venerdì 7 novembre 2008

Obama non paga i supporters

LAVORO NERO
Andrea Morigi
Pubblicato il giorno: 07/11/08
Non è nemmeno spuntata la nuova alba della ridistribuzione della ricchezza ed ecco già le sue prime vittime.
Non sono i bianchi benestanti, conservatori e razzisti, ma i poveri negri che hanno lavorato per Barack Obama. E ora se ne pentono.
Ordinatamente in coda per ore davanti alla sede dei Democratici a Indianapolis, il mattino dopo la vittoria, diverse centinaia di persone quasi tutte di colore, reclamavano infuriate il pagamento per le attività svolte negli ultimi giorni di campagna elettorale: telefonate a tappeto e propaganda capillare.
Bravi, è stata dura, ma ce l'abbiamo fatta. È una svolta storica per il mondo.
In cambio, tanti complimenti e ringraziamenti per l'impegno profuso.
Soldi? No.
Passa la voce che li stanno fregando.
Tanto che, per evitare la rivolta degli schiavi, arriva anche la polizia della contea a transennare l'area. Se qualcuno osa comportarsi male, si manganella. È il nuovo corso.
Fino al giorno prima, gli slogan del senatore dell'Illinois affermavano che «il dissenso è patriottico». Raggiunto il potere, si cambia la parola d'ordine ed è troppo tardi per ripensarci. I militanti diventano volontari, come a Cuba, dove peraltro gli afro-americani sono stati esclusi dai privilegi della casta.i poveri illusi.
Senonché, arriva la stampa locale, non tutta asservita al nuovo regime a stelle e strisce. La tv Whtr.com riprende e manda sul web le testimonianze dei precari delusi. Si vedono facce e si sentono parlate da ghetto segregazionista, ma non mancano nemmeno i bianchi, soprattutto donne obese e uomini con la barba sfatta.
Non dei radical-chic, ma dei poveracci.
Dicono di credere ancora al sogno di Obama.
Ma avevano concordato una retribuzione minima per una prestazione temporanea: turni di tre ore di lavoro per un totale di 30 dollari, da corrispondersi mediante una carta di credito prepagata. Non volevano mica posto fisso, contributi, assistenza sanitaria o ferie. Solo quanto pattuito.
Poi il il sito Drudge Report rilancia la notizia e un po' lo scandalo che si amplia, un po' a forza di proteste, lo staff di Obama scuce un po' di grana. Mica tutta, però.
«Dovevo prendere 480 dollari. Me ne hanno dati 230», lamenta Imani Sankofa.
Neanche a Charles Martin tornano i conti: «Ci dovevano dare 10 dollari l'ora. Abbiamo calcolato tutto. Ho segnato tutte le ore e mi risultavano 120 dollari. Invece ne ho presi solo 90».
Randall Waldon gira e rigira la ricevuta fra le mani: «Ma come? Ho lavorato nove ore al giorno per quattro giorni e sono stato pagato la metà di quanto avrei dovuto guadagnare».
Mistero fitto su chi abbia intascato la differenza. C'è chi sospetta che magari si tratti di ritenute fiscali alla fonte. Obama come sostituto d'imposta.
Eppure lo aveva detto e ripetuto per mesi il candidato repubblicano John McCain: se non andrò io alla Casa Bianca, sicuramente le tasse aumenteranno. Facile previsione, benché non gli abbiano creduto in molti. Ma una svolta così repentina, nemmeno lui era stato in grado di prevederla.promesse mancate.
Chi non è soddisfatto è invitato a riempire un modulo. Avanza spedita la burocrazia. Pare che risponderanno ai reclami per posta elettronica o per telefono, tanto per non trovarsi più quella folla di straccioni fisicamente tra i piedi. Oppure, se vogliono, i precari delusi possono continuare a dare la colpa a Bush, alla crisi economica e agli sfruttatori del popolo che stanno a Wall Street. Non li consolerà, ma lo hanno già fatto gratis per due anni. Ora raccolgono quanto hanno seminato. Fra l'altro, è consigliabile abituarsi alle promesse mancate, durante i quattro anni di mandato presidenziale del loro beniamino.
Se invece avessero letto bene il programma del neo-presidente, si sarebbero accorti che la ricetta per rilanciare l'occupazione consiste nella creazione di 5 milioni di posti di lavoro "verdi". Tutti legati allo sviluppo di biocarburanti, di impianti non inquinanti, dell'energia rinnovabile. Ma siccome il debito pubblico è alto come non mai, l'unico "cambiamento" di colore in vista riguarderà le tasche dei lavoratori, che passeranno dal verde speranza al verde cupo.

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