mercoledì 30 dicembre 2009

La squadra dei sogni

Travaglio vicepremier e Genchi al Viminale: il governissimo della manetta
DALLE CONSULTAZIONI AL GIURAMENTO: LA VERA STORIA DELL’ESECUTIVO GUIDATO DA DI PIETRO.
A FIANCO DEL LEADER DELL’IDV CI SONO FURIO COLOMBO (ESTERI), BEATRICE BORROMEO (PARI OPPORTUNITÀ), VLADIMIR LUXURIA (DIFESA) E BEPPE GRILLO (AMBIENTE)
Lo chiamarono “il Golpe di velluto”.
Non tanto a causa della ferocia degli eventi che portarono all’abdicazione di Silvio Berlusconi - i trattori che sfondano Porta Pia, l’onda viola, la massa furiosa dei No B Day all’assedio di palazzo Grazioli. No. Il “Golpe di velluto” fu per via del tessuto della giacchetta a coste sottili comprata all’Oviesse di Termoli, che Antonio Di Pietro indossava al Quirinale il giorno del giuramento. Era il suo primo mandato alla Presidenza del Consiglio; e Tonino, povero cristo, non aveva avuto tempo per cambiarsi d’abito. D’altronde gli avvenimenti attorno a lui turbinavano incontrollati sulla giostra della Storia. Prima l’editoriale di chiamata alle armi di Paolo Flores D’Arcais (che, in fondo, voleva soltanto un posticino al Senato, non pensando di scatenare l’inferno...); poi Marco Travaglio che nella sua tournée teatrale iniziò misteriosamente a disertare i congiuntivi e a tradurre i testi in molisano stretto, un segnale in codice che dare il via all’attacco; infine l’orda dei cosacchi comunisti, i quali richiamati dal traditore gramsciano Antonio Ricci, arrivarono ad abbeverare i cavalli al Laghetto dei Cigni dopo aver fucilato il Gabibbo. Fu per tale susseguirsi concitato d’avvenimenti che il popolo - che, si sa, è bue - cambiò idea: mollò, non senza riluttanza, l’esausto Silvio e si gettò nelle braccia di Tonino. Solo che Di Pietro Presidente del Consiglio era la parte più facile, nonostante Napolitano gli avesse fatto ripetere per tre volte il giuramento (qualcosa non andava; non era l’emozione, ma la consecutio...). Il dramma vero, però, era nominare tutto il nuovo governo; accontentare la folla dei rivoluzionari -antiberlusconiani, giustizialisti, fuorusciti bersaniani, diccì geneticamente modificati, giornalisti del Fatto- richiedeva paraculismo e innate doti d’equilibrio; e se sul paraculismo Tonino era preparatissimo, sull’equilibrio, da sempre, difettava. La prima scelta fu, naturalmente, Travaglio co-premier al posto strategico che era di Gianni Letta; a dire il vero, Tonino lo voleva alla Giustizia, ma sapendo che Marco avrebbe rotto i coglioni anche alla sinistra, preferì metterci uno più moderato. Flores D’Arcais. Il quale, ebbro d’insospettata gioia, subito piazzò la redazione di Micromega direttamente al Palazzo di giustizia di Milano -casa e bottega- e produsse la riforma per l’unificazione totale delle carriere, coi segretari di redazione e i correttori di bozze che potevano turnarsi, all’occasione, come pubblici ministeri.
Dopo qualche mese di vaporosa follia, il premier decise che era il caso di affiancare al Guardasigilli un tecnico: Gherardo Colombo non poteva, arrivò il giudice Santi Licheri. Tonino scelse poi i suoi sottosegretari: Massimo Donadi, Beppe Giulietti sbendato dalle elezione del 2006 e Checco Zalone chiamato “per competenza territoriale”a risolvere l’emergenza rifiuti in Campania. Zalone tentò di spiegare di essere un comico («Perché, Flores secondo te è un ministro?», rispose Tonino); e di essere di Bari e che Bari era in Puglia, ma non ci fu nulla da fare. Tonino proseguì sulla linea della creatività. Nominò Fazio (Fabio) all’Attuazione del programma (convinto che il programma fosse su Raitre);Homer Simpson alla Semplificazione Normativa; alla Pubblica Amministrazione Pancho Pardi, che vestito con poncho e sombrero riuscì ad estendere le assunzioni selvagge nelle Poste, ai catasti e nei dicasteri di Croazia, Bosnia Erzegovina e Tunisia occidentale; e Beatrice Borromeo alle Pari Opportunità, non tanto per le competenze professionali quanto perché «Se Berlusconi ci aveva messo una gnocca, io no?». C’era del raziocinio, nella sua strategia politica.
Luca di Montezemolo che passava di lì per caso, divenne ministro del Turismo, senza portafoglio, non si sa mai. Gli Esteri andarono, per esclusione, a Furio Colombo, l’unico della compagine che sapeva l’inglese e non scambiava il Senato di Washington per un trullo riuscito male. Inconsueta fu la scelta di Gioacchino Genchi, Interceptor, il superpoliziotto dei tabulati impossibili agli Interni. In realtà gli uscieri videro Genchi aggirarsi per palazzo Chigi affannato, con un pacco di faldoni in mano alla ricerca di una toilette; s’infilò, per sbaglio, nell’ufficio del Presidente del Consiglio, e ne uscì, venti minuti dopo, Guardasigilli. Ma senza i faldoni. Altra cooptazione bizzarra fu il recupero di Vladimir Luxuria alla Difesa. La nomina del transgender, dettata certo da un clima pacificatorio (e anche perchè in divisa Vlady sta un figurino), comportò qualche innovazione e provocò lo sconcerto della Nato e del Patto Atlantico. Fu ripristinata la leva maschile obbligatoria, ma il kit della nuova fanteria meccanizzata prevedeva, curiosamente, smalto per le unghie, tette finte e giarrettiere peraltro scomodissime sotto gli anfibi, specie nelle marce alpine. Il ministero del Lavoro, per capacità, toccò a Tito Boeri; quello dell’Economia, per riconoscenza, a Carlo De Benedetti. Il quale, grazie ai micidiali attacchi del suo partito mediatico -Repubblica e compagnia bella- era riuscito a dare una spallata decisiva al Popolo delle Libertà. E anche al Pd. Lo spin doctor Eugenio Scalfari inizialmente sottosegretario, ritenendo di non essere mai stato “sotto” in vita sua divenne “soprasegretario”. Beppe Grillo, oramai fantasma di sè stesso, andò ai trasporti in virtù della sua patente nautica. Il medico Daniele Luttazzi alla Sanità, e cominciò a non ridere più. Dariofoefrancarame - tutt’attaccato - s’aggrapparono all’Istruzione, coordinati da Michele Serra che potè sbizzarrirsi ai Beni Culturali.
Dopo due giorni Michele -la nemesi- iniziò a scrivere liriche scanzonate come Sandro Bondi. Santoro alle Comunicazioni, Ruotolo sottosegretario. Cristiano Di Pietro omonimo e casualmente figlio del premier fu indicato alle Politiche Giovanili, Agricoltura e Trasporti; la Freccia Rossa venne sostituita con comodi e più sicuri trattori a due ottani. Fred Bongusto venne nominato sottosegretario. Non si capì mai di preciso il perchè, ma era molisano....
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mercoledì 2 dicembre 2009