Gli islamici marciano su Milano, io parto volontario per Lepanto
di Milton
“La consapevolezza del luogo atipico (ndr: sic!) c’era senz’altro, ma bisogna riflettere sul fatto che la religione islamica sia ormai un pezzo dell’identità di Milano. E invece si cerca di nascondere questo dato di fatto sotto polemiche incendiarie ed irresponsabili”. Così farnetica tal Luciano Mulbhauer, consigliere regionale di Rifondazione Comunista, in occasione delle preghiera collettiva di centinaia di Islamici di fronte al sagrato del Duomo di Milano qualche giorno fa (ma la stessa cosa è avvenuta davanti a San Petronio a Bologna).
I manifestanti sono arrivati in piazza Duomo per caso, dicono gli organizzatori, e sotto la guida dell’Iman di viale Jenner Abu Imad, un campione della democrazia già condannato per associazione a delinquere finalizzata al terrorismo. Qui hanno inneggiato ad Allah all’ombra della Madonnina. Ovviamente in questi frangenti il Duomo è stato chiuso ed è rimasto impraticabile. La manifestazione aveva già avuto il suo apice criminogeno con il consueto rito che consiste nel bruciare bandiere di Israele, mentre la stella di David campeggiava assieme alla svastica.
In questo caso, come sempre, non è mancato il supporto proletario dei centri sociali e di coloro che di solito vogliono rifondare il comunismo, ma che in queste occasioni inneggiano ad Hamas e quindi alla distruzione dello Stato di Israele e allo sterminio degli Ebrei. Come novelli nazisti rossi hanno evidentemente nostalgia delle nebbie di Auschwitz.
Fin qui la cronaca. Ma il peggio, se è possibile doveva ancora avvenire.
E il peggio è l’ancora perdurante, assordante silenzio della Curia milanese, paladina del dialogo ad ogni costo, che solo pochi giorni fa aveva proposto con rinnovata enfasi di avere una moschea in ogni quartiere di Milano. I mussulmani l’hanno presa in parola e durante la manifestazione hanno occupato (senza nessuna autorizzazione preventiva) il cuore della cristianità milanese e uno dei simboli della Chiesa cattolica nel mondo. Sentite cosa ha dichiarato timido e sfuggente l’arciprete del Duomo di Milano: "...è stata una mancanza di sensibilità".
E sì, ormai siamo al punto che le identità si chiamano sensibilità, l’accettazione della non reciprocità si chiama ricerca del dialogo, la consegna delle nostre radici e della nostra cultura all’Islam si chiama multiculturalismo.
Ma perché stupirsi? Durante queste feste natalizie sono stati esaltati quei parroci “progressisti” che hanno affiancato minareti al presepe, o quelli che hanno ceduto terreni per costruire moschee o hanno tolto il bambinello dal presepe per punire i fedeli che a loro avviso non sono capaci di accettare l’altro.
Altrettanto assordante e omertoso è il silenzio degli amministratori e politici lombardi (almeno quelli di estrazione cattolica) che, evidentemente troppo impegnati nella spartizione dei posti per la gestione dell’Expo o nell’imporre a CAI di rimanere a Malpensa, non hanno trovato il tempo e il modo di dire qualcosa. Sono per caso d’accordo sul fatto che ormai, come dice il fantomatico consigliere regionale di Rifondazione, l’Islam è parte dell’identità di Milano con la conseguenza che i cattolici non sempre possono liberamente entrare in Duomo a pregare?
Ma come si misura allora l’identità di un popolo, con quanti mussulmani popolano una città, o forse dipende dal fatto che fondi sovrani arabi stanno all’angolo di piazza Cordusio, in attesa di entrare nel CdA di Unicredito?Cos’altro deve accadere per comprendere che il tempo è scaduto, la paranoia del multiculturalismo non regge più, che la cantilena del dialogo appartiene ai pavidi nichilisti senza storia.
Se costoro, compreso qualche prelato, hanno deciso di dimettersi da cristiani, che lo facciano e si ritirino in meditazione per ricercare le file del loro amato dialogo, ma lascino a chi crede nelle proprie radici e nella propria identità, la possibilità di difenderle. Si smetta di costruire moschee per ricominciare a costruire oratori.
Irriso e sbeffeggiato dai beoti pavidi e dialoganti, dalle vestali del politicamente corretto, il Cardinale Biffi (che sia benedetto!) ebbe a dire qualche anno fa “i criteri per immettere immigrati non possono essere soltanto economici, occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l’identità della nazione”.
Io sto con il Cardinale Biffi e se serve mi imbarco per Lepanto. Volontario.
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