua creatura. Non che Dio abbia bisogno di questa lode: è completo ed appagato in sé, nel contesto della famiglia divina (Trinità). Questa si chiama: gloria oggettiva. Ma è giusto e doveroso che la creatura lodi il suo creatore, lo ringrazi e glorifichi (gloria soggettiva).
Solo quando l'uomo si deciderà a rispettare Dio mettendolo al primo posto, quando metterà Dio a fondamento di ogni pensiero ed azione, quando cioè praticherà la virtù della giustizia (che in questo caso si chiama virtù di religione), allora e solo allora potrà essere capace di rispettare anche l'uomo: la vera pace è conseguenza dell' ossequio a Dio.
La parola 'pace', in greco 'eirene', nel contesto biblico contiene un significato molto più ampio e profondo che nelle nostre culture. Non è soltanto assenza di guerre e di conflitti umani. Esprime la pace messianica, indica il ristabilito, pacifico e filiale rapporto con Dio; in una parola, la salvezza. Con queste parole dell'angelo "A Natale viene già annunciato quello che sarà il frutto riassuntivo della Pasqua, perché si tratta dell'inizio e della conclusione dello stesso mistero. Il Natale rappresenta la salvezza allo 'stato nascente'" (15).
L'annuncio degli angeli dato ai pastori prosegue con una espressione non felicemente tradotta: "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Letteralmente la parola greca 'eudokia' dovrebbe tradursi: "Agli uomini che sono benvoluti da Dio, che sono oggetto della benevolenza divina". Praticamente l'annuncio vuol dire: la salvezza portata da questo bambino è per tutti gli uomini, perché tutti gli uomini sono oggetto della benevolenza divina.
Questa interpretazione è confermata da altri passi evangelici. L'angelo dice che la gioia di questa lieta notizia non è riservata solo ai pastori, ma "è per tutto il popolo" (Lc., 2, 10). Simeone proclama che il bambino è "luce delle Genti" e la salvezza da lui portata "è per tutti i popoli" (Lc., 2, 31 s.). Inoltre lo stesso Gesù dirà che il Padre ama tutti gli uomini; "fa sorgere il sole sopra i buoni e cattivi e fa piovere sui giusti e gli ingiusti" (Mt., 5, 45).
Il Natale si presenta come festa della bontà di Dio, della universalità di questo amore e della salvezza. Ad ognuno approfittarne.

L'angelo custode

Ognuno di noi è affidato ad un angelo, che per questo si chiama 'custode', perché ci custodisce nella vita ed al quale noi dobbiamo dare ascolto.
San Bernardo, nel commentare la frase del salmo "Dio darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi" (Ps., 90, 11), così si esprime: "Queste parole quanta riverenza devono suscitare in te, quanta devozione recarti, quanta fiducia infonderti! Riverenza per la presenza, devozione per la benevolenza, fiducia per la custodia. Sono presenti per proteggerti, sono presenti per giovarti. Anche se gli angeli sono semplici esecutori di comandi divini, si deve essere grati anche a loro perché ubbidiscono a lui per il nostro bene. Siamo dunque devoti, siamo grati a protettori così grandi, riamiamoli, onoriamoli quanto possiamo e quanto dobbiamo" (16).

