Scritto da JimMomo
mercoledì 18 febbraio 2009
Il brusco epilogo della corsa veltroniana (e forse anche del Pd) era scritto in quel magnifico, indispensabile libro di Andrea Romano, "Compagni di scuola", sulla classe dirigente dell'ex Pci. E' un testo fondamentale per capire il male profondo della sinistra italiana negli ultimi 20 anni.Veltroni ha certamente commesso molti errori. Il più madornale l'aver imbarcato il giustizialismo dipietresco dopo aver annunciato che il Pd sarebbe andato "da solo". Un errore che ha sviluppato tutte le sue conseguenze negative proprio nel momento in cui il Pd avrebbe avuto più bisogno di agire libero da condizionamenti, cioè all'indomani delle elezioni.Il fallimento di Veltroni non sta infatti nella sconfitta elettorale dello scorso aprile (ampiamente prevedibile e comunque a lui non imputabile), ma in quello che è venuto dopo. E' dall'opposizione, infatti, che i grandi leader combattono la battaglia per il rinnovamento del loro partito. Così ha fatto Blair, per citare solo l'esempio più vicino a noi e più eclatante. Ebbene, è qui che Veltroni ha fallito, gettando la maschera indossata in campagna elettorale, dimostrando di essere "riformista", e di aver usato la retorica del "nuovo", solo per necessità tattica, e non per convinzione profonda.Una convizione e una determinazione - che sarebbero state necessarie per aprire all'interno del partito uno scontro di idee e di leadership aperto e trasparente - che d'altra parte da Veltroni non ci si poteva aspettare, proprio alla luce della sua biografia politica, perché anch'egli fa parte di quella classe dirigente, descritta nel libro di Romano, nata e cresciuta nel mito di Enrico Berlinguer. Un mito che continua a trasmettere come validi una quantità di principi bocciati e falsificati dalla storia, ritardando così qualsiasi cambiamento della sinistra.Viste le brutte, Veltroni ha ripiegato nell'antiberlusconismo e nella presunta superiorità morale della sinistra, rifugio sicuro per tutte le stagioni ma coacervo di istinti e riflessi che non fanno una cultura di governo.Su tutti i temi le posizioni del Pd di questi mesi, in cui Veltroni avrebbe dovuto inaugurare una stagione di rinnovamento interno, hanno ricalcato quelle dell'Ulivo all'opposizione tra il 2001 e il 2006. Solo che ormai la gente, anche il cosiddetto "popolo della sinistra", non ci crede più. Tanto che secondo autorevoli istituti di ricerca, alle scorse elezioni politiche per la prima volta si sarebbe verificato un consistente travaso di voti dal Pd direttamente al PdL, cioè dall'Ulivo a Berlusconi. Il problema è che in ogni dibattito che si apre, dai leader all'ultimo dei funzionari del partito tutti o quasi si schierano per la difesa dello status quo, al fianco di istituzioni del tutto screditate. E quanto più lo fanno con il massimo dell'enfasi e della retorica, tanto più agli occhi dei cittadini anche di sinistra appaiono dissociati dalla realtà.Se si parla di riforma della scuola e dell'università, il Pd si appiattisce sulle posizioni conservatrici dei docenti e dei rettori, o dei sindacati degli insegnanti, in nome di principi altisonanti disattesi nella pratica. Ma tutti sanno che scuola e università non funzionano; se si parla di riforma della contrattazione collettiva, di lavoro o di pensioni, di pubblica amministrazione, il Pd appare imbarazzato e immobilizzato dalle posizioni anacronistiche della Cgil; se si parla di riforma della giustizia, si appiattisce sulle posizioni della magistratura, un'altra istituzione che i cittadini certo non amano.Anche sul caso Englaro, anziché assumere una posizione nel merito, il Pd ha preferito nascondere le sue divisioni interne e il suo imbarazzo dietro una pretestuosa (e discutibile) difesa della Costituzione, impersonata addirittura da quella vecchia cariatide di Scalfaro. I cittadini non sono stupidi e si rendono conto che la carta ha bisogno di essere riformata, mentre il Pd appare come il cocciuto difensore della sua immodificabilità.Grida vendetta sentir dire da Veltroni, che ha testardamente voluto l'alleanza con Di Pietro, senza scioglierla neanche quando ormai erano chiari i danni che arrecava al Pd, che la sinistra non deve più essere «salottiera, giustizialista e conservatrice».Ma c'è un passaggio del suo discorso di commiato che rivela tutta l'inadeguatezza e i limiti persino culturali dell'ex segretario.Quando ha spiegato che Berlusconi «ha avuto i mezzi e la possibilità anche di stravolgere i valori della società stessa, costruendo un sistema di disvalori contro i quali bisogna combattere con coraggio», dimostra non solo di non aver compreso i motivi delle sconfitte elettorali, ma anche di avere una struttura mentale ancora fortemente ideologizzata che gli impedisce di rendersi conto di come funzioni davvero una società. Non è la politica a imporre, o a dover tentare di imporre alla società valori elaborati a tavolino, in una sorta di ingegneria sociale. Sono i valori che emergono dalla e nella società e in democrazia la politica li rappresenta.E' ora di finirla con questa balla ideologica di Berlusconi che avrebbe "creato" un sistema di (dis)valori. Casomai li rapppresenta.E' questa supponenza e idealizzazione della politica che non permette al Pd di capire a fondo il concetto di rappresentanza e, di conseguenza, di risultare credibile come rappresentante.
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