Siamo a Kabul per salvare le nostre città
Renato Farina
Pubblicato il giorno: 20/08/09
L'Afghanistan non è solo l'Afghanistan. Le elezioni che ci sono lì proprio quest'oggi, gli attentati che cercano di impedirle, non accadono solo in Afghanistan. Se non capiamo questo, è inutile stare a parlarne, e non serve a niente occuparsene. Se noi stessimo rischiando la vita dei nostri soldati per consentire a Karzai di fare il tirannello asiatico parademocratico e pasthun, saremmo dei cretini al cubo, anzi dei delinquenti che fanno ammazzare i propri figli e fratelli per i disegni oscuri degli americani, da Bush a Obama. In realtà l'Afghanistan è sempre di più, in stretta unione di fatto con buona parte del Pakistan, il regno di Talibanistan. E - se vogliamo essere spiritosi un po' fuori luogo - Kabul è, per Osama e Al Qaeda, Binladonia come Topolinia per Topolino anche quando è in trasferta con Pippo.
Per questo la partita che si gioca nelle elezioni di queste ore sono un fatto tremendamente serio. Non riguardano appena i 17 milioni di potenziali elettori afghani, ma l'intero mondo. Se fossero una barzelletta senza sugo democratico, perché i talebani e i loro sodali di Al Qaeda spunterebbero con tanta forza contro questo voto? Perché comunque lì il popolo si esprime, e se va alle urne in una percentuale decente (diciamo il 40 per cento) vorrebbe dire che neanche le minacce e le esecuzioni tramite autobomba non distolgono la gente dalla volontà di sottrarsi ai padroni in nome di Allah.
I nostri alpini e la nostra folgore non sta in Afghanistan come i bersaglieri di Cadorna in Crimea per ordine di Cavour, un prezzo in uomini (più di 2000) e mezzi per far parte del circolo dei potenti. Oggi siamo ancora minacciati direttamente da questa organizzazione terroristico-religiosa globale a nome Al Qaeda. Essa ha il suo santuario in quelle regioni. Da quando non ha più uno Stato a disposizione non è riuscita a pianificare o almeno a realizzare un attentato paragonabile a quello dell'11 settembre. In Afghanistan la presenza degli eserciti occidentali è utile per presidiare territori e tenere occupate le milizie fondamentaliste, ed impedire anche che il Pakistan, dotato di circa 50 bombe atomiche, finisca sotto il controllo di Bin Laden. Già adesso nell'esercito e nei servizi segreti di Islamabad lo sceicco yemenita gode di considerazione, e quando Obama da Washington fa sapere di voler dialogare con i talebani moderati, in realtà cerca di indurre a patti i generali pakistani fondamentalisti e propensi a considerare il mullah Omar come un possibile Alleato, come lo fu fino a una decina di anni fa.
Mandando i soldati lì in realtà, un po' egoisticamente, difendiamo noi stessi e il nostro futuro. Ma è un egoismo sano e responsabile, perché oltre a salvare noi stessi preserva buona parte del mondo dalla catastrofe di un Regno Talebano, dove le vittime sarebbero innanzitutto le donne e i bambini. Le donne si sa perché: impossibilitate a studiare, a uscire di casa, vere schiave dei mariti-padroni. I bambini perché indottrinati, condizionati a essere plastilina modellata dai capiguerriglia.
Ovvio: la democrazia non si esporta. Esige un cambio di cultura. Ma che i capi si debbano eleggere non è un dato della democrazia occidentale, lo fanno anche nelle tribù africane, e la volontà di un uomo lo capiscono da ogni parte del mondo che non è fatta per essere conculcata. Per questo le elezioni sono importanti. Stabiliscono un metodo. Consentono un minimo di libertà nel progettare il futuro.
Si dirà: Karzai è lo stesso figuro che consente alle famiglie sciite di trattare le donne come tranquillamente stuprabili purché all'interno della casa? Sì, è lui. Non può piacere un tipo così. E bisognerà far valere il nostro peso morale e non solo morale con lui, anche riguardo alla libertà di religione e di coscienza che i cristiani lì non hanno. Ma qui non c'è da difendere Karzai, e le sue convinzioni infami magari dettate dal calcolo elettorale. Siamo da quelle parti per impedire la proliferazione della peste talebana.
Vincerà Karzai? Pare abbastanza scontato. Nonostante gli attentati mirino a impedire che si rechino ai seggi i votanti del Sud, quelli di etnia pasthun, in passato compattamente pro Karzai (al potere da cinque anni).
Il Ministero degli esteri aveva chiesto di evitare la diffusione di notizie riguardanti violenze tra le 6 e le 20 (ora locale) della giornata elettorale, in corrispondenza dell'apertura dei seggi, per «garantire l'ampia partecipazione» degli elettori al voto. Per fortuna gli americani hanno spiegato ai loro "protetti" che la democrazia non coincide con l'oscurantismo. Pur essendo la situazione seria e la paura palpabile: grave il fatto che per la prima volta le milizie talebane non si siano infatti limitate a chiedere il boicottaggio del voto ma abbiano minacciato di attaccare i seggi (secondo la Nato solo l'1% delle sedi elettorali rischierebbe di diventare l'obbiettivo di un attentato: ma questo dato basterebbe in tutto il mondo a stare a casa…).
Intanto, da Bruxelles la Commissione europea ha denunciato il rischio di «brogli elettorali».
Che comunque le elezioni mobilitino insospettabili energie, lo si capisce anche dal numero e dalla qualità dei candidati alla presidenza. Sono 41!
Di Hanid Karzai abbiamo detto, è pasthun, è un capo pragmatico, disponibile a compromessi anche coi talebani.
Il più pericoloso rivale di Karzai è l'oftalmologo Abdullah Abdullah, già ministro degli esteri, molto stimato quand'era in carica da Gianfranco Fini. L'ultimo sondaggio gli assegna il 26% dei voti, contro il 44% per Karzai. Era il braccio destro e consigliere politico del comandante Ahmad Shah Massud, impegnato contro i sovietici. Io tifo per lui, ma è difficile.
Con possibilità zero ma con molto coraggio (sono morte, lo sanno, e insistono) ci sono due donne candidate. Sono Frozan Fana e Shahla Ata. Lo slogan di Fana (40 anni) è: "pace e sicurezza, libertà di stampa e difesa della sovranità nazionale". È vedova di un ministro assassinato nel 2002. Ata ha 42 anni, che non pensa neppure lontanamente all'eventualità di indossare burqa. Allegra ed estroversa, si trucca gli occhi e si pittura le unghie. Che qui è un fatto politico.
Nessun commento:
Posta un commento