domenica 21 dicembre 2008

Garibaldi, assassino del Sud

Garibaldi, assassino del Sud
Un eroe può essere definito tale quando sacrifica la propria vita o la propria libertà al servizio degli altri, rischiando il più delle volte l’esistenza, per puro e superbo atto di altruismo. Da più di un secolo questo ruolo di eroico indomito, leggendario condottiero dell’Unità d’Italia, è riconosciuto al nizzardo Giuseppe Garibaldi. Per molti è “l’eroe dei due Mondi”, esempio di autorevole patriottismo, attuatore della rinascita e di una nuova stagione politico-economica in tutto lo stivale. Ma io, da buon siciliano e amante nel contempo della verità, condivido in pieno l'idea dei tanti cittadini del Sud, affranti da ciò che ha rappresentato davvero il sanguinario Garibaldi, nel Risorgimento e per i nostri ideali. Non mi sento traditore, comunque, di questa patria italica, perché la rispetto e l'amo con sensibilità, e con coraggio la servo. Tuttavia non posso sopportare gli atti di oscurantismo perpetrati ai danni del nostro patrimonio culturale, che in maniera subdola e meschina, hanno contribuito ad infangare la memoria di intere popolazioni del meridione. Se da una parte, il Presidente della Regione Sicilia, Raffaele Lombardo, vorrebbe “abbattere i simboli di un'impostura chiamata Unità d'Italia”, dall’altra la medesima rivendicazione viene avanzata dai rappresentanti attivi del Carroccio, movimento per l’autonomia della Padania. Ciò che realmente accomuna la politica isolana a quella padana, è un sentimento di riscoperta di quella verità, chiusa dalla oclocrazia vecchia di ben due secoli. Se anche la Lega Nord, in quel della Pianura Padana (una delle zone che più ha tratto beneficio dall'Unità d'Italia), rivendica il privilegio di ignorare la storiografia italiana, perché noi siciliani, schiavizzati, non possiamo avvalerci del sacrosantissimo diritto di rivedere i libri, le piazze e le strade dedicate al sanguinario e mercenario "eroe"? Questo è quello che si sarà detto il Sindaco della città di Capo D’Orlando, Enzo Sindoni, che ai molti protezionisti delle pagine propinateci da centocinquant’anni a questa parte, è sembrato uno scellerato attivista nonsense. La verità è che ha rappresentato degnamente un senso di disgusto comune a tutti i cittadini meridionali, molti dei quali discendenti di contadini, armieri o semplici emigranti. La maggior di questi conosce la verità che in tanti disconoscono o non accettano; la visione di un Giuseppe Garibaldi antieroe, piuttosto che valoroso combattente per la causa di una Patria comune. Per capire in modo significativo quanto noi “revisionisti” e “restauratori della verità”, andiamo dicendo da sempre, bisogna incentrare tutto il succo del discorso sulla povertà. Nel 1861, l'erario del Regno delle Due Sicilie contava ben 443,2 milioni di lire; la Lombardia 8,1; il Ducato di Modena 0,4; Parma e Piacenza 1,2; Roma 35,3; Romagna-Marche e Umbria 55,3; l'Impero Sardopiemontese 27,0; Toscana 85,2 e Venezia 12,7 (questi dati provengono da Francesco Saverio Nitti, facoltà Scienze delle Finanze). Sebbene tutta la penisola conoscesse già Garibaldi nelle vesti di schiavista ( lo comprovano le sue scorribande in America Latina), viene comunque assoldato e condotto alla partenza con i suoi “Mille”. Partono da Quarto (Genova) imbarcati sui piroscafi “Piemonte” e “Lombardo”, alla volta del Regno delle Due Sicilie. A Garibaldi era stata segretamente versata dal governo inglese e dal Piemonte l'immensa somma di tre milioni in piastre d'oro (molti milioni di dollari odierni), che sarebbe servita soltanto a corrompere i dignitari borbonici e pagare il loro tradimento. Ma finita l’invasione, il Garibaldi acquistò con i soldi rubati dall'erario del Banco di Napoli, l’intera isola di Caprera., tanto che qualche anno più tardi egli si vide recapitare una lettera del direttore del suddetto istituto bancario, con la richiesta esplicita di restituzione della somma sottratta, volendo credere che questo fosse solo un prestito “mal chiesto”. Non restituì nulla. Il valoroso percepì anche un "contentino", versatogli in parte dal Re Vittorio Emanuele II e in parte dagli Inglesi, per un totale di 3 milioni. Entrata così a far parte del Regno d'Italia, la Sicilia, nel giro di pochi anni si vide spogliata dell'ingente patrimonio di quei Beni Ecclesiastici che fruttarono allo Stato 700 milioni del tempo, della riserva d'oro e d'argento del suo Banco di Sicilia, e vide portato il carico tributario a cinque volte piú del precedente. Come accertò Giustino Fortunato, mentre per l'anno 1858 esso era stato di sole lire 40.781.750 per l'anno 1891, le sue sette province registrano un carico di lire 187.854.490,35. Si inasprirono inoltre i pesi sui consumi, sugli affari, sulle dogane, le tasse di successione (che prima non esistevano), quelle del Registro (che erano state fisse), quelle di bollo, per cui nel 1877 queste tasse erano già pervenute a 7 milioni e nel 1889-90 avevano raggiunto i 20 milioni. La vendita del patrimonio dello Stato (ossia del demanio dell'ex Regno della Due Sicilie) impinguato dai beni dei soppressi Enti Religiosi e sommato alla vendita delle ferrovie, aveva fruttato allo Stato italiano oltre un miliardo, senza contare il capitale dei mobili, delle argenterie e tutta la rendita del debito pubblico, posseduta dalle Corporazioni religiose, che venne cancellata del tutto. E non erano "beni della Chiesa di Roma", ma frutto dell'accumulazione di famiglie siciliane investito sul "figlio prete". Questa è solo una minima parte di quei danni che l’invasione scellerata dei Savoia produsse in tutto il Sud d’Italia. Chi è di Bronte o è nato a Regalbuto, ben conosce le storie di due grandi stragi comandate da Nino Bixio, tirapiedi di Garibaldi. Le teste decapitate dai corpi mutilati, finite in gabbie per lo studio del noto medico Lombroso, con le sue stupide teorie del “Testa grossa? allora sei un assassino!” . La parola Mafia non esisteva; fu proprio dal brigantaggio dovuto alla guerra sardo piemontese che, incontrollati, diversi delinquenti si mischiarono alla povera gente, stanca delle false promesse delle camicie rosse. L'invasione di uno Stato in pace senza dichiarazione di guerra, agevolata da fenomeni di corruzione e dalla connivenza della Massoneria. Questo fu lo sbarco. L'epopea dei Mille è nota in tutto il mondo. Mille uomini, e per di più 'civili', che conquistano un regno vecchio di oltre settecento anni. Un regno ricco, che vantava la seconda marina del continente dopo quella inglese e primati in ogni settore.
Per questi motivi, il 24 ottobre 2007, diedi il via alla raccolta firme online http://www.firmiamo.it/viagaribaldidaipaesi con l'intento di raggiungere la quota sufficiente per divulgare, presso i comuni e la Regione, delle interpellanze. Via Giuseppe Garibaldi e i suoi dalle nostre piazze, strade e paesi...
Carmelo Parrinelli

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