Ciò di cui i Vangeli non parlano: il bue e l'asinello

I testi sacri non riferiscono questi particolari.
E' stata la religiosità popolare ad inserirli nel presepio.
I Vangeli non dicono neppure che Gesù è nato in una grotta. Parlano solo di mangiatoia: "Mentre si trovavano a Betlemme, si compì il tempo per sua madre, e Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia" (Lc., 2, 6 s.). Si è pensato che la mangiatoia si trovasse in una grotta e che lì vi fossero ricoverati anche animali.
Circa il ricovero nella grotta ne parla l'apologista Giustino (II sec.) applicando a Cristo le parole di Isaia "Abiterà in una grotta alta di pietra dura" (Is., 33, 16). Vi accenna anche il Protovangelo di Giacomo (anch'esso del II sec.) dove si legge: "Giuseppe trovò una grotta e vi condusse dentro Maria" (18, 1). Dell'esistenza di una grotta riferisce anche il Vangelo dello Pseudo-Matteo (13, 2). Origene afferma che ai suoi tempi era possibile visitare questa grotta. Costantino su quel luogo vi fece costruire una basilica chiamata da S. Girolamo Ecclesia Speculae Salvatoris.
La presenza di questi due animali cominciando dal IV secolo è stata una componente della iconografia. Li vediamo rappresentati sulle sculture dedicate alla nascita divina, sul sarcofago di Adelfia (capolavoro dell'arte paleocristiana in Sicilia, datato al IV secolo e scoperto nel luglio 1872), su quello di Arles (chiamato sarcofago della natività), ambedue del IV secolo, e su altri conservati nei musei vaticani (come sulla lapide del loculo di Severa, datata 330 circa), su parecchi quadri ed affreschi.
Con l'inserimento degli animali il sentimento della gente ha voluto probabilmente evidenziare il contrasto tra la freddezza ed il rifiuto umano (Maria e Giuseppe non hanno trovato nessun posto nelle dimore degli uomini) ed il conforto che invece Gesù ha trovato negli animali.
Lo scritto apocrifo 'Vangelo dello Pseudo-Matteo', ha inserito queste presenze nella nascita: "La beatissima Maria uscì dalla grotta e, entrata in una stalla, depose il bambino in una mangiatoia, e il bue e l'asino l'adorarono" (XIV, 1).
Eppure ci sono due brani del V.T. che possono per analogia essere applicati a queste presenze.
Il primo è del profeta Isaia: "Un bue riconosce il suo proprietario e un asino la greppia del suo padrone" (1, 3).
L'altro è del profeta Abacuc: "Il Signore sarà riconosciuto in mezzo a due animali" (3, 2, secondo la Versione greca dei LXX).
Non si deve inoltre dimenticare il significato simbolico che nell'immaginario collettivo avevano assunto questi due animali. L'antico Oriente ebbe per l'asino una grandissima stima. Inoltre nei Libri sacri induisti, il Rig-Véda, se ne parla come una cavalcatura riservata ad entità celesti, a principi, santi ed eroi. Così anche nella Bibbia è considerato la cavalcatura dei principi, e non un'animale di seconda categoria come si pensa oggi. Nel libro dei Giudici (5, 10) a riguardo dei Capi d'Israele si dice: "Voi che cavalcate asine bianche".
A sua volta il bue, simbolo di carattere pacifico e forza bonaria, è l'animale da lavoro per eccellenza, è il servo dell'uomo. Anche il nostro Carducci nella poesia Il Bove (1872) lo chiama 'pio' e prosegue: "E mite un sentimento di vigore e di pace al cor m'infondi".
Nel contesto religioso degli animali sacrificali, esso fu considerato la vittima pura (17).
Queste caratteristiche si riferiscono bene a Cristo: la presenza dell'asino potrebbe essere vista come la concretizzazione della regalità del Bambino mentre quella del bue lo stesso Bambino nella sua qualità di Servo (secondo Isaia) e di vittima per eccellenza che sarà immolata per la redenzione di tutta l'umanità.
Il Card. Ratzinger commenta: "il bue e l'asino "avevano il valore di sigla profetica dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, di noi che di fronte all'eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella notte santa sono stati aperti gli occhi, sì che ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore. Ma lo riconosciamo realmente?" (18).

Note

14) Karol Wojtyla, La bottega dell'orefice, Libreria Editrice Vaticana, 1978, p. 84.
15) Raniero Cantalamessa, I misteri di Cristo nella vita della Chiesa, Ancora, Milano 1992, p. 43.
16) San Bernardo, Discorso 12 in commento al Salmo 90.
17) Cfr. Louis Charbonneau-Lassay, Il Bestiario di Cristo, Ed. Arkeios, Roma 1994, vol. 1, p. 333-337 e 205-207.
18) Joseph Ratzinger, Immagini di speranza, Cinisello Balsamo, Milano 1999, p. 12.
http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=82&id_n=2145

Nessun commento: