giovedì 28 maggio 2009

Pur di abbattere l'odiato Silvio fanno appello pure alla Chiesa

mercoledì 27 maggio 2009, 07:00
TIRATI PER LA TONACA SU GOSSIP E VELINE
di Vittorio Macioce

Questo rumore che arriva da sinistra è davvero strano. Sembrano i colpi di un martello, qualcosa che viene da lontano. Qualcuno sta costruendo una fila di gogne, come nel New England puritano del XVII secolo. Questa lunga schiera di intellettuali, moralisti, filosofi, ex magistrati, salottieri, imbonitori televisivi, e vecchie laiche con il rosario in mano, camminano pregando e imprecando dalle parti di Salem. Tutti vestiti di nero, con le facce di circostanza, in attesa di una bolla papale, delle parole di un vescovo, di un segno divino.La Chiesa che fa? Parla o non parla?
Qui serve una botta di morale. Signori della corte, tutti in piedi, è cominciata la caccia alle veline. Noemi e le altre. Tutte le donne dello scandalo, quelle senza vergogna, quelle con il book e le tette di fuori, quelle che sognano Amici, quelle che puzzano di periferia, si riflettono su youtube e si raccontano su Facebook, quelle truccate a 16 anni, con l’accento di Casoria o di Pioltello, quelle con i padri con la coda di cavallo, loro, tutte loro, queste streghe del XXI secolo che stanno mandando in malora il buon nome dell’Italia. Che fa la Chiesa parla o non parla?
I bravi cittadini di Salem sono impazienti. Queste svergognate meritano una punizione, magari una bella V scarlatta disegnata sul corsetto. V come velina. V come vendetta. V come venduta. V come volgare. V come vanity. V come vergogna. V come verrà il giorno. V come Vade retro Satana. V come vip, very important p. Ma questa volta p non sta per persona.La sinistra di Salem può dare sfoggio della sua casta e dotta morale. Berlusconi e le veline sono tutto ciò che loro odiano. E allora via in processione dietro Dario Fo, il vecchio giullare vestito da Savonarola. Tutti a salmodiare Famiglia Cristiana, che punta l’indice contro l’Italia delle veline e delle vallette, figlie di una «vita truccata», sgualdrine di un’emergenza nazionale che inquina anche la politica. Tutte al rogo signorine, nude, scalze e fustigate. Manca solo la bolla papale.Che fa la Chiesa, parla? Parla Bagnasco, il capo della Cei, il monsignore dei vescovi italiani. Il cardinale parla di modelli che uccidono l’anima e di giovani senza speranza. Ma ai quotidiani di Salem tutto questo non basta. L’Unità tira il prelato per la tonaca. Troppo tiepido sulla morale. Troppo generico: «Neppure un cenno alla cultura delle veline». Qui servono nomi e cognomi. Serve una bella V scarlatta, sul corpo ignobile delle veline. Chi se ne frega di tutto il resto. Bagnasco parla della crisi? Non è questo il problema. I precari? Si arrangino. Gli operai? E chi sono? Noi siamo l’Unità, il sacro foglio dei puritani, mica il giornale fondato da Gramsci. La laicità? Una bufala. L’emergenza è un’altra. L’emergenza sono le veline. L’emergenza è Berlusconi. Santità basta una parola e il mondo sarà salvato.
La sinistra di Salem ora ha bisogno della mano di Dio. Il Papa, un profeta, Maradona: va bene tutto. Intervenire è un dovere cristiano. Queste sono cose serie. Mica si parla di embrioni, aborto, Eluana e faccenducole di questo genere. Qui non è in ballo la vita, ma qualcosa di molto più sacro. Qui c’è Berlusconi da cacciare da Palazzo Chigi. Qui c’è la morale di una nazione minacciata dalle cosce di queste ragazzotte. Qui serve una crociata vera, seria. Non quel monsignor Crociata che ieri si è limitato a dire: «Ognuno ha la propria coscienza». Scherziamo? Questi non sono mica affari di famiglia. Storie private. Privacy. Peccati da confessionale. Qui c’è l’anima di Berlusconi da mandare al rogo. Lui, i suoi valori, la televisione, i suoi modelli culturali, il suo potere e le sue veline. Non sentite come battono i martelli di Salem? Questa è una vendetta attesa quindici anni.

È la rabbia dei boniviri, la casta dei custodi del Novecento, con i loro partiti, i loro intellettuali, le loro verità sacre e inviolabili, la loro cultura cristallizzata, che non ha mai perdonato a Berlusconi di aver vinto, di aver sparigliato le carte, di aver cambiato la storia. La sinistra di Salem si è arroccata nella sua cittadella e disprezza tutto ciò che non gli assomiglia, soprattutto i barbari. Questa nuova cultura che Baricco, con intelligenza, si rifiuta di giudicare decadente. I barbari non sono peggiori dei sacerdoti del Novecento. Sono un’altra cosa. E quelle veline di periferia, che a Salem tanto detestano, non sono streghe da marchiare a fuoco.

Ma forse il problema non è neppure questo. Il problema, sempre a Salem, è questa democrazia che si ostina a premiare Berlusconi. Sono i voti, il consenso, che va dalla parte sbagliata. Il problema è come abbattere l’anomalia. E allora tutto può servire. Anche il moralismo. Anche la commissione della Bonino, le domande di Repubblica , gli anatemi di Di Pietro, le punizioni divine, le prediche di Franceschini e le scomuniche della Chiesa. Quella che un tempo doveva tacere. Tutto, proprio tutto, può servire. Perfino una lettera scarlatta.

mercoledì 27 maggio 2009

A Fini

26 Maggio 2009
Un centinaio di domande
Arriva dal Movimento sociale, fa il presidente della Camera, sogna una destra che non si chiami “destra”, ma che sia comunque “nuova”. Chi è Gianfranco Fini? Cosa fa? Dove va? E soprattutto: dovunque vada, troverà posto?
di Emanuele Boffi
Il quotidiano Repubblica ha posto dieci domande al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Per non essere da meno, Tempi rivolge cento domande – esagerati! – al presidente della Camera Gianfranco Fini. Diversamente dal giornale di Largo Fochetti, nessun quesito ha risvolti pruriginosi, ma solo qualche lieve curiosità aneddotica s’intrufola in una lista, sostanzialmente, politica. Come dice e scrive Giuliano Ferrara, la “conversione” di Fini è interessante. Tutte le conversioni sono interessanti, perché sono uno shock rispetto a un ordine prestabilito, a un già saputo, a una tradizione. Però ogni cambio di rotta necessita di uno sforzo di spiegazione, di narrazione, di motivazione – e questo vale per tutti, che si sia laicisti o bapapile. Si parla molto durante la vita e si prende posizione via via che la vita ci interroga. I motivi per cui si sostiene qualcosa possono essere rintracciati nel vissuto, nel pregresso, nella storia. Ma se si contraddice quel che si sosteneva fino al giorno prima, sarà pur necessario spiegare lo scarto, o no? Tempi non crede che Fini sia diventato “di” sinistra, però un po’ “de” sinistra lo è diventato.
1. O no?
2. Gianfranco Fini, nato a Bologna il 3 gennaio 1952, è tifoso del Bologna?
3. Lei ha partecipato alla festa dei venticinque anni di Vola Lazio vola, inno della squadra, con i tifosi e il presidente Claudio Lotito all’Auditorium di Roma in data 26 marzo 2009. Quindi tifa Lazio?
4. Spesso le sue parole collimano con quelle del presidente Giorgio Napolitano. Daniela Santanchè ha detto che lei mira a «salire al Quirinale». Solo cattiverie?
5. Lei rifiuta di definire il Pdl un partito di destra. Se non è di destra, di che cos’è?
6. Di centro?
7. Di sinistra?
8. Ha detto che il Pdl deve essere un partito arioso e plurale?
9. Cosa significa «arioso e plurale»?
10. E a chi si dovrebbe contrapporre?
11. Al Pam, Partito asfittico e monolitico?
12. Giornali. Titolo in prima pagina dell’Unità del 19 maggio: “Fini: no a leggi orientate dalla fede. La destra lo attacca”. Unità, Fini, destra. Dov’è l’errore?
13. Eugenio Scalfari, commentando il suo intervento al congresso del Pdl (“Meno male che Fini c’è”), l’ha chiamata «“compagno” Fini». Compagno?
14. Il Giornale, 19 maggio, pagina 1: «“Terrò il tema dell’immigrazione fuori dalla campagna elettorale”, ha annunciato Fini. Dunque, il presidente della Camera farà campagna elettorale. Non ha specificato per chi». Si sente attaccato dai giornali berlusconiani?
15. Giorgio Bocca ha scritto sul Venerdì di Repubblica che tra lei e Berlusconi c’è un «gioco (collaudato) delle coppie». Siete d’accordo a non essere d’accordo?
16. Filippo Ceccarelli su Repubblica si è chiesto a quale tipo di destra lei miri. «Destra dei diritti?».
17. «Destra Repubblicana?».
18. «Destra sarkozista?».
19. «Destra costituzionale?».
20. «Destra riformista?».
21. E poi ha concluso: «Una destra, insomma, vattelapesca». A quale fra queste pensa?
22. Angelo Panebianco sul Corriere della Sera (“Il paradosso del nuovo Fini”) si è chiesto se le sue svolte le porteranno voti. Le porteranno voti?
23. Si legge sui giornali che lei ha sostituito i suoi storici e fedelissimi colonnelli La Russa, Gasparri, Matteoli con parlamentari provenienti da An quali Perina, De Angelis, Granata, Bongiorno, Moffa, Frassinetti, Malgeri, Raisi, Lo Presti, Laboccetta. Vero?
24. È vero che concorda con loro la presentazione di emendamenti o iniziative in linea con i suoi ultimi pronunciamenti in materia di diritti civili, questioni bioetiche, immigrazione?
25. Uno di loro, Granata, ha detto: «Noi siamo la sinistra del Pdl». Lei è il capo della sinistra del Pdl?
26. Lei è un grande fumatore, e questo le fa onore. Avrà mai una conversione salutista?
27. Nel suo ultimo libro, Il revisionista, Giampaolo Pansa scrive che lei fu infastidito dal successo del suo Il sangue dei vinti. È vero?
28. Sempre ne Il Revisionista Pansa, ricordando la sua condanna della Repubblica sociale di Salò, dice che il suo gesto è stato «coraggioso», ma «non preceduto da alcun confronto all’interno del partito». È vero?
29. Secondo Pansa lei si è comportato come i comunisti dopo il 1989: «Devo fare un nome per tutti? Veltroni. Lui giurava addirittura di non essere mai stato comunista». Lei è come Veltroni?30. Sempre Pansa ha detto che se Veltroni è stato l’uomo del “ma, anche”, lei è l’uomo del “sì, però”. Come risponde?
31. Dice ancora Pansa che «i militanti in An non hanno smesso di pensarla come la pensavano prima di Fiuggi». È vero?
32. Se non devono pensarla più «come prima di Fiuggi», come devono pensarla?
33. Lei ha incontrato le associazioni del mondo omosessuale: Arcigay, Circolo Mieli, Arcilesbica, Gay Project e Gaylib. «Quelle omosessuali – ha detto – sono tendenze affettive che vanno protette». L’Arcigay protegge gli omosessuali da cosa?
34. Pagella scolastica dell’alunno Fini Gianfranco, anno scolastico 1966-67, V ginnasio, Liceo ginnasio L. Calvani, Bologna: Italiano: 5. Latino: 5. Greco: 4. Francese: 4. Esami di settembre: assente. Bocciato. Però l’anno seguente tutti 7 e 8 all’istituto magistrale Laura Bassi e l’esonero totale dalle tasse scolastiche per merito. Che accadde?
35. Come motiva la sua “conversione” scolastica?
36. Lei ha detto che la legge sul testamento biologico preparata dal Pdl è «una legge che impone un precetto. È più da Stato etico che da Stato laico».
37. Qual è l’unico Stato etico conosciuto dalla storia italiana?
38. Lo Stato fascista?
39. Sandro Bondi ha detto che il Pdl è nato nel consiglio dei ministri in cui si è deciso di intervenire sul caso Englaro. Lei non c’era. Lei non c’entra con la nascita del Pdl?
40. A proposito del caso Englaro lei ha detto di «non avere certezze né religiose né scientifiche, ma solo dubbi uno su tutti: qual è e dov’è il confine tra un essere vivente e un vegetale?». In caso di dubbio, quindi, non sarebbe meglio applicare il principio di precauzione?
41. Oppure Eluana era un vegetale?
42. Se era un vegetale perché la mattina in cui è stata trasferita dall’ospedale di Lecco, dove era curata dalle suore Misericordine, alla Quiete di Udine ha tossito?
43. I vegetali tossiscono?
44. Poiché le suore hanno dato la loro disponibilità a curarla, perché non lasciarla loro?
45. è stato meglio affidarla ai medici che l’hanno uccisa?
46. Giusto che i giudici abbiano ricostruito la sua volontà in base a testimonianze non attuali?
47. Giusto che i giudici abbiano ricostruito la sua volontà scartando le testimonianze di chi giurava sulla sua volontà di vivere?
48. Lei ha dichiarato che «solo i genitori di Eluana hanno il diritto di fornire una risposta sulla vita della figlia». Lasciar morire di fame e sete è un diritto?
49. Non dare da bere è un diritto?
50. Non dare da mangiare è un diritto?
51. Il politologo Alessandro Campi, considerato a lei vicino, ha detto a Liberazione (21 marzo) che «prima dello sdoganamento di Berlusconi, l’unico interlocutore del Msi fu Marco Pannella. Se oggi Fini riscopre quelle suggestioni lo fa anche nel solco di quel dialogo». Conferma?
52. La Fondazione Farefuturo di cui lei è presidente ha scritto a proposito del recente digiuno di Pannella che «siamo tutti figli dei suoi digiuni». Tutti?
53. Figli?
54. Grazia Francescato, portavoce dei Verdi, ha detto che lei sulla questione degli immigrati «è più a sinistra di Rutelli e Fassino». Condivide?
55. Lei ha dichiarato che la legge sull’immigrazione Bossi-Fini «ha bisogno di alcuni correttivi». L’opposizione ha preso la palla al balzo e ha detto che «la legge Bossi-Fini non funziona». La Bossi-Fini non funziona?
56. Lei ha detto che occorre «tutelare il diritto d’asilo» durante i respingimenti. Ha letto la dichiarazione al Messaggero dell’ambasciatore libico Hafed Gaddur: «La richiesta d’asilo è diventata una scusa. Perché un uomo che ha diritto allo status di rifugiato dovrebbe imbarcarsi su un gommone e rischiare la vita in mare se può presentarsi all’ambasciata italiana a Tripoli e chiedere asilo?».
57. Ha scritto Avvenire: «Pare proprio che la risposta migliore all’auspicio di Gianfranco Fini per leggi “non orientate da precetti di tipo religioso”, l’abbia data il suo omonimo, presidente della Camera, che appena tre mesi fa ebbe ad auspicare “una laicità non certo aggressiva nei confronti della religione, aliena da degenerazioni laiciste ed anticlericali, aperta al riconoscimento del ruolo attivo e positivo della Chiesa nella società italiana. Una laicità dello Stato che deve però tenere conto che viviamo in un Paese la cui storia è inestricabilmente intrecciata alla vicenda del cristianesimo e della Chiesa romana, perché si possa minimamente immaginare un reciproco disinteresse” (G. Fini, Lettera a La Repubblica, 19/2/2009). L’auspicio è che i due si parlino». Si sono parlati?
58. «Il parlamento deve fare leggi non orientate da precetti di tipo religioso», non è un’ovvietà?59. Paolo Flores D’Arcais commentando la sua frase ha scritto sulla Stampa: «È un’ovvietà in democrazia, ma non in teocrazia». Viviamo in una teocrazia?
60. Quali sono oggi in Italia le leggi orientate da precetti religiosi?
61. Ne può citare almeno una?
62. Oppure dobbiamo pensare che il reato di assassinio è orientato dal precetto “non uccidere”?63. Ma le leggi non nascono forse in parlamento?
64. Altrimenti il parlamento che ci sta a fare?
65. O forse voleva dire che il parlamento, di cui lei è massima carica, fa leggi vaticane?
66. Quindi lei presiede un’assemblea eletta dai cittadini italiani che lavora per il Vaticano?
67. Sulla legge sul testamento biologico lei ha detto che è «una cattiva legge che lede i diritti di libertà». Quali diritti?
68. Quelli di non poter rifiutare idratazione e nutrizione?
69. Si è liberi di suicidarsi, ma esiste un diritto al suicidio?
70. Se l’Italia fa una legge in cui ci si può suicidare per diritto, significa che questa legge non è orientata religiosamente?
71. La legge 40 sulla fecondazione assistita che lei sostenne e votò, è orientata in senso religioso?72. Lei ha votato, promosso, sostenuto una legge orientata in senso religioso?
73. Se una legge non piace si può chiedere un referendum per abrogarla. Lei, infatti, al referendum sulla legge 40, votò tre sì. Il referendum ebbe il 75 per cento di astensione. Significa che al 75 per cento degli italiani non interessa se abbiamo leggi orientate religiosamente?
74. Se la legge 40 è una legge «orientata religiosamente», perché la Chiesa non ammette la fecondazione assistita?
75. La Chiesa fa leggi contro se stessa?
76. Oppure la Chiesa è capace di orientare le leggi, ma non quelle «orientate religiosamente?».
77. Ricorda chi scrisse questa frase: «La proposta di legge sulla procreazione assistita (...) rappresenterà il segno concreto che la politica non rinuncia ad assumere le sue responsabilità sui dati fondamentali della vita sociale e civile»?
78. Ricorda chi scrisse questa frase: «Alleanza nazionale è una forza politica il cui orizzonte di principio coincide con i cardini essenziali del diritto naturale»?
79. Ricorda chi scrisse che «la Destra (in maiuscolo nel testo, ndr) italiana continuerà a lavorare (...) per una legge che non assecondi acriticamente l’avanzamento della tecnica, ma aiuti in concreto la donna e l’uomo che soffrono, nel rispetto del nascituro»?
80. Ricorda che tutte le suddette frasi comparvero sull’Avvenire il 21 luglio 1998 a firma Gianfranco Fini?
81. Il 2 febbraio 1999, giorno in cui alla Camera iniziava l’esame sulla legge, comparve sul Corriere della Sera un articolo: «Questa posizione non deriva da suggestioni confessionali, dal momento che non è la fede ma la natura che affida a un atto personale e cosciente la trasmissione della vita». Chi lo scrisse?
82. Si leggeva inoltre: «Ciò non significa discriminare le convivenze: significa che la convivenza non si può equiparare in tutto e per tutto alla famiglia, così come è descritta dalla costituzione». Chi lo scrisse?
83. Si leggeva ancora: «Va tutelata la vita umana sin dal concepimento, impedendo la distruzione degli embrioni». Chi lo scrisse?
84. Si leggeva da ultimo: «È noto che così cesserebbero gli affari multimiliardari di chi finora ha approfittato del Far West della biogenetica». Chi lo scrisse?
85. Quell’articolo era titolato: “Una lettera di Fini”?
86. In data 31 maggio 1999 fu pubblicato sul Corriere della Sera un articolo sulla legge sulla fecondazione assistita in cui si leggeva: «Chi ha votato a favore del testo non lo ha fatto per ragioni confessionali». Chi lo scrisse?
87. Si leggeva inoltre: «Non è un dogma di fede, bensì una constatazione scientifica che la vita umana, unica, indivisibile e irripetibile, esiste a partire dal concepimento». Chi lo scrisse?
88. Si leggeva di seguito: «Negare l’umanità del concepito non significa essere laici: vuol dire chiudere gli occhi di fronte alla realtà; peggio: equivale ad aprire la porta al nuovo totalitarismo». Chi lo scrisse?
89. Si leggeva infine: «Quando si consente la crioconservazione e la distruzione degli embrioni soprannumerari, (...) è possibile, in nome del compromesso, cedere sulla vita anche di un solo essere umano?». Chi lo scrisse?
90. L’autore, Gianfranco Fini, basava i suoi ragionamenti su dogmi di tipo etico-religioso?
91. La Fondazione Farefuturo, di cui lei è presidente, a proposito delle possibili candidature di veline nelle liste del Pdl ha espresso forti perplessità. Ha scritto Sofia Ventura: «La cooptazione di giovani, talvolta giovanissime, signore di indubbia avvenenza ma con un backgound che difficilmente può giustificare la loro presenza in un’assemblea elettiva come la Camera dei deputati o anche ruoli di maggior responsabilità non è il modo per risolvere il problema della presenza femminile nei luoghi della politica». Nelle elezioni Europee 2004 nella circoscrizione Sud e Isole fu candidata nelle liste di An la cantante Marcella Bella. La signora Bella aveva il giusto background per giustificare la sua presenza sugli scranni del parlamento europeo di Strasburgo?
92. Ha scritto Ventura: «Siamo di fronte ad un modo di fare politica con il corpo delle donne». Alle Europee 2004, fu candidata da An nella circoscrizione centro Solvi Stubing, mai dimenticata protagonista del carosello “Chiamami Peroni, sarò la tua birra”. In quel caso fu fatta politica col corpo delle donne?
93. Solvi Stubing aveva l’adeguato background per giustificare la sua presenza sugli scranni del parlamento europeo di Strasburgo?
94. Ha scritto Ventura: «Questo uso strumentale del corpo femminile denota uno scarso rispetto di quanti hanno conquistato uno spazio con le proprie capacità e il loro lavoro, dall’altro per le istituzioni e per la sovranità popolare che le legittima». Alle Europee 2004, fu candidata da An nella circoscrizione centro la showgirl Clarissa Burt, da poco reduce dal reality La Talpa. In quel caso An fece un uso strumentale del corpo femminile?
95. In quel caso fu fatta politica col corpo delle donne?
96. La partecipazione alla Talpa costituisce un adeguato background per affrontare gli scranni del parlamento di Strasburgo?
97. Lei ha detto a proposito dell’articolo di Fare Futuro che proponeva «valutazioni comprensibili, ma eccessive e pertanto non totalmente condivisibili». Quali quelle condivisibili?98. Perdoni la curiosità: ci dice perché indossa spesso una cravatta rosa?
99. Il rosa è un rosso attenuato. È un messaggio subliminale?
100. Risponde?
http://www.tempi.it/prima-linea/006791-un-centinaio-di-domande

SCOOP ! by Sarcastycon


martedì 26 maggio 2009

Volevano uccidere Berlusconi

Lunedí 25.05.2009 22:00
Caso Noemi/ Il ministro Rotondi ad Affaritaliani.it: volevano uccidere Berlusconi"
Formulo il legittimo sospetto che vi sia stato un gruppo di intelligenza che si è dato l'obiettivo di indirizzare al premier un'accusa infamante e di fare in modo che a formularla fosse la moglie. Certamente il fine era far cadere il governo. Il gruppo di intelligenza non ha sparato per ferire Berlusconi, ma per ucciderlo". E ancora: "Per carpire un movimento così innocente ma riservato e causare tutto questo sono autorizzato a sospettare che il premier sia seguito da mesi". Il ministro dell'Attuazione del Programma di Governo, Gianfranco Rotondi (Pdl), sceglie Affaritaliani.it per denunciare "la congiura" contro Silvio Berlusconi sul caso Noemi.
"Noto una circostanza che nessuno ha evidenziato. Come mai una giornalista di un quotidiano nazionale si trova a una festa privata alla quale partecipa il premier? Da una parte quel giornale dice che la sua partecipazione era segreta e d'altra parte aveva l'inviato dedicato. E' un primo punto di domanda. Secondo: la reazione della signora Berlusconi, verso cui tutti noi abbiamo il massimo rispetto, è avvenuta alle ore 22:08 del giorno in cui Repubblica ha pubblicato l'articolo. In quelle dodici ore evidentemente è avvenuto qualcosa d'altro, perché non c'è stata una reazione alla lettura dell'articolo ma una reazione, senz'altro di getto, ma non con riferimento all'articolo. E allora formulo il legittimo sospetto che vi sia stato un gruppo di intelligenza che si è dato l'obiettivo di indirizzare al premier un'accusa infamante e di fare in modo che a formularla fosse la moglie. Con il doppio obiettivo: renderla attendibile e dargli il massimo della pubblicità. Certamente il fine era far cadere il governo, non ho alcun dubbio in proposito. Il gruppo di intelligenza non ha sparato per ferire Berlusconi, ma per ucciderlo".
L'esponente del Popolo della Libertà sottolinea: "A differenza del Centrodestra, anche se il teatro è Napoli, non prendo questa vicenda a taralucci e vino. Non è una vicenda da sottovalutare. La accosto a tre casi: Montesi-Piccioni, Cossiga-Donat-Cattin e Leone-Cederna. In tutti e tre i casi si è saputo che i giornali e i giornalisti erano solo strumenti incolpevoli e inconsapevoli, quindi non sto attaccando Repubblica la sto difendendo. La regia di questa operazione è nell'ombra e non riguarda né Repubblica né la sinistra italiana. Di questo ne sono convintissimo".
La regia sta all'estero? "Non sono in grado di dirlo. La cosa importante di cui mi assumo la responsabilità è che non credo alla favoletta del giornalista che passa di lì, di una banale festa di 18 anni che viene presentata per quello che non è e di una scenata di gelosia. Forse ci possono cascare tutti i protagonisti della vicenda, ma io no. Chi come me ha posseduto l'archivio segreto della Democrazia Cristiana si permette di parlare con un pizzico di professionalità in più. Questa è una congiura, come molte ci sono state - alcune non conosciute - nella storia della Dc. Di fronte a un premier che viaggia verso il record storico di durata, di popolarità e di risultati di governo vi è stato un gruppo di intelligenza che ha voluto colpirlo al cuore e quel po' che resta della gloriosa tradizione democratica del Partito Comunista farebbe benissimo a fare una riflessione più seria su quanto è avvenuto. Certamente per carpire un movimento così innocente ma riservato e causare tutto questo, sono autorizzato a sospettare che il premier sia seguito da mesi. E che alla prima occasione in cui la verosimiglianza poteva far accadere l'incidente questo è avvenuto. La mia convinzione è che si tratti di una cosa molto seria". Servizi segreti deviati? "Non faccio congetture, dico che tecnicamente una cosa del genere si fa e riesce solo con strumenti che non sono né di Repubblica né dei pettegolezzi del Palazzo".
E a questo punto? "Ci vuole la consapevolezza della gravità di quello che è successo, poi le riflessioni appartengono alla responsabilità di ciascuno. Io do voce a quello che nel Palazzo molti pensano, poi ognuno ha paura a parlare perché non è una cosa da poco e se si ritiene che il presidente del Consiglio sia indifeso... ognuno ha il diritto di sentirsi indifeso".

e vissero felici e contenti

Quando sento parlare i grandi della terra come si usa impropriamente dire, mi sorge il dubbio che tanto grandi non siano se riescono a dire una valanga di stupidaggini da far ridere i polli.
Netaniahu va da Obama e cosa gli dice l'uomo piu' importante della terra? Il Presidente della piu' grande potenza del mondo? Gli dice la frase piu' disgustosamente retorica, stupida e falsa che bocca umana possa pronunciare riferendosi al Medio Oriente:
"Israele e i palestinesi dovranno vivere fianco a fianco, in pace e sicurezza!"
"Side by side in peace and security".
E da Israele e' partita una gran risata. 5 milioni e rotti di risate.
Fianco a fianco, in pace e sicurezza? Peace and Security?
Ma dove, ma quando, ma come?
Ma mister Obama lei sa quello che dice? Non si tratta di una favola, Mister Obama, non e' una storiella cui nemmeno le sue figlie crederebbero, e' una cosa seria, e' la sopravvivenza di Israele in gioco.
La fine della storia, la nostra storia, non sara' "e vissero felici e contenti" se voi grandi non cambierete atteggiamento nei confronti dei palestinesi e della Lega Araba. La storia, la nostra storia, finira' ancora una volta in tragedia e noi abbiamo gia' dato a sufficienza, glielo posso assicurare.
Mister Obama, con tutto il mio rispetto e la mia simpatia, lei non puo' raccontare barzellette sulla tragedia di due popoli, si, dico due popoli perche' , per colpa di un mostro di nome Arafat che ha reso la sua anima al demonio solo nel 2004, nemmeno i palestinesi si sono divertiti in questi ultimi 60 anni. I palestinesi soffrono, come noi, da Arafat in giu', perche' nemmeno Abu Mazen scherza in perfidia e quell'altro laggiu' a Gaza, Hannaye', che vive ammazzando palestinesi, rubando ai palestinesi, tenendoli in ostaggio tanto e' sicuro che il mondo dà la colpa a Israele e ne approfitta esattamente come faceva il Mentore di tutti i mostri, l'Arraffa di cattiva memoria.
Mister Obama, come dovrei chiamarla, Hussein o Barak? Dipende?
Mister Obama, i palestinesi vogliono la pace e la sicurezza , peace and security, eliminando Israele e lo dicono chiaro e tondo. Possibile che lei non lo capisca? Possibile che nemmeno il Santo padre lo abbia capito quando e' venuto qui a dissertare contro "il Muro" che a noi dà la vita e, si, la sicurezza.
E' mai possibile che non capiate niente voi grandi del mondo?
I palestinesi vogliono:
1. Far entrare in Israele tutti i profughi palestinesi attualmente viventi, senza diritti umani ( ma nessuno ne parla), nei paesi arabi. L'URNWA stessa si e' fatta una legge ad hoc e cioe' che i palestinesi sarebbero stati, unico popolo al mondo, profughi a vita e per diritto ereditario.
Roba da chiodi, vero Mister Obama?
Si , roba da chiodi, ma in base a quella legge i circa 600mila arabi di Palestina, fuggiti per suggerimento arabo da quello che sarebbe diventato Israele e moltiplicatisi come i pani e i pesci, all'infinito, dovrebbero rientrare in Israele.
Quanti sono, Mister Obama? Nessuno lo sa, si pensa qualche milione.
I palestinesi vogliono:
2. Gerusalemme est , con la citta' vecchia e tutti i luoghi santi, capitale del futuro stato di Palestina.
Vediamo, Gerusalemme non e' mai stata una citta' araba, men che meno palestinese visto che i palestinesi si sono autoinventati abbastanza recentemente allo scopo di dar fastidio a Israele commuovendo il mondo col loro, inventato, stato di poveri palestinesi che lottano contro i perfidi giudei per riavere una terra che non e' mai stata palestinese.
E lo sa, Mister Obama, cosa significherebbe dare Gerusalemme ai palestinesi? Significherebbe perdere l'accesso ai Luoghi Santi per cristiani ed ebrei.
E lo sa, Mister Obama, cosa ancora? Dal 1967 gli arabi di Gerusalemme sono aumentati del 291%. Si rende conto cosa significa? Significa che in altri 40 anni tutta Gerusalemme sara' araba, i Luoghi Santi trasformati in moschee, il Muro del Pianto riavra' ad esso appoggiate le latrine pubbliche come durante l'occupazione giordana.
Oltre agli eterni profughi da insediare in Israele e a Gerusalemme Capitale, i palestinesi vogliono che Israele dimentichi tutte le guerre con cui fu aggredita e contro le quali vinse alla grande e ritorni alle linee armistiziali del 48/49.
Benissimo, accontentiamoli, poi uno sputacchio, un semplice sputacchio, mister Obama e ci buttano in mare, sempre se prima non ci avra' fatti diventare cenere quel Ahmadinejad cui lei fa l'occhiolino almeno una volta alla settimana e che le risponde regolarmente a calci negli stinchi.
Peace and Security, side by side, eh? Mister Obama...Hussein....
Giu' i muri, eh Santo Padre?
E poi?
Ma perche' ci volete tanto male? Perche' in nome di una finta pace volete ancora e ancora e ancora sacrificare gli ebrei! Perche'? Siamo stati il popolo piu' perseguitato della terra. Basta!
Lasciateci vivere, lasciateci in pace. Basta!
Perche' non ha il coraggio, o uomo piu' potente del mondo, Mister Obama, di dire ai palestinesi di andare al diavolo e di accontantarsi di avere quello che USA e Israele sono pronti ad offrirgli, soprattutto tenendo conto che prima era il nulla che possedevano.
Perche' il Papa non ha avuto il coraggio di dire che e' quel muro che salva la vita degli israeliani e che restera' alto nel cielo fino a quando le belve non si saranno esaurite?
Perche' siete sempre pronti a darci addosso?
Mister Obama, fra qualche giorno verra' a trovarla anche Abu Mazen che le spiattellera' le sue pretese e le elenchera' i suoi no, innumerevoli no, ad ogni proposta di peace and security, la prego, Mister Obama, dimentichi di chiamarsi Hussein e pensi di chiamarsi semplicemente Barak che in ebraico significa fulmine e sappia trovare il coraggio di incenerire con le sue parole quel negazionista ed ex terrorista travestito da agnellino.
Sappia rispondere con dei NO alle sue richieste assurde perche' solo prendendo le difese di Israele e del suo diritto alla sicurezza, perche' la pace e' meglio lasciarla nei bigliettini dei Baci Perugina, si potra' sperare in un futuro. Finche' liscerete il pelo ai terroristi non si arrivera' da nessuna parte.
Ahhh, mister Obama, un' ultima cosa, si ricordi ogni tanto, tra un discorso su Guantanamo e l'altro e lo sforzo di dare una vita migliore ai terroristi ivi reclusi, si ricordi, dicevo, che un ragazzo di 19 anni , di nome Gilad, e' stato catturato dai palestinesi tre anni fa e da allora nessuno ne ha notizia e pochi nel mondo ne parlano...sa e' solo un ragazzo ebreo.
Non era un terrorista, mister Obama, era un ragazzo che non aveva ancora sparato un solo colpo per difendere il suo Paese, lo hanno preso e da quel giorno Gilad e' sepolto .... si spera vivo....tra le sabbie di Gaza.
Se lo ricordi mister Obama.......Hussein, ooops, mi scusi, volevo dire Barak, Barak Obama!
Il nostro ragazzo si chiama Gilad Shalit, oggi ha 22 anni e da tre anni non vede un essere umano e non sa niente del suo Paese e dei suoi famigliari.
Gilad, Gilad Shalit! Non lo dimentichi.
Grazie Mister Obama!

Deborah Fait
www.informazionecorretta.com

Obama Obama .....

Usa, si riaccende il dibattito sulle politiche antiterrorismo

Roma, 25 mag (Velino) - In America si è riacceso il dibattito su Guantanamo, sulla detenzione dei terroristi e sui metodi di interrogatorio della Cia, e in generale sulle politiche anti-terrorismo e la sicurezza nazionale. La settimana scorsa il Senato Usa ha negato a Obama i fondi richiesti per chiudere Guantanamo e trasferire alcuni dei più pericolosi detenuti in prigioni americane. In un discorso pronunciato giovedì scorso il presidente ha cercato di spiegare cosa intende fare. Dopo pochi minuti, intervenendo a un incontro organizzato dal think tank neoconservatore "American Enterprise Institute", l'ex vicepresidente Dick Cheney ha replicato, difendendo l'operato dell'amministrazione Bush e attaccando le scelte di Obama sulla sicurezza nazionale. La diretta tv dei due discorsi, uno dietro l'altro, ha creato un effetto-dibattito.
Obama ha spiegato di voler mantenere la sua promessa di chiudere Guantanamo, anche se rimane aperto il problema di dove trasferire i 241 terroristi ancora detenuti. Cinque le possibili soluzioni indicate dal presidente. Quelli che hanno organizzato o partecipato ad attentati, saranno giudicati da tribunali federali e detenuti in penitenziari di massima sicurezza. Alcuni verranno processati da tribunali militari "perché hanno violato le leggi di guerra"; altri saranno rilasciati; una cinquantina "saranno consegnati ad altri paesi". Tra questi, due dovrebbero finire in Italia. Si è parlato di due tunisini che gli Stati Uniti avrebbero chiesto all'Italia di prendere in consegna: Riadh Nasri e Moez Fezzani, indagati nel 2007 dalla Procura di Milano perché accusati di essere stati i punti di riferimento di una cellula italiana di Al Qaeda. "Una richiesta da considerare con spirito positivo - ha dichiarato il ministro degli Esteri Frattini - ovviamente valutando i singoli casi che non conosciamo sulla base di un quadro europeo, perché in Europa c'è un regime di libera circolazione Schengen e quindi non possiamo prendere una persona e imprigionarla". L'Italia comunque non avrebbe ancora ricevuto alcuna richiesta ufficiale, ha chiarito oggi un portavoce della Farnesina. Intervistato dalla Cnn, Berlusconi ha aggiunto che l'Italia "farà il possibile per dare una mano agli Stati Uniti", ma che l'intenzione è quella di comportarsi "come gli altri Paesi europei" e "in base alle nostre leggi". Ci sono infine i casi più difficili da risolvere, come ha ammesso Obama, di coloro che non possono essere processati ma pongono una "chiara minaccia alla nazione". Il presidente ha assicurato che non verranno rilasciati, aggiungendo solo che l'amministrazione lavorerà con il Congresso per elaborare un appropriato regime legale. Nei confronti di essi si prospetta comunque una detenzione a tempo indeterminato senza processo, cioè uno status per lo meno molto simile a quello vigente a Guantanamo.
Se Obama ha rivendicato una "nuova direzione rispetto agli otto anni precedenti", e se c'è chi lo accusa, come Cheney, di mettere in pericolo la nazione, c'è anche chi, invece, dice che nella sostanza le sue politiche non sono molto distanti da quelle di Bush. Così la pensa, per esempio, il Wall Street Journal: "Nella retorica, il suo discorso si sforzava di dichiarare una direzione morale nettamente nuova. Nella sostanza, tuttavia, è sembrato più una riabilitazione dei sette anni trascorsi". Rimane l'uso delle commissioni militari, seppure con alcuni "abbellimenti procedurali come copertura politica", in pratica riconoscendo che è "difficile" processare alcuni terroristi davanti a tribunali civili, "perché molte delle prove contro di loro o sono segretate per motivi di sicurezza nazionale o non sono state prese all'epoca sui campi di battaglia". Riguardo i circa 50 detenuti da trasferire in altri paesi, "gli europei che hanno contrastato così veementemente Guantanamo negli anni di Bush si sono improvvisamente accorti che questi detenuti sono pericolosi". Mentre Obama non ha ancora chiarito cosa intende fare con coloro che non possono essere processati ma che pongono una "chiara minaccia alla nazione". "Il che - conclude il Wsj - ci riporta a Guantanamo". Anche perché secondo un rapporto del Pentagono, citato dal New York Times, "non meno di un settimo dei detenuti rilasciati da Guantanamo sono tornati alla jihad". Il "vero caos" non è quello che Obama dice di aver ereditato, ma quello creato da lui, annunciando la chiusura di Guantanamo "senza avere un piano su cosa fare dei detenuti più pericolosi, e dove metterli", soprattutto "ora che ha scoperto che i suoi alleati della prima ora al Congresso e gli europei non vogliono avere nulla a che fare con essi".
Per Gerald Seib, Obama e Cheney hanno pronunciato in realtà quattro discorsi. Uno l'ha pronunciato Cheney, "un feroce attacco a coloro che hanno criticato i metodi di interrogatorio e di detenzione dei terroristi autorizzati dall'amministrazione Bush". Obama invece ha pronunciato "tre discorsi intrecciati in uno". Il primo, per rispondere alle critiche da destra, secondo cui è troppo "morbido" nei confronti del terrorismo e sta mettendo in pericolo l'America. Il secondo, per rispondere alle critiche da sinistra, secondo cui è rimasto troppo vicino alle politiche di Bush. Il terzo, rivolto "agli americani nel mezzo", ai quali Obama ha assicurato che "sta cercando un sensato punto d'equilibrio che tenga fuori gioco i sospetti terroristi pur continuando ad onorare i valori americani". La "fondamentale differenza" tra i discorsi di Obama e Cheney, osserva Seib, riguarda "la possibilità stessa che esista una via di mezzo nella lotta contro gli islamisti radicali". Obama "ha descritto la ricerca di una strategia appropriata come un dibattito tra chi a sinistra non fa sconti riguardo le sfide uniche poste dal terrorismo e chi a destra sostiene che qualsiasi cosa va fatta per combatterlo". E secondo Obama "entrambe le parti sono in buona fede dal loro punto di vista, ma nessuna delle due ha ragione". Per Cheney, Obama e i democratici "possono essere confortati dalle critiche che provengono da entrambe le estremità dello spettro politico. Se a sinistra sono scontenti di alcune decisioni, e i conservatori di altre, può sembrar loro di essere sulla via di un compromesso appropriato. Ma nella lotta contro il terrorismo, non c'è via di mezzo, e le mezze misure vogliono dire mezza sicurezza. La triangolazione è una strategia politica, non una strategia di sicurezza nazionale".
Secondo David Brooks, del New York Times, Obama e Cheney sono stati "complici nell'alimentare un mito". È solo un "mito", infatti, "che abbiamo vissuto un periodo di otto anni delle politiche anti-terrorismo Bush-Cheney e che ora siamo entrati nel periodo totalmente diverso della politica anti-terrorismo Obama-Biden". Si tratta di "una completa distorsione della realtà". Il periodo Bush-Cheney è durato solo due o tre anni. Durante i quali l'amministrazione "ha tentato di tutto per scoprire e prevenire le minacce" e i funzionari "credevano di operare nella legalità, ma hanno fatto cose che ora molti di noi trovano moralmente inaccettabili e controproducenti". Dal 2005 circa è cominciato il "periodo Bush-Rice-Hadley". "Gradualmente, un certo numero di funzionari dell'amministrazione tentarono di fermare gli eccessi del periodo Bush-Cheney. Non l'hanno sempre spuntata, sono stati spronati dalle decisioni dei tribunali e dalla pubblica indignazione, ma la graduale evoluzione della politica è stata evidente", sottolinea Brooks. Già durante il secondo mandato di Bush l'amministrazione stava cercando di porre fine all'esperienza di Guantanamo e la pratica del waterboarding non è più stata usata dal 2004. "Quando Cheney denuncia il cambiamento nella politica di sicurezza, in realtà non sta attaccando Obama, ma la seconda amministrazione Bush... L'insediamento di Obama non ha segnato uno spostamento nella sostanza della politica anti-terrorismo, ma un cambiamento nella credibilità pubblica di quella politica". Una conferma di questa lettura viene da Jack Goldsmith, ex consulente legale dell'amministrazione Bush, nell'articolo su "The New Republic" intitolato "The Cheney Fallacy". Goldsmith elenca una serie di politiche - Guantanamo, la sospensione dell'habeas corpus, le commissioni militari, le cosiddette rendition, gli interrogatori e così via - mostrando come nella maggior parte dei casi, la politica di Obama sia in continuità o rappresenti una graduale evoluzione rispetto alla politica dell'ultimo Bush: "La differenza fondamentale tra le amministrazioni Obama e Bush riguarda non la sostanza della politica anti-terrorismo, quanto piuttosto la sua presentazione. L'amministrazione Bush si è data a lungo la zappa sui piedi, a detrimento della legittimazione e dell'efficacia delle sue politiche, disinteressandosi delle procedure e della presentazione. L'amministrazione Obama, al contrario, è seriamente concentrata su di esse". Obama, conclude quindi David Brooks, "ha ripreso molto delle politiche che lo stesso Bush aveva abbandonato, le ha rese credibili agli occhi del paese e del mondo. Le ha mantenute e riformate in modo intelligente. Le ha inserite in un contesto più convincente. Facendo ciò non ci ha resi meno sicuri, ma più sicuri. Nel suo discorso Obama ha spiegato le sue decisioni in modo dettagliato e coerente. Ha ammesso che alcuni problemi sono difficili e non sono di facile soluzione. Ha trattato gli americani da adulti, e ha avuto il loro rispetto".
Anche secondo Charles Krauthammer nella sostanza Obama sta adottando le tanto vituperate politiche di Bush: "Se l'ipocrisia è il tributo che il vizio paga alla virtù, allora l'inversione di rotta su misure anti-terrorismo in passato denunciate sono il tributo che Obama paga a George W. Bush. In 125 giorni Obama ha adottato con modifiche solo marginali un'ampia parte dell'intero programma di Bush accusato di essere illegale". L'ultima "inversione di rotta" ha riguardato la riesumazione delle commissioni militari. Su Guantanamo, sono i "compagni democratici di Obama che hanno ben presto scoperto la sensatezza della scelta di Bush". I senatori democratici non sono in linea di principio contrari, ma si oppongono alla chiusura "finché il presidente non chiarisce dove intende mettere i detenuti". Secondo alcuni, in ogni caso non sul suolo americano. E ciò non lascia aperte molte altre possibilità, visto che "i paesi di origine non li vogliono" e gli europei sono "recalcitranti". "Osservatori di tutte le parti politiche sono sbalorditi da quanta parte della politica di sicurezza nazionale di Bush sta per essere adottata" da Obama. "Cosa dimostra tutto ciò?", si chiede Krauthammer: "La demagogia e l'ipocrisia dei democratici? Certo, ma a Washington, l'opportunismo e il cinismo non fanno notizia. C'è qualcosa di più grande in gioco - un innegabile, irresistibile, interesse nazionale che, alla fine, al di là della cattiva politica, si afferma da sé. La genialità della democrazia è che l'alternanza al potere obbliga l'opposizione a diventare responsabile quando va al governo. È ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi. Le politiche di Bush nella guerra al terrore non dovranno aspettare gli storici per ottenere giustizia. Obama la già sta facendo giorno dopo giorno". Obama sta "correggendo qui e là le politiche dell'amministrazione Bush e sta cercando di fornire ad esse un più solido fondamento legale", osserva anche Clive Crook, sul Financial Times. "Questa ricalibratura è significativa e saggia, ma in nessun modo si tratta dell'approccio interamente nuovo" che tutti si aspettavano. Secondo Crook, Obama "è nel giusto, ma deve ai suoi sostenitori delle scuse per averli fuorviati. E deve delle scuse anche a George W. Bush per aver detto che l'approccio della precedente amministrazione era un'offesa ai valori americani, mentre le sue politiche sarebbero state del tutto consonanti con essi". Una volta entrato in carica, Obama "ha scoperto che il problema è molto più complicato". Che il terrorismo "non è un'ordinaria impresa criminale" e sconfiggerlo richiede "misure straordinarie". "Di fatto - conclude Crook - Obama ha ammesso che su questo l'amministrazione Bush aveva ragione".

(Federico Punzi) 25 mag 2009 17:03
http://www.ilvelino.it/articolo.php?Id=857841

lunedì 25 maggio 2009

Fini: che pesce sei?

Quella minoranza del PdL che va all'attacco continuo del Premier
di Milton
25 Maggio 2009
L'attacco è partito, orchestrato, subdolo, predeterminato. Mancano poche settimane al G8, un'occasione imperdibile per incrinare significativamente l'immagine e il consenso del Presidente del Consiglio. Si è partiti con la polemica sulle veline e la loro presunta presenza nelle liste PdL per le elezioni Europee, per poi passare, con logica perversa, alla vicenda Noemi e alle dieci domande di Repubblica, ormai ridotto a rotocalco rosa con venature hard, ovviamente supportato dall'immancabile Guardian, evidentemente all'oscuro del ciarpame prodotto da alcuni ministri del governo Brown.E' arrivata poi la solita, puntuale sentenza pre-elettorale sul caso Mills del solito giudice terzo e indipendente, frequentatore di Social Forum, giudice che emette una sentenza su chi imputato non è, il tutto condito da allarmi democratici lanciati dall'opposizione e richiami istituzionali mirati, pronunciati con mirabile sincronia.Nulla di nuovo si dirà. Abbiamo già visto Presidenti della Repubblica concordare con procuratori e direttori di giornali avvisi di garanzia (per reati poi rivelatisi infondati) da mandare al Premier, sono quindici anni che tutto ciò accade, ovviamente con particolare virulenza prima di appuntamenti elettorali e con l'aiuto della stampa liberal internazionale.Qualcosa di nuovo questa volta invece c'è. La strategia destabilizzatrice del Governo e del Premier è perseguita, neanche tanto nascostamente, non solo dai soliti poteri forti (qualcuno dia un'occhiata alla Stampa diretta da l'ex-capo redattore di Repubblica), ma anche da quella che ormai si autodefinisce la minoranza del PdL.Abbiamo infatti appreso, di recente, dalla fustigatrice di veline, novella Torquemada dei buoni costumi, Sofia Ventura (in un'intervista di M.T. Meli sul Corriere), che il Presidente della Camera On. Fini rappresenta la minoranza all'interno del PdL, unico – dice lei - baluardo contro il cesarismo berlusconiano, che ha imposto nel partito "una struttura piramidale dove tutto dipende dall'alto". Fini "contro il pensiero unico… rappresenta una prospettiva di cambiamento. Lui sogna una destra decente", ovviamente contrapposta ad una destra indecente, rappresentata da Berlusconi. A tal proposito, On. Bondi, è questa la sana dialettica interpartitica a cui si riferiva qualche giorno fa, in un articolo sul "Il giornale"?Di cesarismo, in verità, l'On. Fini aveva già parlato ancor prima delle ultime elezioni, per poi puntualmente accodarsi al novello Cesare nelle liste elettorali e guadagnarsi lo scranno di Montecitorio. Gli ultimi mesi, invece, sono stati un continuo ritornello di moniti, reprimende, richiami, apoteosi del politically correct della terza carica dello Stato, ad ogni sospiro del Presidente del Consiglio.E veniamo alla cronaca di questi giorni. All'assemblea di Confindustria, Berlusconi ha definito (io c'ero) il Parlemento "pletorico e controproducente", evidenziando la necessità di riformare gli ordinamenti parlamentari e ridurre il numero dei componenti. In definitiva ha detto, niente più e niente meno, quello che tutti pensano: due camere sono troppe, mille parlamentari sono un'enormità, gli iter legislativi sono lenti e sarà difficile che siano i parlamentari stessi a volersi autodistruggere. Dov'è lo scandalo?E invece no, apriti cielo! Le danze le ha aperte proprio la minoranza del PdL che per bocca del suo portavoce, per inciso anche Presidente della Camera, si è affrettata a difendere le prerogative del Parlamento dall'attacco della sopra definita destra indecente, prendendosi i complimenti dell'intera opposizione che lo ha eletto (parole di D'Alema) a "punto di riferimento per tutte le persone che amano la democrazia". Bizzarie della politica: un ex-comunista lanciatore di molotov, che dà la patente di padre della democrazia ad un ex-fascista… dove andremo a finire!?Tutto ciò, mentre il Partito Democratico chiama a raccolta Di Pietro e Casini (ricevendone un sonoro rifiuto) per sollecitare un incontro che si occupi di definire iniziative comuni contro "la reiterata manifestazione di disprezzo verso le prerogative del Parlamento" del Presidente del Consiglio. A quest'incontro, presumibilmente zeppo di statisti democratici, ci potete giurare, vorrebbe essere presente, almeno con il cuore, anche la destra decente, la nuova minoranza del PdL, unica garante contro la deriva autoritaria del Premier.Ma, in tutto questo, i coordinatori del PdL non hanno niente da dire? E lei, Presidente Berlusconi, cosa aspetta ad andare ad elezioni anticipate e a mandare tutti a casa, Presidente della Camera incluso?

L'Unione Sovietica e le bombe atomiche


Nel 1954 l'Unione Sovietica sperimento' la bomba atomica sui soldati dell'Armata Rossa!
pagina principale / Russia
16.07.2006
FONTE: Pravda.ru

Quanti oceani di sangue sovietico sono stati versati in nome dell'ideale comunista? Ricordiamo solo alcuni dei momenti piu' drammatici della storia dell'Unione Sovietica caratterizzati da vere e proprie ecatombi di vite umane: la guerra civile susseguente alla Rivoluzione d'ottobre, la collettivizzazione forzata e la relativa fame organizzata dal regime comunista negli anni '30, le purghe staliniane degli anni 1937/38, i milioni di cittadini sovietici spariti nei labirinti dei gulag, la deportazione in Siberia di intere classi sociali e popoli, nonche' la Seconda guerra mondiale, o meglio, come viene definita in Russia, la Grande guerra Patriottica.
Il poligono di Tozk
Bene o male, pero', tutti questi avvenimenti storici sono conosciuti non solo da noi in Italia ma in tutto il mondo occidentale; decisamente meno conosciuta e' invece l'operazione denominata in codice "Fiocco di neve", avvenuta in Unione Sovietica il 14 settembre 1954, i cui documenti ufficiali sono stati tenuti segreti e ben nascosti dal regime comunista sino all'epoca gorbacioviana.
La "mente" dell'ennesimo genocidio del regime comunista sovietico nei confronti della propria gente, non poteva essere che il sanguinario compagno Stalin il quale, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, spaventato a morte dalla potenza bellica statunitense culminata col lancio delle due atrocemente famose bombe atomiche sulle citta' giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, ordino' agli scienziati sovietici di fare tutto il possibile e soprattutto l'impossibile affinche' anche l'Unione Sovietica potesse disporre della bomba atomica nel minor tempo possibile.
Il divario venne colmato nel giro di 4 anni e dopo alcune sperimentazioni in zone deserte dell'Urss, gia' dopo la morte di Stalin avvenuta nel marzo del 1953, il regime comunista sovietico ebbe la brillante idea di sperimentare la bomba atomica durante un'esercitazione di guerra al fine di poter stabilire in che modo le radiazioni avrebbero potuto influire sia sulle truppe d'attacco che quelle di difesa. Fu cosi' che a 45.000 soldati ed ufficiali di 212 reparti dell'Armata Rossa, ovviamente tenuti all'oscuro dei reali scopi dell'esercitazione, venne ordinato a quattro mesi dall'esperimento, di accamparsi nella zona circostante il poligono di Tozk, una piccola cittadina non lontana dalla citta' di Orienburg nella zona meridionale della Russia, scelto tra l'altro per la somiglianza dell'ambiente circostante a quello tipico dell'Europa occidentale.
Due soldati sovietici muniti di maschera a gas
Gli abitanti delle zone limitrofe vennero evacuati a 50 chilometri dal poligono e l'operazione fu affidata al famoso maresciallo Zhukov, ovviamente al riparo in una casamatta blindata ad un paio di chilometri dall'epicentro, famoso non solo per la presa di Berlino, ma anche e soprattutto per i disumani metodi da lui usati durante la guerra, i piu' famosi dei quali l'utilizzo della fanteria lungo i campi minati tedeschi per spianare la strada ai carri russi, nonche' l'ordine da lui personalmente firmato che prevedeva la repressione dei familiari dei soldati dell'Armata Rossa fatti prigionieri soprattutto a causa di errori da parte dello Stato maggiore, da lui personalmente comandato.
E cosi' il 14 settembre 1954, alle ore 9,33, un aereo dell'aviazione sovietica sgancio' la bomba atomica, chiamata "Tatianka", da un'altezza di 8000 metri. La potenza devastante della bomba, secondo i dati attualmente in possesso degli storici russi, era equivalente a 40 kiloton, cioe' almeno due volte superiore a quelle americane sganciate su Hiroshima e Nagasaki. "Tatianka" esplose ad un'altezza di 350 metri dal suolo, a 280 metri dal punto prefisso in partenza e dopo circa cinque minuti dall'esplosione venne dato il segnale che decretava l'inizio dell'operazione, con lo sfondo di un paesaggio completamente in fiamme e devastato dalla potenza dell'esplosione. A circa 10 chilometri dall'epicentro dello scoppio, dotati di semplice maschera a gas e con la totale assenza di personale medico, i "difensori" avevano il compito di provare su di se' gli effetti delle radiazioni nucleari nelle trincee da loro stessi in precedenza scavate, mentre gli "attaccanti" dovevano attraversare l'epicentro dello scoppio per poi prendere d'assalto le posizioni dei reparti di difesa, mentre in cielo, aerei militari sovietici volavano in tutte le direzioni possibili attraverso e intorno al fungo atomico. Pare che quel giorno il quantitativo di mezzi militari usati, carri, aerei, mortai, cannoni, e di bombe e razzi fatti esplodere, fosse addirittura superiore a quelli corrispondenti l'assalto a Berlino nel maggio del 1945.
Tre giorni dopo, il 17 settembre, l'organo ufficiale del partito comunista sovietico, il giornale "Pravda", pubblico' la nota ufficiale della TASS relativa all'esperimento nucleare su cittadini sovietici, che recitava: "In relazione ai programmi di ricerca scientifica e ai lavori di sperimentazione, tre giorni fa in Unione Sovietica e' stato sperimentato un nuovo tipo di bomba nucleare. I risultati dell'esperimento sono altamente positivi e aiuteranno considerevolmente gli scienziati e gli ingegneri sovietici a risolvere la questione della difesa della nazione da attacchi nucleari". Sulle conseguenze dell'esperimento nemmeno una parola. A proposito dell'esperimento nucleare, va detto innanzitutto che i risultati furono contrassegnati dal timbro "segreto di stato" e che tutte le 45.000 cavie umane furono costrette a firmare un documento secondo il quale giuravano allo stato sovietico di non divulgare tale segreto per i 25 anni a venire. Nemmeno i piu' stretti parenti di questi soldati ed ufficiali sovietici avrebbero dovuto essere al corrente dell'accaduto. Inoltre, gli archivi dell'ospedale della citta' di Tozk relativi al periodo 1954-1980 furono distrutti su ordine del partito comunista sovietico.
Il poligono di Tozk
Ma veniamo alle conseguenze di questo terribile crimine disumano, partendo col dire che i meteorologi sovietici dell'epoca, forse dopo avere un attimino esagerato con la vodka, sbagliarono clamorosamente la direzione del vento relativa al 14 settembre e la nube tossica non si diresse verso le aree spopolate della zona, come da loro previsto, bensi' in direzione della zona di Orienburg per poi spingersi in direzione della provincia di Krasnojarsk. Nemmeno i documenti in possesso dei contemporanei storici russi sono in grado di stabilire con esattezza quante possano essere le vittime di questa follia tra la popolazione civile. Cio' che pero' si sa con esattezza e' che la terza generazione di coloro i quali vissero in prima persona l'esperimento al poligono di Tozk, nasce sprovvista delle cellule naturali che difendono l'organismo umano dal cancro, per cui attualmente vive con una forte predisposizione alle malattie cancerogene.
Sono in pochissimi gli abitanti della zona ad essere oggigiorno ancora in vita e dalla corrispondenza dell'epoca conservata dai parenti traspare in ogni lettera il dolore e l'impotenza nel vedere i propri cari morire nel fior fiore della vita tra sofferenze atroci. In seguito all'esplosione nucleare nessuno dei rappresentanti della popolazione civile fu sottoposto a controlli o visite mediche. Tutti tiravano avanti come potevano, nella maggior parte dei casi morendo a causa di malattie completamente sconosciute. Sintomatico e' il caso di una donna della citta' di Kuibyschev (attualmente Samara), moglie di uno degli ufficiali che prese parte diretta all'esercitazione nucleare: vedendo il proprio marito spegnersi a fuoco lento tra immani sofferenze, decise di indagare in modo autonomo al fine di fare luce sulla cause delle sue disgrazie. Fini' i suoi giorni rinchiusa in un ospedale psichiatrico.
Anche i 45.000 militari che presero parte al disumano esperimento di stampo criminale non furono sottoposti a controlli medici; il tutto venne scrupolosamente occultato ed insabbiato dalle autorita' e agli stessi militari all'epoca non venne rilasciato alcun tipo di documento che ne certificasse la presenza diretta in occasione dell'esperimento atomico. Tutti avevano giurato allo stato sovietico, sotto forma di documento firmato, che per almeno 25 anni avrebbero mantenuto il piu' rigoroso silenzio sull'accaduto. Solamente con l'inizio della perestroika, i pochi superstiti ricevettero i relativi certificati grazie ai quali essi vennero messi sullo stesso piano dei superstiti della sciagura nucleare di Chernobyl. Si calcola che su 45.000 soldati ed ufficiali, attualmente quelli in vita siano non piu' di un paio di centinaia. Tutti gli altri sono morti prematuramente a causa di infarti, ictus e varie forme di cancro senza nemmeno poter fare ricorso all'aiuto dei medici a causa del giuramento. I decessi di massa furono registrati in due precisi momenti: il primo a distanza di 5-7 anni dall'accaduto, il secondo all'inizio degli anni '90. Oggigiorno, tra le poche centinaia di superstiti, circa la meta' e' stata riconosciuta invalida di prima e seconda categoria con malattie dell'apparato cardiovascolare, forme di ipertonia ed arteriosclerosi cerebrale, malattie dell'apparato digerente, nonche' svariate forme di tumori maligni in vari organi del corpo.
L'immagine originale dell'esplosione
A cinquant'anni esatti dal momento in cui 45.000 soldati ed almeno il doppio di civili divennero ostaggi della follia nucleare sovietica, cioe' nel 1994, all'interno del poligono di Tozk venne costruito un campanile, chiamato il Campanile della Memoria, per rendere onore alle decine di migliaia di cittadini sovietici vittime dell'ennesimo genocidio perpetrato dal regime comunista nei confronti del popolo sovietico. Il suono delle campane ricorda il folle crimine di stato, definito all'epoca dallo stesso regime criminale "impresa eroica", esortando la gente a non compiere mai piu' in futuro "imprese eroiche" del genere. Signori, una pagina inedita di cio' che ha rappresentato il comunismo sovietico.

http://italia.pravda.ru/russia/2222-0/

domenica 24 maggio 2009

L'opposizione cipria e merletti

domenica 24 maggio 2009, 07:00
L’OPPOSIZIONE CIPRIA E VELENI
di Maria Giovanna Maglie

Nell’accanimento con il quale una sinistra sparpagliata di leader senza seguito, direttori di giornali livorosi, magistrati faziosi, intellettuali poco occupati, vignettisti che non trovano la satira, conduce la campagna di odio e calunnie contro il presidente del Consiglio, c’è sicuramente tutta l’eredità storica di una formazione politica composita che un tempo fu anche forza, ma che anche allora sceglieva, in questo profondamente unita, il metodo leninista dell’attacco personale e della distruzione della persona invece della battaglia politica a viso aperto, della definizione di un’agenda alternativa credibile di governo.

La storia della seconda Repubblica cominciò così, un golpe giudiziario mediatico che prese il posto della vittoria dell’alternanza, e quando ai vecchi avversari, agli statisti illuminati che furono eliminati, distrutti dalla vergogna di Tangentopoli, si sostituì provvidenzialmente l’iniziativa politica di Silvio Berlusconi e la gloriosa macchina da guerra della sinistra fu sconfitta, allora cominciò l’attacco personale costante, continuo, sordo. Sono passati quindici anni, hanno anche vinto elezioni, hanno governato, l’ultima volta per meno di due anni e con pessima figura, eppure il metodo non cambia.

Anzi, più i sondaggi li puniscono, più la prospettiva del giudizio popolare nel voto del 6 e 7 giugno si fa rischiosa, insomma più sono disperati, più in basso cadono nel delirio accusatorio, tentando di far vedere anche agli italiani, i quali in maggioranza secca li rifiutano, che ripongono fiducia in un mostro, anzi il Mostro, sognando, anzi vaneggiando, che votino non per loro ma contro di lui. Ultima venne la cipria, un segreto tremendo che evidentemente il premier voleva nascondere, e che una gloriosa fotografa ha scoperto, rivelando così che all’uomo piace presentarsi in pubblico con il viso opaco, a posto, invece che sanamente unto e lucido, di fronte alle telecamere.
Fuor di battuta, perché c’è poco da scherzare, l’elenco delle polemiche pretestuose e dei falsi scandali ha preso interamente il posto dell’azione politica dell’opposizione italiana. È sconcertante, anche se il declino non stupisce chi li osserva da decenni, incapaci di rifondarsi e di riformarsi, inetti alla scelta più semplice e naturale che a suo tempo avrebbero dovuto compiere: diventare autenticamente socialdemocratici. Oggi gli tocca correre dietro ad Antonio Di Pietro, vedremo con quali risultati.
Oggi gli tocca fingere, ancora una volta come se gli italiani fossero un branco di fessi, che è materia da impeachment, da dimissioni, sostenere, come ha fatto il premier nel discorso agli imprenditori, che il nostro Parlamento necessita di riforma urgente, perché è pletorico, seicentotrenta deputati e trecentoquindici senatori per un Paese di sessanta milioni di abitanti, perché le due Camere si occupano delle stesse cose, perché tra gli eletti ci sono persone che non si vedono mai, e quelle che ci sono spesso votano leggi che non conoscono, gravate da centinaia di emendamenti, per le quali decide il capogruppo. Non c’è forza politica che negli ultimi anni non abbia sollevato le stesse argomentazioni, non c’è fondazione o pensatoio che non sudi la riforma del Parlamento, e la necessità, sull’esempio del resto d’Europa e del mondo democratico, di attribuire maggiori e più veloci poteri all’esecutivo e al suo capo, che è eletto e non designato, ma se lo dice Berlusconi allora è golpe.
L’elenco può tediare, ma è utile farlo per ricostruire la pochezza, la risibilità, delle ragioni «contro» di cui si nutre l’opposizione. È cominciata con il terremoto in Abruzzo, una disgrazia terribile nella quale l’immagine e la funzione del governo, la rapidità di risposta e assistenza, la presenza solidale e non formale, l’urgenza delle decisioni intraprese per la ricostruzione, l’impegno assunto con date precise per le nuove case, sono state sotto gli occhi di tutti. L’impatto positivo è stato tale da convincere in un primo momento il partito Democratico a un atteggiamento responsabile, ma è durata poco, il tempo di un Anno Zero, e di un Santoro incensato dopo gli attacchi pretestuosi e ingenerosi rivolti ai volontari e alla protezione Civile. All’Aquila si terrà il G8, perché la popolazione colpita dal terremoto non viene dimenticata, anzi è all’attenzione dei Grandi del mondo, ma all’Aquila si stanno dirigendo anche gli estremisti e i terroristi, i no global che hanno appena minacciato a Torino la riunione internazionale sull’Università, distruggendo e attaccando la polizia, e che sono stati difesi a spada tratta dagli esponenti dell’opposizione.
Il livore si è concentrato anche sulle vicende private e personali della vita del premier. È diventato argomento politico per un tempo e una intensità estenuanti la separazione dalla moglie, e poco conta che la signora abbia inappropriatamente scelto di esternare le sue amarezze e le sue decisioni, invece che al coniuge, ai familiari e all’avvocato, come di solito fanno le coppie, alle agenzie di stampa e ai giornali. Loro ci si sono gettati sopra, uno sciacallo non sarebbe stato capace di fare di meglio. Il livore ha gonfiato e gonfia ancora oggi di significati sospetti anche la partecipazione a una festa di compleanno. La ragazza Noemi è stata massacrata, un mostro sbattuto in prima pagina e chi se ne frega dell’onore perduto, ingannata, adulata con interviste finte buone, manipolata. Le proprietà della sua famiglia sono state rese pubbliche.

Accompagnata dalla madre ha partecipato alla festa del Milan, insieme ad alcune migliaia di altre persone, e le due sono finite sedute, ben lontane dal premier, vicino a un Fedele Confalonieri ignaro? Signori, l’indignazione monta, e si presentano interrogazioni, interpellanze parlamentari urgenti, laddove si dimostra quanto utile sia l’attività dell’istituzione medesima.
In articulo mortis un giudice ampiamente screditato e manifestamente fazioso ignora le dichiarazioni dell’imputato, l’inglese Mills, ed emette una sentenza che dovrebbe far ripiombare nel vortice giudiziario Berlusconi.
Queste sono le carte con le quali i partiti di opposizione si presentano alle prossime elezioni, europee e amministrative. Tanti auguri.

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=353421

L'Italia complessata

Finito lo spettacolo, l'attor giovane, che pure aveva avuto la sua razione di applausi, non la finiva di chiedere alla prim'attrice, al regista e al caratterista anziano: "Ti sono piaciuto? Sono stato bravo?" E in fondo non c'erano rassicurazioni che gli bastassero. Al contrario il prim'attore, che pure quella sera non era stato in vena ed aveva recitato da cani, non chiedeva niente a nessuno. Faceva finta di essere molto soddisfatto della serata e di non accorgersi che i colleghi anziani si chiedevano che gli fosse preso. La differenza era che l'attor giovane non era sicuro di sé, mentre il prim'attore si faceva forte dei vecchi allori per scansare le critiche.Nel concerto dei grandi paesi europei, l'Italia è l'attor giovane che, per giunta, ha fatto pessime figure militari durante il Risorgimento e soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Il risultato è che il nostro è visto come un Paese da operetta, quando non da farsa. Naturalmente si tratta di un pregiudizio: nessun Paese è un Paese d'operetta, figurarsi una grande potenza industrializzata come l'Italia: ma non importa. Le leggende sono tenaci e Victor Hugo ha giustamente potuto sostenere che esse descrivono la storia meglio della storia stessa. Anzi, non raramente ne prendono il posto.Tutto questo sarebbe già triste, di per sé, se gli italiani non aggravassero il problema.Tanti anni fa, un personaggio da film (interpretato da Orson Welles, nel film "Il Terzo Uomo") disse una frase famosa: "In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù". Successe un putiferio e a momenti ne nasceva una crisi internazionale. La Svizzera si offese e protestò fieramente: arrivò perfino a dimostrare di non avere inventato quell'orologio. Ora chiediamoci: che cosa sarebbe successo se Orson Welles avesse detto qualcosa di offensivo nei confronti dell'Italia? Qui tutti avrebbero esclamato: "Accidenti, se ha ragione! Anzi, avrebbe potuto dire anche questo e quest'altro…"Perfino quando a criticarci sono degli estranei malevoli, gli italiani sono pronti a credere il peggio di sé. E questo richiede una spiegazione.L'Italia romana è stata una grande potenza, ma questo è finito già nel quinto secolo dopo Cristo. In seguito, forse, nel subconscio degli abitanti della penisola è rimasta l'idea di un'inguaribile decadenza, di un inevitabile destino di sconfitta. E mentre altri popoli passavano dal vassallaggio ad una fiera indipendenza, gli italiani si rassegnavano al ruolo di prede. La storia del resto confermava questo diverso status. La Francia – potenza unitaria - diveniva la nazione egemone del continente; la Spagna, anch'essa monolitica, non le era seconda, ché anzi come potenza imperiale ad un certo momento fu ancora più grande; la Gran Bretagna, malgrado la propria miseria economica, riuscì ad essere un attore di primo piano, fino a divenire anzi la stella dello spettacolo, nel XIX Secolo. Durante tutto questo tempo, l'Italia non ha contato niente. E questo complesso d'inferiorità si vede ancora oggi, quando gli italiani bevono avidamente ciò che si dice all'estero di loro. Quasi che, per il semplice fatto che quei giornalisti non sono italiani, dovessero essere tanto più onesti, saggi ed informati dei nostri.Il risultato è un disastro. Nessuno vince se non crede di poter vincere. L'inerzia, il pessimismo, l'autocommiserazione quando non l'auto-calunnia sono da noi così profondamente radicati, che non c'è speranza. Il tentativo di Mussolini di farci credere antichi romani naufragò nel ridicolo, ma è vero che avremmo realmente avuto bisogno di un po' più di fiducia in noi stessi. Invece perdemmo la Seconda Guerra Mondiale e, con essa, l'ultima occasione di uscire dalla nevrosi collettiva.Oggi siamo ridotti a prendere sul serio la spocchia calunniosa di un Bill Emmott , continuando a qualificare l'Economist di "autorevole" anche quando dice le cose peggiori di noi e di chi ci governa.Il risultato è che il singolo non complessato è così stanco, di tutto questo, che sente l'esigenza di tirarsi fuori dal gruppo. Ha tendenza a dire "voi italiani" e poi si accorge che questo atteggiamento è molto italiano. E dunque rischia di confermare la sua italianità in modo più convincente di quanto non faccia il suo passaporto.

Chi fa la festa a Falcone? Quelli che lo attaccavano

sabato 23 maggio 2009, 09:23
Chi fa la festa a Falcone? Quelli che lo attaccavano
di Filippo Facci

Al chilometro 4 tra Punta Raisi e Palermo, esattamente diciassette anni fa, esplosero 500 chili di esplosivo che spazzarono via tre auto blindate che non riuscirono a proteggere Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani. L’antimafia piagnens. Purtroppo è anche il giorno, oggi, in cui la triste ricorrenza viene imbracciata elettoralmente da un genere di militanza che Falcone detestava: oggi a Napoli l’antipolitica ridens di Beppe Grillo e l’antimafia piagnens di Sonia Alfano saranno al servizio di quell’Italia dei valori che non solo darà voce a cercavoti come Antonio Di Pietro e Luigi De Magistris e la stessa Sonia Alfano, ma da anni accoglie il maggior responsabile della campagna che contribuì all’isolamento di Falcone poco prima che morisse: parliamo di Leoluca Orlando. Chissà se si farà vedere, a questa manifestazione dove interverrà anche una rediviva Clementina Forleo nonostante l’iniziativa sia presentata, sul sito dell’Italia dei valori, appunto come un incontro elettorale: «Appuntamento domani, sabato 23 maggio a Napoli al Palapartenope, alla manifestazione “Lotta per i diritti” per sostenere Luigi De Magistris e Sonia Alfano, candidati alle elezioni europee nelle liste di Italia dei Valori».

Purtroppo è lo stesso ambiente che si prepara a pompare il fumosissimo processo che i pubblici ministeri Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, a Rebibbia, stanno portando avanti per dimostrare che una trattativa tra Stato e mafia, nel 1992, portò all’assassinio di Falcone e Borsellino. Proprio così. Ne accennavano ieri un paio di quotidiani: ora è venuto fuori che Brusca ha parlato di un accordo tra Totò Riina e un politico per ora innominato, e non si riesce proprio a immaginare di che ambienti possa trattarsi. Per capire dove vogliano andare a parare, comunque, basta leggere alcune farneticazioni scritte negli ultimi mesi dallo stenografo a latere Marco Travaglio, noto ventriloquo di Antonio Ingroia. Un’altra volta, però.

La primavera di Orlando. Il democristiano Leoluca Orlando era diventato sindaco di Palermo e aveva inaugurato una cosiddetta primavera che auspicava un gioco di sponda tra procura e istituzioni. Poi, nell’estate 1989, il pentito Giuseppe Pellegriti accusò l’andreottiano Salvo Lima di essere il mandante di una serie di delitti palermitani, una calunnia che Falcone fiutò subito. Orlando cominciò a dire e non dire che Falcone volesse proteggere Andreotti. Durante una puntata di «Samarcanda» Orlando lo disse chiaramente: il giudice aveva dei documenti sui delitti eccellenti ma li teneva chiusi nei cassetti della Procura di Palermo. Una menzogna che verrà ripetuta a ritornello, dimostrata come falsa anche davanti al Csm. È di quel periodo anche un primo e sottovalutatissimo attentato a Falcone, una bomba ritrovata nella sua casa all’Addaura. Poi, quando Falcone accettò l’invito del Guardasigilli Claudio Martelli a dirigere gli Affari penali, la gragnuola delle accuse si fece ancora più infame.

Dissero che si era venduto al potere politico e contro di lui si scagliarono la sinistra, gli andreottiani, il Giornale di Napoli («Dovremo guardarci da due Cosa Nostra») e poi Repubblica e anche il Giornale. Memorabile un titolo dell’Unità: «Falcone preferì insabbiare tutto». L’autunno di Falcone. Poi, a macerie fumanti, ecco il tentativo di sfruttare la morte di Falcone per portare acqua a Mani pulite. Falcone morì un sabato, e il lunedì la Repubblica uscì in edizione straordinaria col titolo «L’ultima telefonata con Di Pietro». Svolgimento: «Provava un’affettuosa invidia per Colombo e Di Pietro», «si è saputo solo ieri che Falcone seguiva l’inchiesta sulle tangenti», «una tonnellata di tritolo ha spezzato il suo contributo all’indagine milanese». Perfetto un riquadrino di Repubblica: «Arriva Antonio Di Pietro da Milano, il giudice delle tangenti, il Falcone del Nord... con lui c’è Leoluca Orlando».

Falcone, in realtà, stava solo disponendo alcune rogatorie internazionali chieste dal Pool Mani pulite: era il suo lavoro. Saranno Claudio Martelli e Ilda Boccassini, da emisferi diversi, a spiegare che Falcone era affranto perché il Pool di Milano a quanto pare non si fidava di lui. La verità processuale sulla sua morte la racconterà Giovanni Brusca, l’uomo che azionò il telecomando che uccise il giudice e tutti gli altri: «Era il primo magistrato che era riuscito a metterci seriamente in difficoltà. Lo odiavamo, lo abbiamo sempre odiato... Prendemmo la decisione iniziale di ucciderlo, per la prima volta, alla fine del 1982... Non tramontò mai il progetto di ucciderlo».

Dal 23 maggio 1992 undici inchieste hanno affrontato la strage di Capaci, sei processi hanno inchiodato i corleonesi alle rivelazioni di Brusca, infinite altre indagini hanno esplorato e sfibrato la favola dei «mandanti» Berlusconi e Dell’Utri indagati a Palermo, Caltanissetta e Firenze: tutto sempre archiviato. L’inverno della giustizia. Ma non mai finita. A Rebibbia corre appunto il processo a carico del prefetto Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu, ex ufficiali del Ros accusati di favoreggiamento per aver impedito la cattura di Bernardo Provenzano nell’ottobre 1995: questa almeno l’accusa scaturita da una testimonianza del colonnello Michele Riccio dei Carabinieri. Difficile, ora, riassumere i passaggi pirandelliani che hanno portato a ciò che tanto affascina Antonio Ingroia: la già stra-affrontata, peraltro, tesi di un’improbabile trattativa tra Stato e mafia nel 1992-1993, qualcosa che avrebbe portato appunto lo Stato a trucidare Falcone e Borsellino.

Fa niente se lo stesso Brusca aveva già chiarito che l’intento di ammazzare Falcone risaliva addirittura al 1982. Fa niente se dalle pieghe dell’inchiesta è persino venuta fuori la stramberia secondo la quale per l’eredità di Salvo Lima, intesa come ponte tra mafia e istituzioni, fu offerto un contatto con la Lega di Bossi. Fa niente se sentiremo parlare ancora a lungo del fantasma di Luigi Ilardo, un pentito, poi ucciso, secondo il quale regista di tutte le stragi del ’92-93 fu Forza Italia. Essendo nulla, finirà in nulla. Se almeno, però, lasciassero in pace Giovanni Falcone.

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sabato 23 maggio 2009

Giovanni Falcone

Giovanni Falcone
Scritto da Cirdan
sabato 23 maggio 2009
Quando Giovanni Falcone accettò la direzione degli Affari Penali, proposta dall'allora vicepresidente del Consiglio e Ministro di Grazia e Giustizia ad interim Claudio Martelli, un Paese intero venne messo al corrente che egli si era venduto al potere politico. La vicinanza con il Ministro Martelli portò ad una serie di attacchi da parte della sinistra, di Leoluca Orlando e di parte della stampa. Le allusioni non si fecero attendere. "Dovremo guardarci da due Cosa Nostra" titolava il Giornale di Napoli, "Falcone preferì insabbiare tutto" era la prima pagina dell'Unità, su La Repubblica, in un articolo di Franco Coppola, si lesse: "Dal 1986 in avanti è calata la saracinesca sui rapporti tra politici e mafiosi e la responsabilità è da ricercare nell'accumularsi di un potere enorme in un ufficio giudiziario o in un singolo giudice: Falcone".Anche il democristiano Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, durante una puntata di "Samarcanda" (dedicata all'omicidio di Giovanni Bonsignore) si scagliò contro Falcone. "Il giudice aveva dei documenti sui delitti eccellenti di mafia, ma li teneva chiusi nei cassetti della Procura di Palermo". Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone fu costretto a difendersi davanti al CSM in seguito all'esposto presentato il mese prima (l'11 settembre) dallo stesso Orlando. L'esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle accuse definendole "eresie, insinuazioni" e "un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario". Sempre davanti al CSM Falcone, commentando il clima di sospetto creatosi a Palermo, affermò che "non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l'anticamera della verità, è l'anticamera del khomeinismo".Sostenuto da Martelli, Falcone rispose sempre con lucidità di analisi e limpidezza di argomentazioni, intravvedendo, presumibilmente, che il coronamento della propria esperienza professionale avrebbe definito nuovi e più efficaci strumenti al servizio dello Stato. Eppure, nonostante la sua determinazione, egli fu sempre più solo all'interno delle istituzioni: condizione questa che prefigurerà tristemente la sua fine. Emblematicamente, Falcone ottenne la nomina a Superprocuratore il giorno prima della sua morte. In un'intervista rilasciata a Marcelle Padovani per "Cose di Cosa Nostra", Falcone attestò la sua stessa profezia: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere."Oggi a Napoli, in ricordo di quel drammatico giorno, il PalaPartenope ospiterà "La lotta per i diritti", manifestazione dedicata ai diritti mancanti nel nostro Paese, che dovrebbero tutelare i cittadini e la democrazia. A condurre la giornata di discussione collettiva sarà Beppe Grillo, che avrà il compito di cucire gli interventi – dialettici e artistici – di personaggi delle istituzioni, della società civile e dello spettacolo. Tra gli altri, si legge nella scaletta di presentazione all'evento, presenzieranno, in una ricorrenza che viene sintetizzata elettoralmente con la sigla "per un'Europa senza pregiudizi", l'ex pm di Catanzaro Luigi de Magistris, il giudice Clementina Forleo e il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro. Quell'Italia dei valori che da anni accoglie il maggior responsabile della campagna che contribuì all'isolamento di Falcone poco prima che morisse: Leoluca Orlando.La sensazione, a distanza di anni, e che Falcone e Borsellino, oltre ad essere morti per il tritolo, morirebbero una seconda volta per vergogna!
Vergogna di essere sepolti in un paese, come l' Italia, in cui la diffamazione è ancora oggi pane quotidiano.
http://www.legnostorto.com/index.php?option=com_content&task=view&id=25099

Peppino Caldarola e l'ipocrisia della sinistra

sabato 23 maggio 2009, 07:00
L’ipocrisia - Il Cav dice quello che pensano tutti (anche a sinistra)
di Peppino Caldarola

So che mi diranno che sono diventato berlusconiano. Non è vero. Se fosse vero lo direi. Più semplicemente non ne posso più di polemiche iniziate quando i miei primi figli erano all’università e che continuano ora che hanno messo su famiglia. L’ultima è di queste ore. Berlusconi ha attaccato il Parlamento, dicono. Il presidente Fini ha preso le difese delle Camere, l’opposizione ha gridato al «regime». Persino il mite Antonello Soro, capogruppo Pd al Parlamento, ha rilasciato dichiarazioni come fossimo al giorno dopo l’assassinio di Matteotti. Ferrero e Diliberto hanno convocato sit in e il capo del partito più antidemocratico che esista, Antonio Di Pietro, ha chiamato alla sollevazione contro il fascismo. Dobbiamo aver paura?
Mi piace partire dai fatti e sono andato a cercarmi le frasi di Berlusconi su un giornale non berlusconiano. Così le riferisce il Corriere della Sera. La prima è questa: «Non ho poteri, perché la Costituzione è stata scritta dopo il Ventennio, tutto il potere è andato al Parlamento, pletorico, 630 deputati, ne basterebbero 100 come il Congresso americano». La seconda è questa: «Diranno che offendo il Parlamento, ma questa è la pura realtà: le assemblee pletoriche sono inutili. Alcuni parlamentari non si vedono mai, perché imprenditori, professionisti hanno cose più importanti da fare che stare lì dentro per un giorno con le mani dentro la scatoletta del voto e votare centinaia di emendamenti». Questo sarebbe l’attacco al Parlamento.
Ho pensato alla mia esperienza durata sette anni e ai discorsi che facevo con i tanti colleghi di sinistra e di destra (non ho mai perso il vizio del dialogo). Dicevamo le stesse cose di fronte a giornate lunghissime in cui eravamo a disposizione di capigruppo per votare leggi che il più delle volte non si conoscevano. La frustrazione era tanta, per fortuna ben pagata così da alleviare il male dell’anima. L’aspetto paradossale di quest’ultima polemica sulla democrazia e sul Parlamento è che avviene come se tutti scoprissero oggi dalle parole di Berlusconi che il nostro sistema parlamentare è malato.Non c’è stato convegno, organizzato dai partiti del centrosinistra, in cui non si siano denunciati due limiti delle Camere. Il primo riguarda il fatto che hanno le stesse funzioni mentre nei Paesi civili, in quelli che hanno due Camere, la diversità di funzione e di rappresentanza spiega l’origine del bicameralismo. Il secondo riguarda il numero di deputati e senatori. Non c’è alcun dubbio che siano troppi. Oggi poi sono eletti non più sulla base di un collegio ma nominati dall’alto, quindi la loro funzione di rappresentanza si è ridotta quasi a zero. Se sottoponessimo le frasi di Berlusconi a qualunque presidente delle Camere del passato o a qualunque leader della sinistra, senza dire chi ne è l’autore, avremmo consensi entusiasti. Diciamo la verità: Berlusconi ha detto quello che pensano tutti e che è stato sancito da una convegnistica sulla materia che ha prodotto centinaia di migliaia di pagine. Allora dov’è il problema?
Berlusconi ha un modo colorito di parlare. È un affabulatore che va diritto al sodo e sa come affascinare una platea. Giovedì il suo discorso davanti a una platea di imprenditori ha ricevuto molti applausi, comprese le parti che hanno sollevato polemiche. Non credo che gli imprenditori italiani, applaudendolo, abbiano inneggiato al fascismo. Hanno altro da pensare. Più semplicemente hanno sottolineato il distacco che li separa da un Parlamento che non gode nell’opinione pubblica di una grande stima. E non ne gode proprio perché lavora in modo farraginoso, l’una Camera è lo specchio dell’altra, i parlamentari sono troppi.
Le stesse cose che ha detto Berlusconi si potevano dire in modo diverso. Tuttavia il problema è quello. Il giorno in cui si farà una Grande Riforma condivisa si ridurrà il numero dei parlamentari e si assegneranno compiti diversi alle Camere stabilendo forme diverse della rappresentanza. È tutto così banale, così scontato, così già scritto, così di pubblico dominio. Invece no. La costruzione del Mostro procede a mano a mano che si avvicina il voto di giugno. Il Cavaliere è malato, va con le minorenni, è un corruttore di avvocati, vuole abolire il Parlamento. Franceschini ha chiesto voti, significativamente, davanti alla platea di Annnozero, solo per riequilibrare l’enorme consenso del premier. Per anni abbiamo sostenuto, l’ha detto persino Veltroni prima della cura Di Pietro, che non bisogna più chiedere il voto «contro» ma «per». Si sono fatti congressi per invitare la gente di sinistra a lasciare gli ormeggi delle vecchie ideologie per passare a motivazioni positive. Tempo sprecato. In preda al panico il gruppo dirigente del Pd sta tirando la volata a Di Pietro. Fra qualche settimana al prossimo convegno del Centro per la Riforma dello Stato o della fondazione Italianieuropei, saremo chiamati a discutere di bicameralismo malato e di pletoricità della rappresentanza.

Roba da matti.

venerdì 22 maggio 2009

Lettera aperta al Presidente Obama

May 21, 2009
Mr. President,
Before putting together the final touches on your anticipated 'Peace Speech' expected to be delivered in Egypt on June 4, 2009, I request of you a moment or two, to read what your fellow legislators had to say in the year 1922. The issue at the time was in respect to the recreation of the Jewish National Home - in the area designated for them by the "Mandate for Palestine," an historical League of Nations document that laid down the Jewish legal right to settle anywhere in western Palestine the area between the Jordan River and the Mediterranean Sea, an entitlement unaltered in international law.
Mr. President, political rights to self-determination as a polity for Arabs were guaranteed by the same League of Nations in four other mandates - in Lebanon and Syria [The French Mandate], Iraq, and later Trans-Jordan [The British Mandate]. Reducing any land already granted to the Jewish people under international law, is an injustice and a grievous handicap to the well being of the Jewish State.
Sincerely,
Eli E. Hertz


The United States Congressional Record
1922 HOUSE OF REPRESENTATIVES
National Home for
THE JEWISH PEOPLE JUNE 30, 1922
HOUSE RESOLUTION 360 - UNANIMOUSLY ADOPTED

"Palestine of today, the land we now know as Palestine, was peopled by the Jews from the dawn of history until the Roman era. It is the ancestral homeland of the Jewish people. They were driven from it by force by the relentless Roman military machine and for centuries prevented from returning. At different periods various alien people succeeded them but the Jewish race had left an indelible impress upon the land.

Today it is a Jewish country. Every name, every landmark, every monument and every trace of whatever civilization remaining there is still Jewish. And it has ever since remained a hope, a longing, as expressed in their prayers for these nearly 2,000 years. No other people has ever claimed Palestine as their national home. No other people has ever shown an aptitude or indicated a genuine desire to make it their homeland. The land has been ruled by foreigners. Only since the beginning of the modern Zionist effort may it be said that a creative, cultural, and economic force has entered Palestine. The Jewish Nation was forced from its natural home. It did not go because it wanted to.

A perusal of Jewish history, a reading of Josephus, will convince the most skeptical that the grandest fight that was ever put up against an enemy was put up by the Jew. He never thought of leaving Palestine. But he was driven out. But did he, when driven out, give up his hope of getting back? Jewish history and Jewish literature give the answer to the question. The Jew even has a fast day devoted to the day of destruction of the Jewish homeland.

Never throughout history did they give up hope of returning there. I am told that 90 per cent of the Jews today are praying for the return of the Jewish people to its own home. The best minds among them believe in the necessity of reestablishing their Jewish land. To my mind there is something prophetic in the fact that during the ages no other nation has taken over Palestine and held it in the sense of a homeland; and there is something providential in the fact that for 1,800 years it has remained in desolation as if waiting for the return of the people."
Congressman Frank Appleby N.J.

giovedì 21 maggio 2009

Obama, worse than Carter ?

Obama avventurista pazzotico in Medio Oriente

Scritto da Carlo Panella
giovedì 21 maggio 2009
...
Un progetto avventurista, e per di più, vecchio di 50 anni: questo è il minimo che si possa dire delle linee strategiche dei piani di Obama per la soluzione della crisi israelo-palestinese che stamane hanno dilagato sui giornali israeliani. Il cuore della proposta è sconcertante: lo Stato palestinese dovrebbe essere privo di forze armate, mentre Gerusalemme, dovrebbe passare sotto la sovranità delle Nazioni Unite. Vi sono poi altre idee –non male quella di un risarcimento economico a carico della Ue e degli Usa per i milioni di profughi- ma questi due capisaldi hanno dell’incredibile perché dimostrano una totale mancanza di rapporto con la realtà. La proposta di disarmo dello Stato palestinese è infatti a dir poco pazzotica, perché cade nel momento in cui Israele continua a consegnare alle forze di sicurezza della Anp camionate e camionate di armi leggere e medie, che sono indispensabili ad Abu Mazen per mantenere un controllo della West Bank, in cui Hamas è assolutamente ben radicata. La proposta, dunque, non ha senso, perché il problema della sicurezza di Israele è tutto nell’opzione terroristica e stragista che fino al 2005 è stata condivisa dalla Anp di Arafat, che poi, con un ritardo trentennale è stata recisa finalmente da Abu Mazen, ma che è ancora tutta operante in Hamas che peraltro continua a suoi lanci di razzi su Sderot. Un quadro contorto, da cui emerge con chiarezza un incredibile, assurda, assenza negli scenari su cui ragiona Obama: il conflitto interpalestinese. Pure, ieri, questa si è di nuovo cristallizzata in due governi l’un contro l’altro armati –e non è una metafora- con Salem Fayyed a Ramallah e Ismail Hanyeh a Gaza, mentre lo stesso Abu Mazen –ma la notizia è stata ignorata dai media- ha accusato Hamas di avere usato decine di ambulanze per trasportare armi a Gaza. Ma Obama tace sul conflitto sanguinario che dal 2005 ha fatto centinaia di vittime, palestinesi massacrati da palestinesi. Obama tace, sul fallimento di 2 anni di trattative per una pacificazione tra Anp e Hamas, e i suoi progetti “nuovi” hanno la ruggine di decenni e decenni fa. Proporre oggi agli ebrei, così come ai musulmani, di rinunciare alla sovranità su Gerusalemme vuol dire tornare alla astrattezza del progetto di spartizione dell’Onu del 1947 (che questo prevedeva) e ignorare che questa opzione è semplicemente impossibile e inaccettabile per gli uni, come per gli altri. Infine, ma non per ultimo, Obama tace su un punto fondamentale a cui si lega la questione dei profughi, che non è solo “tecnica” o territoriale. Pure, Netanyhau glielo ha ricordato: sino ad oggi, la trattativa tentata da Ehud Olmert con Abu Mazen si è arenata su un punto, il rifiuto del presidente palestinese di riconoscere il carattere di “Stato ebraico” di Israele. Questa, si badi bene, è la dicitura della risoluzione 187 dell’Onu del 1947 –che fondava uno “Stato ebraico” e uno “Stato “arabo”- ed è rifiutata non solo da Abu Mazen, ma da tutti i paesi arabi –inclusi Egitto, Giordania e Marocco che pure hanno riconosciuto Israele- per un insormontabile vincolo religioso, perché una visione fondamentalista delle vicende umane proibisce loro di considerare che su terre sacre all’Islam possa esistere ed essere riconosciuto uno “Stato degli ebrei”. Insomma, una serie di omissioni, di silenzi, di capriole che concorrono a forare una proposta sgangherata, pessimo inizio per una Amministrazione che pare intenta –si vedano gli sberleffi crescenti ricevuti da Teheran- a confermare i peggiori presagi sul proprio avventurismo pressappochista di molti analisti.
(L'Occidentale del 21 maggio)
Da:http://www.carlopanella.it

mercoledì 20 maggio 2009

Un procedimento ridicolo senza uno straccio di prova

mercoledì 20 maggio 2009, 09:00
Un procedimento ridicolo, senza uno straccio di prova
di Filippo Facci
Se una corruzione corrisponde a un dare per avere, nelle motivazioni della sentenza di condanna di David Mills manca la prova del dare e manca la prova dell’avere. In altre parole, manca tutto.In estrema sintesi: il dare sarebbero alcune testimonianze fornite da David Mills in due processi a carico di Berlusconi negli anni 1996-97, ora giudicate reticenti, e l’avere sarebbero circa 600mila dollari che Mills ebbe nel 1997 con modalità che secondo l’accusa sono scollegate alle parcelle che frattanto gli venivano pagate (dalla Fininvest) in qualità di creatore della galassia societaria del comparto estero.Peccato per due dettagli. Il primo è che la «reticenza» di Mills contribuì alla condanna in primo grado di Silvio Berlusconi nel processo All Iberian, successivamente assolto ma non grazie a Mills; il secondo è che non c’è nessuna prova che quei 600mila dollari vengano da ambienti Fininvest, avendo semmai cercato di dimostrare, Mills e i legali, che quei soldi vengano da tutt’altra direzione: ipotesi che l’accusa, in un mare di cifre e scatole cinesi, ritiene «matematicamente smentita» a margine di un processo dove parole del genere suonano veramente un po’ forti.Quindi daccapo: sotto il profilo logico e probatorio manca il dare, perché Mills fu teste d’accusa contro Berlusconi che fu condannato, e manca l’avere perché i giudici possono sbracciarsi sinché vogliono, ma la prova che quel denaro venga da Berlusconi proprio non c’è (mai lo scrivono esplicitamente) e infatti il non essere riuscito a dimostrarlo è la ragione per cui da mesi, da anni, non c’è cronista che non paragoni questa vicenda a un processo per assassinio senza il morto, con il pm Fabio De Pasquale, in corso d’opera, a sperare che saltasse disperatamente fuori da qualche catacomba offshore.La presupponenza delle motivazioni comincia coll’individuazione certa e indiscutibile della reticenza di Mills, il quale, si argomenta, tacque questo e quest’altro, soprattutto ricondusse la proprietà delle società offshore «solo genericamente a Fininvest e non alla persona di Silvio Berlusconi, in tal modo favorendolo in quanto imputato in quei procedimenti». Chissà che ne pensa il pubblico ministero Francesco Greco, che ascoltò a lungo David Mills dal 1996 al 1997 (processo All Iberian) e mai gli contestò verbale alcuno, anzi: Mills fu contestato semmai da alcuni manager Fininvest e dalla difesa di Silvio Berlusconi, per il quale Greco chiese infine cinque anni e mezzo e ottenne una condanna. Roba da coprirlo di soldi, Mills.Sotto un profilo congetturale, poi, i giudici avanzano l’ipotesi che Berlusconi senza l’aiuto di Mills non sarebbe stato nemmeno assolto nel cosiddetto processo Telepiù: e su quali basi lo dicono? Forse che Mills disse il falso o non rispose alle domande? No: «Egli non poteva dire in modo eclatante il falso, poteva soltanto, coi suoi artifici verbali (“tricky corners”) aggirare le domande più insidiose e indurre i giudici in errore». Non erano molto intelligenti neanche loro, evidentemente.Per il resto, le 376 pagine di motivazioni depositate ieri a Milano sono molto aggressive e suggestive, ma non rivelano nulla di inedito se non in termini pluri-analitici e soprattutto interpretativi: i giudici decidono quali consulenti tecnici l’hanno detta giusta e, tra le infinite versioni e ritrattazioni di Mills, quale sia l’autentica o meglio la «genuina». Non aggiungono però gli elementi che mancavano, non ricostruiscono le prove che non c’erano e non ci sono, non riempiono i buchi del groviera istruttorio. La sentenza, al netto delle tecnicalità, è un’articolata esercitazione di libero convincimento del giudice: ciò che magari può giustificare delle indagini e persino un rinvio a giudizio, ma non una ponderosa sentenza buttata lì come è lecito fare in primo grado italiano.
Al di là degli strumenti adottati per argomentare le proprie convinzioni, infatti, resta che sono convinzioni: lecite, senz’altro, ma che da tesi di parte non autorizzano a chiamare «prova» e «provato», come si legge ogni due righe nella sentenza, ciò che non lo è. Con lo stesso materiale maneggiato da Nicoletta Gandus, in sostanza, si potrebbe argomentare in cento altri modi e nessuno.Comunque vada in futuro, anche se un Appello dovesse smontare la sentenza com’è estremamente probabile, il ruolo del pm Fabio De Pasquale e del giudice Nicoletta Gandus, intesi come coloro che ci avevano provato, sarà comunque passato in cavalleria. Va ricordato, infatti, soprattutto a certi esponenti dell’opposizione, che Berlusconi non è ancora stato processato (per via del Lodo) e che in ogni caso lo giudicherà un collegio diverso da quello che ha condannato l’avvocato inglese. Un collegio normale, poi, in Appello, potrebbe finalmente avvedersi che la sortita del pm Fabio De Pasquale di postdatare la commissione del reato a marzo del 2000, così da evitare la prescrizione, proprio non stava in piedi: i 600mila dollari, chiunque li abbia fatti girare, partirono infatti molti anni prima.Detto questo: si ebbero dubbi, anche da queste parti, circa l’opportunità che il presidente del Consiglio dovesse dotarsi di un Lodo Alfano per poter governare sino a fine mandato. Dubbi legati, per incredibile che sia, alla consapevolezza che il «Berlusconi-Mills» appariva in assoluto come il procedimento più ridicolo e inconsistente tra quelli che Silvio Berlusconi aveva subito da 16 anni a questa parte; si riteneva che gli imputati potessero anche andare tranquillamente a sentenza perché avrebbero incassato un’assoluzione inevitabile. Questo ragionamento, da Paese normale, crolla alla luce dell’incredibile sentenza di ieri. Un altro errore fu il pensare che la scelta di ricusare il giudice Nicoletta Gandus servisse solo ad arroventare inutilmente gli animi, ritenendo che neppure Stalin avrebbe potuto avallare le tesi inconsistenti di una pubblica accusa al cui confronto, Nicoletta Gandus, sembrava comunque un miracolo di equilibrio.Fu, appunto, un errore.Erano dubbi e ragionamenti da Paese normale, appunto: David Mills, infatti, e l’abbiamo appreso ieri, è stato condannato sulla stessa evanescente base per la quale doveva essere assolto, anzi, mai processato. Dare ragione a Silvio Berlusconi e al suo Lodo, in questo quadro, non piace affatto.
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